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Cirano: il personaggio storico e la trasfigurazione letteraria

di Francesco Moricca - 31/03/2010

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Sia il Cirano storico che quello di Rostand sono trattati come “minori” nelle correnti storie della letteratura francese. Si tratta di nomi di scarso rilievo artistico, o di nomi “scomodi”? Il Lettore avrà modo di farsi una sua idea più avanti.
Il Cirano di Rostand, indiscutibilmente un personaggio oggi del tutto inattuale, è tagliato su misura per incarnare l’ideale della Francia auspicata da Barrès e da Maurras, letterati di vaglia ufficialmente consacrati, di cui il secondo è proprio il fondatore dell’Action Francaise, da cui tuttavia il drammaturgo si distingue per uno spirito più nettamente laico
Cirano e Rostand, ambedue poeti, furono figure esemplari di una “certa” Francia e di una “certa” Europa. Al primo il potere impose una camicia di Nesso politica, il secondo fu piuttosto ridimensionato dalla critica a dispetto della valutazione assai positiva del pubblico contemporaneo, stanco del teatro naturalista alla moda.
Immenso fu il successo che ebbe il capolavoro di Rostand fin dalla prima rappresentazione, non solo in Europa ma in tutto il mondo e nelle più disparate versioni: dal cinema allo sceneggiato televisivo, all’opera lirica, al “musical”. Fu un successo prevalentemente popolare e ciò avrebbe pur dovuto significare qualcosa per i critici e gli storici della letteratura posteriori.Tra i grandi attori che hanno impersonato l’impareggiabile poeta-spadaccino, si ricorda il primo, quel Coquelin che collaborò con Sarah Bernhardt e fu molto apprezzato dal nostro De Amicis e da Henry James; poi Gino Cervi, Fernandel, Depardieu che ce ne ha offerto un’ interpretazione adeguata alla sensibilità odierna e convincente. Vediamo ora di farci un’idea del Cirano storico.
Lo sfondo: l’Europa insanguinata dalla Guerra dei Trent’Anni, l’ultima e più feroce delle guerre di religione fra cattolici e protestanti, in cui si è ravvisato, quanto a distruzioni subite specialmente dalla Germania, qualcosa di paragonabile alla Seconda Guerra Mondiale (da ricordare che Nolte ha giudicato quest’ultima come una vera e propria guerra di religione).
Il clima culturale: quello del Barocco (c’e evidente somiglianza fra Caravaggio e Cirano per il comune carattere di artisti “maledetti” e propensi alla violenza), di quel Barocco da cui prende le mosse la scienza moderna (Cirano, vedremo, è anche un precursore del genere fantascientifico e dei viaggi lunari, nonché un “utopista”).
Savinien de Cyrano nasce a Parigi nel 1619 da Abel, avvocato del Terzo Stato in Parlamento, e da Esperance de Bellanger. Luogo dei suoi studi superiori, fra il ‘32 e il ‘38, il Collegio di Dormans-Beauvais nel cuore del Quartiere Latino, sotto la guida di Jean Grangier, il “vecchio topo”, l’ “avaro” che sarà messo alla berlina ne “Il pedante gabbato”, unica commedia scritta dal Nostro secondo i dettami della moda corrente ispirata alla Commedia dell’Arte italiana e al teatro spagnolo di Tirso de Molina.
Come studente non brilla. Secondo Grangier, è di quelli che studiano il meno possibile.
Ultimati gli studi, aggiunge al proprio cognome quello del feudo di Bergerac ereditato dal padre e subito da questi venduto. Spesso adotta delle varianti: Alexandre de Cyrano Bergerac, Hercule de Bergerac, Dyrcona. Sembra che così facendo rifiuti di avere una precisa identità sociale, in parte perché la sua personalità è ancora in formazione, in parte per innato antagonismo.
Nel 1639 si manifesta in lui una vocazione militare e si arruola nella Compagnia delle Guardie comandata dal capitano Carbon. E’ talmente versato nella scherma che i commilitoni lo definiscono “il demonio della bravura”. Viene ferito una prima volta all’assedio di Mouzon e una seconda a quello di Arras. Dopo appena un anno di servizio si congeda e rientra a Parigi per studiare danza e filosofia sotto la guida del filosofo materialista Gassendi, il quale professa una forma moderna di epicureismo. Si appassiona alla lettura di Luciano (l’inventore antico del romanzo fantascientifico), di Tommaso Moro e di Campanella che lo inducono a vagheggiare un nuovo ordine di tipo socialista. Continua tuttavia a praticare la scherma, molto importante allora nella formazione del perfetto cavaliere, e diventa uno spadaccino invincibile (fonti contemporanee tramandano che alla porta di Nesle si scontrò da solo con cento uomini armati e li mise in fuga). E’ anche assiduo frequentatore di taverne. Qui conosce celebrità come Scarron e Tristan l’Hermite, forse lo stesso Molière.
Le sue precarie finanze vengono rinsanguate dalla cospicua eredità paterna di 1°.45O libbre, che dilapida in poco tempo ma gli permettono di lavorare con tranquillità alla composizione di un poema ispirato a Luciano, “L’altro mondo ovvero gli Stati e gli Imperi della Luna”. Qui, dice Renè Pintard, “critica le prove dell’immortalità dell’anima e della Provvidenza, combatte la Creazione e i miracoli, approda a una specie di panteismo naturalistico, e nel frattempo, ci fa dono della formula dell’aerostato, del paracadute, e dei viaggi lunari”. L’opera circolerà segretamente in copie manoscritte.
Intanto era scoppiata la Guerra della Fronda dei nobili in lotta contro l’assolutismo monarchico. In un primo momento Cirano vi aderisce, ma poco dopo passa al partito opposto del Cardinale Mazarino e scrive la “Lettera contro i Frondisti”. Il suo voltafaccia sembra motivato dai guai seguiti all’accusa di blasfemia per una frase contenuta nella sua unica tragedia, “La morte di Agrippina”: “Colpiamo, ecco l’Ostia”, in cui “Ostia” avrebbe voluto significare semplicemente “Vittima”. Ma la censura non si era lasciata ingannare… Riuscito ad entrare al servizio del duca d’Arpajon, ha la sua rivincita: non solo pubblica la tragedia incriminata, ma anche, col titolo di “Opere diverse”, “Il pedante gabbato” e le interessanti “Lettere”. Qui descrizioni paesaggistiche o di fenomeni naturali si accompagnano a brani di caustica polemica, contro un attore-commediografo e contro un prelato ipocrita e commediante.
Ma un destino tragico e beffardo è in agguato. Viene cacciato dal duca d’Arpajon poco dopo esser stato ferito da una tegola caduta da un tetto. Malato e povero, viene accolto da un cugino nel paese di Sannois, dove si spegne il 28 Luglio 1655, “da buon cristiano” secondo il resoconto del curato.
Nel 1757, in pieno Illuminismo, viene ripubblicato, con opportuni rimaneggiamenti ad evitare i fulmini della censura e col titolo di “Storia comica”, “L’altro mondo”.
Verrà ricordato ed elogiato nel 1838 da Charles Nodier, e nel ‘44, con Gautier, i toni si faranno entusiastici (si vedano “I Grotteschi”).
E’ dunque nel clima del decadentismo e del revanchismo politico che si ha la consacrazione di Cirano quale figura esemplare della Nazione francese, della sua “grandeur” e della sua anima guascona.
L’apoteosi di Cirano è decretata dallo strepitoso successo della prima rappresentazione della “commedia eroica” a lui dedicata da Rostand, alla fine del 1897.  
 Il primo dei cinque Atti è un suggestivo affresco del Seicento francese. Vi fa una rapida comparsa D’Artagnan, immortalato da Dumas padre e precursore della “maschera” di Cirano. Nel dialogo con Le Bret incentrato sull’antinomia bruttezza-amore, vi è la eco del Victor Hugo de “Il Re si diverte”, dove il medesimo tema è espresso nel personaggio del buffone gobbo Triboulet, a cui si ispira Verdi nel “Rigoletto”. Hugo tratta ancora l’argomento in “Notre-Dame de Paris”, nel personaggio del gobbo Quasimodo innamorato della bella Esmeralda.
Nel secondo e terzo Atto si delinea il carattere di Rossana come quello di una molto conformista “precieuse”, con la sola qualità di essere avvenente come Cristiano, di cui è invaghita ignorando il cugino Cirano dal naso smisurato, perso per lei al punto di accettare il ruolo di protettore del rivale e di mezzano. Cristiano non è capace di esprimersi secondo il rituale amoroso del preziosismo e Cirano gli “presta” la voce traducendo in parole tutta la propria passione, pago soltanto di far felice la cugina fino a favorirne le nozze.
Il quarto Atto ha per sfondo la guerra e l’assedio di Arras cui – si è detto - effettivamente partecipò il Cirano storico. Al campo Cirano scrive a Rossana, senza che Cristiano lo sappia, due lettere al giorno sempre a nome del rivale e per farle recapitare mette quotidianamente a repentaglio la vita. Le lettere capitano in mano a Rossana, giunta al campo con abbondanti provviste per gli affamati cadetti, ma soprattutto per essere accanto al marito, del quale è ora seriamente innamorata per effetto delle toccanti missive di Cirano. Confessa addirittura a Cristiano che adesso lo amerebbe “anche se fosse brutto”. Ciò è un colpo durissimo per lui e una momentanea rivincita per Cirano. Ma poco dopo Cristiano muore in combattimento e il dolore di Rossana è tale che Cirano si persuade che non è lui che lei ama veramente. Noi ci accorgiamo che ormai Rossana, grazie alle lettere del cugino, non è più l’insulsa donnetta di prima. Morto il marito si ritirerà in un convento, dove, sempre ignara della verità, vivrà confortata soltanto dalle visite quotidiane del cugino.
Il quinto Atto si apre quindici anni dopo questi fatti. Cirano giunge in ritardo e nasconde di essere stato gravemente ferito alla testa da una trave appuntita lasciata cadere da una finestra per mano del servo di uno dei suoi nemici.
Sopraggiungono dei gentiluomini e dal loro comportamento Rossana capisce che il cugino è ferito e sta per morire. Il dialogo che segue fra lui e Rossana è finalmente chiarificatore e una delle pagine più alte della letteratura mondiale. In punto di morte Cirano amaramente commenta: “Cader la punta al petto, con un colpo di spada, da un pari eroe ferito – questo io dicevo!... Il mio destino mi ha schernito! E mi uccide, alle spalle, in un tranello indegno, per opera di un servo, un troncone di legno. Benissimo. Avrò tutto mancato, anche la morte?” E Rossana, da lì a poco: “Io vi resi infelice! Io!”. E Cirano: “Voi? Di tutte ignaro dolcezze femminili, non alla madre caro, privo d’una sorella, cresciuto nel terrore dell’amante dall’occhio sarcastico, il mio cuore per voi ebbe un’amica, almeno. Voi faceste passar nella mia vita il fruscio di una veste”.
Siamo all’epilogo. In preda al delirio che coglie i moribondi, l’eroe coglie in un attimo il senso di tutta la propria vita. Con le residue forze brandisce la spada e vibra colpi contro la “Viltà”, i “Compromessi”, i “Pregiudizi”, la “Stoltezza”. “Lo so – dice – che alla fine sarò da voi disfatto; ma non monta: io mi batto, io mi batto, io mi batto… C’è qualcosa ch’io mi porto…e stasera, quando in cielo entrerò, fiero l’azzurra soglia salutarne io potrò: ch’io porto meco, senza piega né macchia…il pennacchio mio”. Vi è non poco, nello spirito aleggiante nella conclusione del Cirano di Rostand, che fa venir in mente il Rigaut di Drieu la Rochelle e il suicidio rituale di Mishima.