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Economia di guerra (israeliana)

di Christian Elia - 08/04/2010






La Procura Generale d'Israele ammette il furto di centinaia di milioni di shekels che spetterebbero ai palestinesi

"Del caso se ne occuperà una squadra composta da esperti di vari dicasteri, coinvolgendo la materia il ministero della Giustizia, il ministero delle Finanze e l'Amministrazione Civile. Gli aspetti tecnici della questione saranno stabiliti la prossima settimana".

Meccanismo imperfetto. Malchiel Bals, il vice Procuratore Generale d'Israele, licenzia poche righe (riprese dal quotidiano israeliano Ha'aretz) che non riescono a celare un certo imbarazzo. Sono quindici anni che i palestinesi vengono derubati di somme di denaro ingenti dall'Amministrazione israeliana. Lo ha denunciato un avvocato della Procura militare israeliana che, per primo, si è accorto di come questi fondi transitassero direttamente nelle casse israeliane in violazione della normativa vigente rispetto ai rapporti tra Stato occupante e terra occupata. Bals, a quel punto, si è mosso per far partire l'indagine. Si parla, secondo una prima stima, di centinaia di milioni di shekels (moneta israeliana, un euro è pari a circa cinque shekels), circa 80 milioni all'anno per quindici anni. Da vengono questi soldi? Sono i proventi di tasse e bolli raccolti dall'amministrazione pubblica per esempio rispetto a concessioni per lo sfruttamento del suolo pubblico (le cave) o per aste su terreni. Secondo gli Accordi di Oslo della metà degli anni Novanta, che chiusero la Prima Intifada palestinese, i fondi devono essere raccolti dagli esattori israeliani e debbono essere reinvestiti in servizi e infrastrutture per la popolazione civile palestinese nei Territori Occupati. Invece, in questi quindici anni, sono finiti nelle casse di Tel Aviv. In violazione alla legge internazionale che impone agli Stati occupanti di 'conservare' i beni dei territori occupati fino al nuovo status. Gli Stati Uniti, per esempio, rispetto all'Iraq, hanno generato una sorta di fondo d'investimento che deve ritornare al Paese in forma d'investimento.

Scontro ministeriale. Blas ha annunciato che adesso verrà messo in ordine il sistema e, in modo retroattivo, verranno restituiti i soldi ai palestinesi. Meno chiaro il meccanismo di sanzione per i funzionari che si sono appropriati di beni palestinesi. Sembra probabile che questi fondi verranno divisi tra vari dicasteri, secondo le singole competenze, per essere poi trasformati in investimenti. Il ministero delle Finanze, nella serata di ieri, ha reso noto che darà battaglia contro la decisione di Blas, ritenendo che la decisione finale spetti al governo di Tel Aviv.
Questo denaro, oltre l'occupazione, è mancato a tutta una serie di infrastrutture che, negli anni, si sono andate deteriorando in Cisgiordania. Un esempio? Le condutture dell'acqua. Uzi Landau, ministro delle Infrastrutture israeliano, ha dichiarato ieri: "Se i palestinesi continuano a scaricare le proprie acqua reflue, inquinando fiumi e falda acquifera, Israele smetterà di aiutarli. I palestinesi - ha continuato Landau - devono collegarsi agli impianti di depurazione, altrimenti daremo loro solo acqua potabile, ma taglieremo quella per uso industriale e agricolo". Il ministro, però, ha sbagliato i conti. Per ottenere una gestione più funzionale della rete idrica basterebbe dare ai palestinesi quello che gli spetta. A quel punto il ministro Landau potrebbe smettere di aiutarli, evitando di derubarli.