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La questione OGM

di Giovanni Monastra - 11/04/2010

Fonte: Circoli Nuova Italia

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Giovanni Monastra biologo ricercatore, saggista, dall’ottobre 2005 al settembre 2009 è stato Direttore Generale dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) di Roma, dove nel periodo ottobre 2002 - settembre 2005 ha svolto le mansioni di Coordinatore Scientifico, organizzando e seguendo lo sviluppo e la realizzazione di vari progetti dell’Istituto, tra cui, in particolare, il Piano di biosicurezza sugli Organismi Geneticamente Modificati: Progetto-Quadro OGM in agricoltura (MIPAF 2003). Attualmente lavora come dirigente presso il Dipartimento dell’Ambiente del Comune di Roma.

Partiamo dalla notizia che di recente ha “cambiato” il rapporto fra Europa e ogm. La Commissione Europea ha autorizzato la coltivazione della patata geneticamente modificata Amflora, prodotta da una nota multinazionale. In questo modo è stata sancita la fine dell'embargo sugli ogm, che nell'Unione europea resisteva dall'ottobre del 1998. Cos’è successo? Si è aperta una breccia all’interno dell’Europa?

Andiamo con ordine, chiarendo cosa è successo e quali sono i “controllori”: da poco si è insediata la nuova Commissione Ue e il maltese John Dalli è il nuovo commissario alla Salute e alla Politica dei consumatori, mentre all’Ambiente si è insediato lo sloveno Janez Potoènic. La decisione di costoro, favorevole alla coltivazione della patata Amflora (sigla di riconoscimento è EH92-527-1), ha segnato un inizio assai discutibile, rovesciando la precedente linea di cautela e prudenza seguita da Stavros Dimas, commissario per l’Ambiente prima di Potoènic. Considerata la incredibile velocità con la quale i due commissari hanno dato il via libera, già poco dopo il loro insediamento, nascondendosi dietro un nuovo parere favorevole dell’EFSA (European Food Safety Agency), inevitabilmente sono sorti diversi dubbi sulla affidabilità e sulle vere motivazioni del giudizio (tra l’altro, insieme a questa autorizzazione è stata anche approvata la commercializzazione di tre mais GM). Non si capisce come mai un prodotto, come Amflora, prima bloccato, sia stato autorizzato in gran fretta. E qui è opportuno ricordare bene i termini del precedente contenzioso tra l’azienda produttrice di Amflora e gli organi decisori europei.

Quali  sono le caratteristiche di questo tubero? Ci sono altri casi di patate GM?


Rispetto al normale tubero questo OGM è molto più ricca di amilopectina, uno dei due polisaccaridi che costituiscono l’amido insieme all’amilosio. Ciò è stato ottenuto inattivando il gene che sovrintende alla formazione dell’amilosio. L’amilopectina si usa nella produzione di carta, tessuti, cosmetici, ecc. I suoi sostenitori ne vantano pregi di tipo ambientale (ad esempio, minore uso di solventi per estrarre l’amilopectina) ed economico per i produttori: i primi sono da dimostrare nei fatti rispetto al contesto generale (e lo si verificherà), sui secondi non ho dubbi… Quanto alla sua seconda domanda, le rispondo che in commercio non ci sono altri tuberi ingegnerizzati. Andrebbe invece ricordato che esistono già patate non GM con alte concentrazioni di amilopectina. Mi chiedo: come mai sono così poco considerate? Forse perché non sono coperte da lucrosi brevetti e quindi attraggono molto meno per il loro profitto?

Quest’approvazione limita l'utilizzo del tubero esclusivamente a livello industriale. O quasi. Infatti le patate ogm serviranno sì alla produzione di fecola finalizzata all'uso nell'industria della carta, ma è anche vero che gli eventuali residui della produzione potranno essere utilizzati nella preparazione di mangimi per animali. Animali che o faranno parte della nostre tavole, o produrranno derivati sempre finalizzati al nostro sostentamento. A questo punto viene da chiedersi: secondo lei qualcuno ha stimato cosa s’intenda per “eventuali residui”…


E’ vero. E’ stato autorizzato anche l’uso degli scarti delle lavorazioni di Amflora come mangime per il bestiame.
Ma vediamo meglio nello specifico i punti problematici del nuovo OGM. Mi dovrò dilungare un po’, ma credo sia utile per fare chiarezza.
In primo luogo osservo che è sconsigliabile trasformare prodotti commestibili, assai comuni nella dieta dell’uomo, facendoli diventare prodotti di uso industriale, con alterato profilo nutrizionale, anche perché la patata in oggetto è indistinguibile da quella tradizionale (è quindi meglio trasformare le parti non edibili, come si è deciso di fare per ottenere vaccini da piante geneticamente modificate). Inoltre questo nuovo OGM contiene il gene marker nptII  per la resistenza agli antibiotici kanamicina e neomicina, che fanno parte della categoria degli antibiotici aminoglicosidici, attivi contro i microrganismi Gram positivi e su molti Gram negativi (nella stessa classe troviamo anche Gentamicina, Tobramicina, Amikacina, Netilmicina, Paromomicina, ecc.). Ciò è in contrasto con la normativa europea (Direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001) sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, la quale nel 2001 ha stabilito che:  “[…] Gli Stati membri e la Commissione si assicurano che gli OGM che contengono geni che esprimono una resistenza agli antibiotici utilizzati per trattamenti medici o veterinari siano presi in particolare considerazione, al momento della valutazione del rischio ambientale per individuare ed eliminare gradualmente negli OGM i marcatori di resistenza agli antibiotici che possono avere effetti negativi sulla salute umana e sull'ambiente. Questa eliminazione graduale avverrà entro il 31 dicembre 2004 per gli OGM immessi in commercio […]” (Art. 4, par. 2).

Commercializzare e diffondere prodotti che di fatto resistono agli antibiotici in uso, non contrasta con necessità terapeutiche dell’essere umano?

Diffondere geni portatori del carattere della resistenza ad antibiotici ancora in uso comporta gravi problemi per la salute umana: con tutta evidenza ciò riduce il numero dei farmaci efficaci contro le infezioni batteriche (problema già grave anche per altri motivi). In coerenza con quanto ben noto e con la legislazione comunitaria, l’EMEA (European Medicines Agency) circa tre anni fa aveva criticato i pareri dell’EFSA, che in un  primo tempo, citando la  kanamicina, aveva asserito che questo antibiotico “non ha nessuna importanza terapeutica, o ha solo una rilevanza minore”. L’EMEA ha dichiarato che la presenza del gene marker per la resistenza alla kanamicina e alla neomicina presenta significative ripercussioni negative sull’efficacia terapeutica di tutti gli altri antibiotici aminoglicosidici (tra l’altro anche per l’OMS kanamicina e farmaci affini, nonostante siano ritenuti “vecchi”, hanno ancora un importante futuro in campo medico). Questa dichiarazione di allarme rende operativo il sopramenzionato Art. 4 par. 2 della Direttiva 2001/18/CE. L’aumento del già grave fenomeno della resistenza agli antibiotici (in questo caso verso quelli aminoglicosidici) potrebbe avvenire per effetto del possibile, anche se non molto frequente, trasferimento orizzontale di geni tra batteri: per tale via il carattere per la resistenza alla kanamicina e alla neomicina, ma anche agli altri farmaci della stessa classe, potrebbe passare nei batteri patogeni.

Secondo il ciclo biologico, se un bovino si nutre di questo mangime, l’uomo a sua volta dovrebbe per così dire… “assimilarlo”. E’ così?

Questi problemi potrebbero sorgere maggiormente in caso di consumo accidentale di Amflora da parte dell’uomo, ma potrebbero anche aversi attraverso la mediazione degli animali, in particolare i bovini (ricchi nel rumine di flora batterica), alimentati con gli scarti di questo OGM: è un’ipotesi che andrebbe verificata analizzando i prodotti lattierocaseari. A tutte queste obiezioni, molto sensate, che avevano bloccato per alcuni anni l’iter di approvazione dell’Amflora, ha preteso di dare risposta un recentissimo nuovo parere dell’EFSA, sbrigativo e rassicurante in modo ambiguo. In concreto l’Agenzia (per altro senza l’accordo totale tra i membri che hanno analizzato la questione) ha definito “improbabile” qualsiasi  passaggio del carattere “resistenza agli antibiotici” dall’OGM ai batteri patogeni per la salute umana. Da qui la precipitosa approvazione.

Come si è mossa l’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare?

Circa l’affidabilità dell’EFSA va detto che quando gli scienziati di questa Agenzia emettono un giudizio su un nuovo OGM, non si basano su studi condotti da laboratori pubblici, indipendenti, ma valutano solamente la letteratura scientifica (non sempre sufficiente) e i lavori presentati dalle singole aziende produttrici. Con tutto il rispetto ritengo sia un metodo discutibile (tra l’altro trovo allarmante che a Bruxelles si vogliano emettere nuove linee guida per l’EFSA addirittura ancora meno restrittive delle attuali!). Sono tanti gli aspetti che andrebbero approfonditi, non solo quello degli “eventuali residui”… In conclusione, senza fare allarmismi, penso che questa decisione vada ripensata. Per fortuna esiste la “clausola di salvaguardia” per la varie nazione dell’UE.

Quali dovrebbero essere i criteri in merito all’approvazione dei prodotti Ogm?

Per quel che riguarda i controlli sui nuovi OGM da approvare molti convengono sulla necessità che l’Unione Europea finanzi una ricerca imparziale e libera da condizionamenti di sorta, analizzando gli impatti sia sulla salute umana, sia sull’ambiente. Tale ricerca andrebbe affidata a scienziati di vario orientamento sul tema del transgenico, in modo che esista un controllo incrociato reciproco. Alla fine degli studi, un gruppo qualificato, possibilmente composto da figure di alto profilo scientifico internazionale, dovrebbe analizzare e valutare i lavori, emettendo un giudizio definitivo sugli eventuali effetti negativi (se ci sono).

C’è chi invece consiglia di avere come esempio l’americana FDA…


Vorrei suggerire molta cautela a chi in Italia propone come modello di serietà da imitare l’americana FDA (Food and Drug Administration), cioè l’agenzia che rilascia le autorizzazioni per l’immissione in commercio negli Stati Uniti di alimenti, quindi OGM, e farmaci: la reputazione e la credibilità della FDA è stata abbondantemente demolita da alcuni anni, con critiche puntuali basate sui fatti. Ricordo, tra le altre, quelle espresse nel 2004 da un insigne scienziato americano, l’epidemiologo David Graham, che è anche un alto funzionario proprio della FDA: “Per come è costruita oggi, la Food and Drug Administration non è in grado di proteggere gli Stati Uniti […] il Paese è virtualmente senza difesa” nel campo della sicurezza farmaceutica e alimentare. Più chiaro di così…


Non si corre il rischio che questo provvedimento, si trasformi in una sorta di cavallo di Troia nato per introdurre progressivamente altre colture ogm sui campi europei?

La mia posizione in proposito è del tutto scevra da ideologismi o prevenzioni di qualsiasi segno, in quanto basata sui dati della ricerca scientifica, sull’esperienza delle colture commerciali nelle varie aree del pianeta e su quello che chiamerei, senza tante ipocrisie, l’interesse nazionale italiano in campo agricolo (che è ben diverso dagli interessi della Monsanto e di certi ricercatori di ingegneria genetica  assai poco obiettivi perchè preoccupati solo del loro lavoro). Ritengo che trasparenza e informazione corretta siano gli strumenti da adottare: cittadini informati e in grado di controllare, attraverso i mezzi opportuni, sono molto più temibili di certi attivisti in servizio permanente. Per rispondere in particolare alla sua domanda, dico che non porrei la questione in termini allarmistici. Non condivido infatti il catastrofismo di alcuni. Non lo condivido per ragioni sia di merito, sia di metodo. Esiste infatti un pericolo agendo così: si può indurre nel pubblico l’errata sensazione che la situazione sia già compromessa in modo definitivo e che ormai bisogna rassegnarsi alla realtà dei fatti. Invece in questo settore mai nulla è del tutto compromesso.

Escludiamo allora che sia un cavallo di troia…

Non è una “breccia”, né un”cavallo di troia”, piuttosto ci troviamo davanti a un braccio di ferro, che dura da molto, con alterne vicende. Da tempo i consumatori di moltissime nazioni sono sottoposti a un lavaggio del cervello, spesso accompagnato da ricatti morali un po’ subdoli, del tipo: “Se sei contro gli OGM dimostri un cinico disinteresse per i problemi della fame nel mondo”. Addirittura già dagli anni Novanta in alcuni fumetti per bambini si esaltavano le capacità miracolose delle colture transgeniche. Ricordo, ad esempio, una storia pubblicata su Topolino nel 1994 dove questi prodotti venivano presentati in modo accattivante, per la loro (presunta) notevole sostenibilità ambientale: un esempio di propaganda volta a condizionare i giudizi. Insomma, per la serie… “Come ti erudisco il pupo”!

Un bell’esempio di propaganda…

Infatti… Tra l’altro noto che in questi ultimi mesi assistiamo, di nuovo, al proliferare di improbabili “esperti” in ingegneria genetica, laureati in filosofia o in fisica, tutti pro-OGM, ma con argomentazioni scientificamente inconsistenti. Ancora: sulla stampa troviamo appelli e proclami dei soliti due o tre biotecnologi che, scordatisi la prudenza che dovrebbe caratterizzare un vero scienziato, si trasformano in propagandisti, vaneggiando di risultati mirabolanti ottenuti con gli OGM, che sarebbero già in uso per produrre nuovi vaccini e meraviglie del genere! Ma non esiste alcun riscontro reale a tali affermazioni. Il che è molto grave. Ancora: rilevo titoli di giornale enfatici e ultimativi, ma falsi. Uno per tutti: “Ve lo garantisco. Mangiate già OGM”. Così vengono ignorati i dati, molto chiari e rassicuranti, del Ministero della Salute (è disponibile la relazione per il 2008), e si fa finta che l’uso di mangimi in parte GM sia la stessa cosa che avere nella filiera alimentare umana cibi transgenici (infatti quali reazioni allergiche può provocarci il consumo di prodotti da allevamento, dato che gli animali fanno, per così dire, da “filtro” fra l’OGM e il nostro organismo? Eppure i fanatici del transgenico continuano a portare argomentazioni del genere, in questo inconsciamente aiutati anche da alcuni talebani “verdi”…).

Spesso le informazioni che passano, potrebbero indurre i consumatori a confondersi?

Certo non aiutano a fare chiarezza dichiarazioni incredibili come quelle di Paola Testori, biologa, appartenente alla alta burocrazia di Bruxelles, che ha detto: “Oggi l’85% della soia utilizzata è di origine OGM. Lo stesso vale per il mais, al 60%”. Si tratta di una affermazione priva di qualsiasi fondamento. Infatti tutte le statistiche (i dati forniti dalla ben nota ISAAA, ad esempio) riportano che, sul totale mondiale di ciascuna coltura, la soia GM raggiunge il 77%, mentre il mais GM si ferma al 26% (ben lontano dal 60% dato dalla Testori!). Seppur contro ogni evidenza, alcuni desiderano far credere ai consumatori che ormai tutto è transgenico, cercando così di indurre rassegnazione e acquiescenza di fronte alla apertura indiscriminata verso gli OGM.

Però c’è anche chi sostiene che gli Ogm godano del beneplacito della Santa Sede...

Spesso si tratta di notizie strumentali, montate ad arte per far credere a presunti pronunciamenti del Vaticano in favore degli OGM, pronunciamenti che poi vengono regolarmente smentiti dalle fonti ufficiali della Chiesa. Circa questa opera di intossicazione delle menti, ricordo anche le notizie fornite da certa stampa compiacente che propaganda incredibili aumenti di produzione del mais ingegnerizzato, tutti sconfessati dai fatti. In particolare, va evidenziato che il mais Bt, se viene confrontato con un mais convenzionale coltivato secondo le buone pratiche agricole e protetto contro insetti fitofagi, quali la piralide, nella migliore delle ipotesi dà un aumento di produttività del 2-3%, mentre alcuni parlano di incrementi del 43%! Addirittura c’è chi afferma che il mais Bt elimina tutti i tipi di micotossine (molecole dannose per la salute), quando invece si sa bene che questo mais GM è efficace solo contro particolari micotossine, le fumonisine, ma non contro le ben più pericolose aflatossine, che anni fa provocarono gravi danni e pericoli per la salute, essendo state trovate in alte dosi nel latte in Lombardia.

E’ vero che gli Ogm riducono l’impiego di prodotti agrochimici?

Un recente studio, basato su dati inoppugnabili, smentisce categoricamente questa affermazione. Infatti nel lungo periodo, le colture transgeniche di piante tolleranti un determinato erbicida causano l’effetto contrario. Molto significativo è l’esempio americano. Nei tredici anni dall’inizio di tali colture l’uso degli erbicidi negli Stati Uniti è aumentato considerevolmente. Lo afferma, sulla base di dati ufficiali del Dipartimento dell’Agricoltura USA e della sua agenzia per le rilevazioni statistiche (NASS), il terzo rapporto su colture GM e uso dei pesticidi, steso da Charles Benbrook, eminente agronomo, già direttore della commissione Agricoltura dell’Accademia Nazionale delle Scienze, oggi responsabile scientifico dell’Organic center. Secondo il rapporto, tra il 1996 e il 2008 le colture geneticamente modificate resistenti agli erbicidi (soia, mais e cotone) hanno incrementato l’uso di tali sostanze di 173.275 tonnellate. Il 46% dell'aumento totale di erbicidi si è avuto nel biennio 2007 - 2008. La causa risiede nella diffusione di piante infestanti che hanno acquisito la tolleranza al glifosate (principio attivo dell’erbicida Roundup, il cui uso è abbinato alla quasi totalità delle piante GM aventi il carattere della tolleranza all’erbicida). Tale fenomeno (prevedibile!) deriva dal fatto che gli agricoltori per molti anni hanno irrorato questo tipo di colture GM sempre e solamente con  il glifosate, cioè hanno usato un unico agente di controllo degli organismi nocivi, invece di variare il tipo di molecole ad azione erbicida.

Ma in questo modo le piante infestanti non hanno sviluppato una sorta di “tolleranza”?

Certo! Questa “monotonia” ha creato le condizioni ideali per l’insorgere e la diffusione della tolleranza nelle erbacce (ma lo si sarebbe dovuto prevedere già all’inizio). Di fronte a infestanti non più sensibili al glifosate, gli agricoltori hanno prima aumentato pericolosamente le dosi di questo pesticida, poi sono dovuti passare all’applicazione di erbicidi aggiuntivi e più tossici, come il paraquat e il 2,4D. Ecco spiegato il consumo elevato di prodotti agrochimici. Preoccupa, per il futuro, che l’industria del biotech non preveda altro che un potenziamento della stessa fallimentare strategia, ovvero lo sviluppo di piante geneticamente modificate per tollerare dosi più elevate di glifosate, per resistere a un numero più elevato di erbicidi o entrambe le cose. Il rapporto segna la fine del mito della maggiore sostenibilità ambientale delle colture GM anche presso il grande pubblico.

D’altro canto, c’è chi sostiene che gli ogm siano una strada fondamentale da intraprendere per contrastare la lotta alla fame nel mondo. Un elemento quanto meno discutibile. Voglio dire: la nostra società spreca di tutto, dall’energia al cibo, e – quel che è peggio – è che lo spreco fa gioco al mercato. Qual è la sua opinione?


Una prima annotazione: le colture GM esistono già a livello commerciale (e si sono via via diffuse) da quattordici anni (dal 1996) e intanto in questo periodo il numero delle persone affamate è aumentato paurosamente di centinaia di milioni. Almeno finora sembra che abbiano prevalentemente fatto arricchire chi stava già bene. Nello specifico non è vero che gli attuali OGM producano di più o siano adatti per ambienti ostili (aridi, ecc.). Anzi, con molta onestà, di recente, Martin Taylor, presidente della multinazionale biotech Syngenta e già membro del Consiglio per la Scienza e la Tecnologia del governo britannico, ha ammesso che le industrie, finora, hanno dovuto puntare alla commercializzazione di un pacchetto di prodotti ingegnerizzati altamente lucrativo, ma dagli “scarsi benefici ambientali”. Il presidente della Syngenta ha riconosciuto che le varietà di colture GM esistenti sono state sviluppate in larga parte per il clima e il tipo di agricoltura propri dell'emisfero settentrionale, mentre sono poco idonee per i paesi in via di sviluppo. Taylor ha dichiarato che ci vorranno almeno venti anni prima che le nuove varietà destinate ai paesi del sud del globo siano sviluppate e testate. Mi sembrano dichiarazioni molto esplicite e prive di ambiguità, che smentiscono tutti i proclami trionfalistici dei fanatici pro-OGM. Inoltre  ricordo la produttività deludente della soia GM rispetto a quella convenzionale e i modestissimi incrementi del mais GM confrontato con quello non-GM. E non cito le altre colture transgeniche oggi in commercio, dato che non hanno alcune rilevanza per l’argomento che stiamo trattando. Piuttosto dico con chiarezza e senza alcuna ambiguità che la via per risolvere il problema della fame nel mondo passa attraverso la lotta alla povertà, alla corruzione, alle guerre che affliggono i paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Gli OGM forse potranno dare un contributo in futuro, ma solo dopo aver risolto in gran parte questi gravi problemi.

Lei parla dell’attuale trionfalismo sugli OGM. Ma quando iniziarono le colture commerciali, quale era il “clima” in proposito?

Non sarà male fare un po’ di storia per capire bene quante illusioni siano state alimentate così da essere un po’ smaliziati. Nel 1996 l’oligarchia del transgenico sognava a occhi aperti una veloce diffusione di colture commerciali di OGM sempre nuovi e con caratteri innovativi, contando di ottenere così profitti incredibili (vedi James, C. and A.F. Krattiger. 1996. Global Review of the Field Testing and Commercialization of Transgenic Plants, 1986 to 1995: The First Decade of Crop Biotechnology. ISAAA Briefs No. 1. ISAAA: Ithaca, NY. pp. 29-30). Infatti costoro pensavano che tra il 1996 e gli inizi degli anni 2000 si sarebbe completato lo sviluppo degli OGM di prima generazione, caratterizzati da “tratti agronomici” nuovi (tolleranza agli erbicidi, resistenza agli insetti e alle malattie, maturazione ritardata del frutto, ecc.). La seconda generazione era previsto si sviluppasse e giungesse a maturità tra la fine degli anni novanta e il 2005 circa. Doveva migliorare radicalmente i prodotti usati dall’industria agroalimentare (maggiore quantità di amido, saccarosio, acidi grassi e produzione di aromi, conservanti, ecc.). La terza generazione avrebbe dovuto abbracciare un arco di tempo circa dal 2003 al 2008. Avremmo dovuto ottenere vaccini, anticorpi, farmaci ricombinanti. Infine si prevedeva che la quarta generazione, dal 2007 circa in avanti, ci fornisse prodotti utili per l’industria chimica (monomeri e polimeri vari). Bei sogni! Ma dopo quattordici anni non c’è traccia in commercio di questi risultati strabilianti, se non solo per gli ormai vecchi prodotti di prima generazione, caratterizzati da “tratti agronomici”. Insomma uno sfoggio di ottimismo gratuito e interessato, misto a un preoccupante delirio di onnipotenza in una cronologia del tutto autoreferenziale.

“A pensar male si fa peccato, ma s'indovina quasi sempre”. Il mercato si concentra  ovunque si trovi  una ragionevole fonte di business. Così, chi prima produceva pesticidi, oggi si rifà producendo anche sementi ogm, in modo tale da coprire tutto il mercato. Oltretutto, poiché le sementi ogm non vengono riprodotte dalle stesse colture, queste devono essere necessariamente acquistate sempre da un produttore al prezzo stabilito. Messa così, dov’è la convenienza per chi acquista?

L’attuale fatturato delle aziende impegnate nella produzione di sementi transgeniche è stato valutato dall’ISAAA intorno ai 10,5 miliardi di dollari (comprendente il prezzo di vendita dei semi GM e le royalty sulla tecnologia), con un aumento del 17% rispetto all’anno precedente (a fronte di un incremento delle superfici coltivate con OGM del solo 7%%. Questo importo grava per un buon 30% sui circa 34 miliardi di dollari del mercato mondiale di sementi. L’effetto moltiplicatore è notevole, dato che viene raggiunto il 30% del mercato pur avendo solo il 9% della terra arabile coltivata con OGM! Come si vede è un enorme business… La convenienza per gli agricoltori può esserci laddove esistono proprietà di grandi estensioni e una tipologia standardizzata di agricoltura (come negli USA). Non è certo il caso dell’Italia, dove è prevalente la piccola proprietà fondiaria (siamo sulla media di 5-6 ettari), spesso tra l’altro anche frazionata, e dove esiste una produzione di alta qualità, molto differenziata e specifica, ricca di tipicità. A margine vorrei precisare che le piante GM non sono sterili per cui gli agricoltori potrebbero usare le sementi ottenute dalle loro culture, ma il problema dell’acquisto ogni anno di nuove sementi diviene obbligatorio per la presenza della copertura brevettuale.

Sostenendo gli ogm, si sostengono le multinazionali verso cui si rischia di diventare sempre più dipendenti, perdendo poco alla volta cose come identità, autonomia, sovranità alimentare. Da questo punto di vista, la cultura dell'ogm, non rischierebbe di mettere a repentaglio le realtà locali e le piccole imprese territoriali?


Questo timore è reale. Ma quando si parla di realtà locali, di piccoli imprenditori, di distretti della qualità, i soliti sponsor degli OGM accusano i loro critici di “nostalgie” e di “passatismo”. Sono con tutta evidenza critiche strumentali e infondate, che ignorano il valore aggiunto, anche economico, del “territorio” identitario e profondamente radicato nelle sue tradizioni, che non vanno confuse con la cieca e sterile conservazione sclerotizzata, anzi sono l’esatto contrario. Infatti solo una forte identità dinamica consente, anzi richiede il cambiamento nel tempo, che però deve essere equilibrato e armonico, come avviene in ogni organismo sano, caratterizzato dal “divenire” e non dalla “cristallizzazione”. Per questo voglio rimarcare la mia lontananza da ogni nostalgia bucolica e arcadica e da ogni retorica superficiale sulla bontà a priori dei “cibi naturali” (che possono essere dannosi come quelli artefatti, si pensi ai vari tipi di microrganismi produttori di tossine molto pericolose per l’uomo). Va detto che gli stessi cibi creduti “tradizionali” da secoli spesso hanno una origine recente. Quindi va fatta molta attenzione alle argomentazioni usate.

V’è poi un altro aspetto preoccupante, vale a dire il rischio che tali colture rovinino di fatto i campi. Non tutti ne parlano, ma negli Stati Uniti – ad esempio – le multinazionali hanno già perso le prime class action nei confronti degli agricoltori americani…

E’ vero. Ad esempio due distinte sentenze di tribunali USA hanno obbligato la Bayer CropScience a pagare 3,5 milioni di dollari ad agricoltori statunitensi che hanno avuto inquinamenti da transgenico nelle loro colture. Esiste il pericolo di un enorme carico di sanzioni pecuniarie, una vera e propria voragine che potrebbe penalizzare i comportamenti più sconsiderati delle multinazionali. Qui bisogna essere chiari: quando si citano esempi di “inquinamento” da OGM si tratta di fatti reversibili, per cui non è il caso di drammatizzare. L’importante è non varcare la soglia del “non-ritorno”: attualmente è un pericolo inesistente. Un domani non so. Certo che la strategia imperialista delle multinazionali, come la Monsanto o la Syngenta, che cercano di colonizzare il mondo e realizzare un oligopolio dei brevetti sulle principali e più redditizie colture alimentari, non lascia ben sperare. Anche per tali motivi ritengo che le ricerche sugli OGM in questo settore dovrebbero essere in gran parte pubbliche, in modo da escludere il “profitto” e quindi poter procedere con la giusta cautela, senza l’ossessione di dover recuperare velocemente gli investimenti fatti. Ma mi rendo conto che questa via attualmente potrebbe essere perseguita in pochi casi, considerato lo stato della ricerca pubblica, non solo in Italia.

Perché siamo arrivati a confondere la parola “ogm” con  il termine “progresso”. Ci può essere vero progresso senza ogm?

Secondo me è più corretto parlare in termini plurali, quindi non “progresso”, come mito totalizzante, ideologico, ma “progressi”: questo significa rifiutare un approccio apologetico, ingenuo, generico e massificante, per seguire un approccio attento, disincantato, razionale, differenziato e differenziante. Contro l’ideologia mercatista della lobby OGM, non dobbiamo abbracciarne una opposta e contraria, pauperista e regressiva, inevitabilmente perdente, ma dobbiamo uscire da questa soffocante logica a due “valori” omogenei per scegliere modalità, termini, aspetti e tempi dei “progressi”. Infatti dobbiamo analizzarne e valutarne i contenuti reali (e non propagandistici), fondamentalmente in relazione al benessere della nostra comunità nazionale. E questo evidentemente vale per tutti i popoli. Facendo un esempio tratto da un ambito economico e lavorativo: che “progresso” è quello che provoca un aumento dei profitti delle aziende e un parallelo aumento della disoccupazione, come è avvenuto più volte in alcune nazioni afflitte da una sfrenata logica liberista? Di questo “progresso” per pochi, puramente tecnologico, finanziario, ecc., ne facciamo volentieri a meno…

Quanto lei sta dicendo mi spinge ad approfondire il tema. Infatti il progresso è strettamente connesso al mondo della scienza moderna, quindi le chiedo il suo parere su quanto affermano alcuni, cioè che la maggioranza dei cittadini italiani si pone contro gli OGM perché esiste nel nostro Paese un generale “pregiudizio antiscientifico”, che si manifesta in tanti NO: al nucleare, all’alta velocità, ecc. per arrivare agli OGM.

L’argomentazione risulta credibile solo in apparenza: intanto direi che in Italia, più che un “pregiudizio antiscientifico”, è un po’ diffuso un altro tipo di pregiudizio”, quello “antitecnologico”, in particolare nei confronti delle megatecnologie (non certo contro computer e telefonini!), ben diverso dal pregiudizio “antiscientifico”. Al di là di questa precisazione, è sufficiente guardarsi intorno, senza lo sconsolante provincialismo di certi “commentatori,” per smentire la presunta consequenzialità tra il NO al nucleare o all’alta velocità e quello agli OGM. Infatti se ciò fosse vero, in nazioni come la Francia, la Germania o la Gran Bretagna, piene di centrali nucleari, treni ad alta velocità e megatecnologie avanzate di tutti i generi, dovremmo trovare una estrema disponibilità verso gli OGM. Ma la realtà ci dice l’esatto contrario. I cittadini in questi paesi hanno lo stesso atteggiamento critico verso gli alimenti transgenici al pari degli Italiani. Come si vede le argomentazioni polemiche della lobby pro-OGM sono deboli e spesso inconsistenti sotto il profilo della logica e dei fatti.

Interessante questo aspetto… e cosa sta avvenendo in Europa con le colture transgeniche?

Per rispondere, mi baso sui dati forniti da poco dall’ISAAA sul recente andamento di tali colture nelle nazioni europee. Nel 2009, rispetto al 2008 si è verificato un vero e proprio crollo del 12% dei terreni seminati con OGM, già per altro di estensione assai modesta: si è passati dai 107.719 ettari del 2008 ai 94.750 ettari del 2009, 76.057 dei quali coltivati dalla Spagna che, se pur in decremento del 4%, è la nazione con maggior presenza di colture transgeniche. Solo in Portogallo c'è stato un aumento (+ 5 % corrispondenti a 5.093 ettari), la Polonia è stazionaria (3. 000 ettari), mentre in tutte le altre nazioni si sono verificate riduzioni a due cifre: -23% per la Repubblica Ceca (6.480 ettari), - 47 % per la Romania (3.245 ettari), - 55 % per la Slovacchia (875 ettari), in Germania poi il calo è stato del 100% e quindi non esistono più coltivazioni GM. Da notare che pure in Francia e Gran Bretagna non sono presenti colture di OGM. Quindi si può ribadire che le nazioni europee più scientificamente e tecnologicamente evolute non sono “transgeniche”.

Eppure i sostenitori degli OGM dicono che da sempre l’uomo cerca di potenziare e rendere più efficienti le sue coltivazioni, e quindi la natura…

Naturalmente tutti siamo d’accordo che la natura vada “potenziata” e “perfezionata”, come dice anche la Chiesa, ma se pensiamo al significato delle parole appare evidente che la via del transgenico vero e proprio (cioè il trasferimento di geni tra organismi geneticamente molto lontani tra loro e che in natura mai potrebbero dare luogo a un accoppiamento con discendenza), pone non pochi problemi: rompendo le barriere naturali che esistono tra i gruppi biologici non si perfeziona la natura in quanto si esce dalle sue linee di sviluppo evolutivo, piuttosto la si altera, la si manipola sostituendosi all’azione di Dio o dell’evoluzione (a seconda delle proprie convinzioni). Ovviamente non si tratta di negare a priori questa strada per motivi ideologici, ma almeno si abbia l’onestà di non parlare di “potenziamento” e “perfezionamento”. Esiste una differenza qualitativa tra l’aumento artificiale del tasso di mutazione in un organismo (procedura molto seguita in passato, ad esempio, per il miglioramento della produttività del frumento) e l’inserimento di geni del tutto estranei: nel primo caso si accetta una idea organica e sistemica del vivente che si autoregola nel cambiamento attraverso un bilanciamento e un interazione tra vari livelli, non solo genici, nel secondo l’approccio è meccanicista e atomista: si sommano, in modo forzoso, pezzi di DNA esogeno al genoma di un organismo. Almeno andrebbero migliorate le tecniche che ancora sono grossolane: non sappiamo, ad esempio, quante copie del gene vengono introdotte e dove si vanno a posizionare. Sono aspetti molto importanti, a cui si aggiungono le recenti acquisizioni della ricerca, che hanno dimostrato come nel tempo il patrimonio genetico degli OGM vada incontro a un riarrangiamento. In un lavoro pubblicato nel 2008, su una importante rivista, Plant Molecular Biology, è stato dimostrato che il gene per la proteina Bt (molecola tossica per alcuni insetti), inserito nel mais MON810, ha “spezzato” un gene già esistente nella pianta. L’operazione di transgenesi, inoltre, ha determinato la formazione di segmenti di RNA, in origine assenti: in pratica questo RNA è frutto della “copiatura” di una parte del gene “spezzato”, prima menzionato, e di una parte del gene inserito. Ciò può determinare la sintesi di proteine nuove con effetti del tutto ignoti. Questo non è il solo caso, dato che altri laboratori hanno ottenuto risultati analoghi analizzando la soia transgenica, tollerante il glifosato, o altri tipi di mais GM. A seguito di una di queste scoperte (sulla mancanza nell’OGM di un pezzo della sequenza teorica del DNA inserito) la stessa Monsanto alcuni anni fa ha dovuto modificare già una volta il brevetto di un suo prodotto ingegnerizzato.

Lei ha appena parlato di “sintesi di nuove proteine con effetti del tutto ignoti”. Siamo entrati in un settore molto controverso: il rapporto OGM-salute. Il consumatore chiede: “c’è da fidarsi?”

Ovviamente nessun ricercatore pensa che gli OGM in commercio siano gravemente dannosi per la salute (d’altra parte – osservano alcuni - certi fenomeni patologici possono apparire dopo molto tempo e in seguito ad un consumo prolungato e rilevante), ma è altrettanto vero che esistono dati sperimentali che dovrebbero spingere a condurre ulteriori ricerche circa l’eventuale impatto sulla salute di alcuni alimenti ingegnerizzati, migliorando così anche la batteria di test a cui sottoporre ogni nuovo evento transgenico in attesa di autorizzazione (faccio riferimento agli studi condotti in vari Enti e Università italiane ed estere da esperti come Infascelli, Malatesta, Bertheau, Magaña-Gómez, Kiliç,  Séralini, Velimirov, Carrasco, ecc.). Chissà perché scarseggiano i finanziamenti per questi approfondimenti sperimentali…!

Ho sentito parlare di vie tecnologicamente molto evolute, ma che non richiedono l’uso della transgenesi. Esistono e possono conseguire buoni risultati?

Sì esistono e sono assai interessanti. Alcuni si “dimenticano” di evidenziare che la scienza e la tecnologia oggi disponibile possono fornire anche vie differenti da quella degli OGM per conseguire moltissimi risultati analoghi. Così viene ignorato, ad esempio, il breeding by design, che rappresenta appunto una alternativa alle piante transgeniche. Questo metodo costituisce una fase estremamente avanzata ed efficace delle tecniche di incrocio e selezione varietale: è una nuova e sofisticata tecnologia che permette di ottenere risultati precisi e rapidi. Come scrivono due esperti del settore, Peleman, e van der Voort, “Il breeding by design possiede le stesse potenzialità degli OGM per il miglioramento delle colture, ma richiede meno investimenti e inoltre non si pone in contrasto con l’opinione pubblica”. Pochi sanno che dal 2000 ad oggi almeno ventisette varietà vegetali sono state migliorate con l’uso della selezione operata mediante maker molecolari, ottenendo risultati molto soddisfacenti tanto che sono state immesse sul mercato e utilizzate in diversi paesi, anche in via di sviluppo. Andrebbe anche citato il riso Nerica, dalla elevata produttività e resistenza agli stress ambientali, che è stato il risultato, ottenuto senza transgenesi, della ricerca autoctona di scienziati africani. Con questo voglio dire che non bisogna confondere il campo molto ampio e differenziato delle biotecnologie, che presenta molteplici aspetti interessanti e promettenti, con quello più ristretto dell’ingegneria genetica e, ancora di più, della transgenesi in senso specifico: questi ultimi due settori fanno parte dell’ambito biotecnologico, ma non lo esauriscono affatto. Tutt’altro! Quindi si può essere perplessi verso gli alimenti transgenici senza per questo negare le grandi potenzialità positive di altri settori della biologia molecolare. E sottolineo tutto ciò per smentire ancora un volta l’interessata menzogna di chi accusa tutti i critici degli OGM di essere annebbiati dal pregiudizio antiscientifico. Sono loro ad essere “annebbiati” da interessi spesso poco limpidi.

In conclusione?


In conclusione – voglio ribadirlo - credo che la posizione più corretta nel campo degli alimenti e più in generale dello colture transgeniche sia quello di evitare posizioni ideologiche di qualsiasi tipo e valutare gli OGM caso per caso, naturalmente anche con particolare attenzione al contesto ambientale, culturale, sociale ed economico delle nazioni dove coltivarli. Per una valutazione corretta andrebbero analizzati in modo differenziato i diversi metodi e risultati inseriti nel vasto e composito ambito delle biotecnologie, quindi evitando ogni approccio totalizzante, sia pro sia anti-OGM. Inoltre particolare attenzione andrebbe riservata al problema dei brevetti attraverso i quali poche aziende potrebbero detenere di fatto un enorme potere su un settore così vitale e importante come quello dell’alimentazione. La sovranità alimentare dei popoli, di tutti i popoli, è intoccabile, indiscutibile. Per questo sarebbe molto utile una ricerca in biotecnologie prevalentemente e realmente pubblica. Comunque risulta per lo meno imprescindibile un reale controllo, da parte di laboratori sperimentali pubblici, sui nuovi OGM prima di dare l’autorizzazione alla loro immissione nel mercato. Questi, a mio parere, sono alcuni punti fermi da tenere presente.