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Schiavi delle borse di plastica

di Mario Tozzi - 12/04/2010

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Ogni anno sul pianeta Terra vengono utilizzati (o, meglio, consumati) centinaia di miliardi - avete letto bene! - di sacchetti di plastica monouso, che, se va bene, vengono gettati o abbandonati dopo mezz’ora dal loro acquisto.

Solo in Europa sono 100 miliardi all’anno, con l’Italia ben in testa a ogni graduatoria con circa 20 miliardi. Eppure gli italiani sono gli ultimi a recepire la normativa europea che voleva i sacchetti monouso fuori legge entro l’inizio di quest’anno: per distinguerci abbiamo già rimandato la nostra decisione al 2011, senza ancora impegnarci per una data precisa. Le alternative ci sarebbero, addirittura autarchiche, visto che una delle maggiori industrie che fabbricano plastica riciclabile in amido di mais risiede a Novara. Ma le altre industrie italiane, invece di attrezzarsi all’indispensabile riconversione ecologica, preferiscono fare pressioni sugli uomini di governo per rimandare decisioni francamente irrimandabili, favorendo comportamenti vergognosi dettati da una logica di profitto di basso profilo che ci fa fare una figura oscena di fronte al resto dei Paesi industriali.

Gli uomini sono gli unici animali in grado di fabbricare materiali che il pianeta Terra non riesce a riciclare naturalmente nei suoi millenari moti bio-geologici. Nessun animale è mai stato in grado di fare qualcosa di simile in oltre tre miliardi di anni di evoluzione, ma non sembra sia stato un buon risultato per gli uomini, sommersi come sono da montagne di immondizia (soprattutto di plastica), né per gli altri animali, soffocati o avvelenati come le decine capodogli italiani o le migliaia di tartarughe che ingeriscono sacchetti di plastica alla deriva scambiandoli per meduse o gli uccelli marini strozzati da filamenti infiniti di plastica. Per fabbricare un sacchetto di plastica, inoltre, si consuma energia e si inquina di conseguenza, eppure non ci si riesce a liberare di questo vero e proprio cancro che contribuisce in massima parte alla costruzione di quelle mostruose isole galleggianti di rifiuti che ormai cominciano a infestare i mari del mondo.

E non si vede nessuno spiraglio neppure nei comportamenti individuali: schiavi come siamo dello shopper monouso non sappiamo più nemmeno riprendere quell’abitudine sana delle nostre nonne di andare al mercato con la sporta a maglie elastiche che si adatta alla merce comprata e si utilizza all’infinito. Per dare una scossa, dal 17 al 24 aprile, Associazione dei Comuni Virtuosi, Wwf, Italia Nostra, Fai e Adiconsum tentano di diffondere l’utilizzo della borsa riutilizzabile invece dei sacchetti in plastica e monouso puntando, prima ancora che sul riciclaggio dei rifiuti, sulla loro riduzione all’origine, imballaggi e shoppers compresi. In molti centri commerciali è già possibile liberarsi in loco degli imballi eccessivi e i gruppi della grande e media distribuzione organizzata hanno fatto la loro parte ben al di là della tiepida posizione di chi ci governa. Per i cittadini, «portare la sporta» può diventare qualcosa di più di una semplice abitudine: può essere il primo atto di consapevolezza ecologica che apre un percorso di rinnovato rispetto verso l’ambiente. Il sacchetto, anche biodegradabile, ha rappresentato l’icona di uno stile «usa e getta», così come la sporta può diventare il segno distintivo di quanti non hanno solamente adottato un oggetto, ma uno stile di vita che antepone la consapevolezza all’agire automaticamente e superficialmente per soddisfare comodità momentanee, ignari del pegno che il pianeta e le future generazioni dovranno pagare.