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I biocarburanti crescono insieme alla fame nel mondo

di Giuliano Rosciarelli - 12/04/2010



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ECOLOGIA. Si intensifica l’utilizzo dei prodotti agricoli in grado di sostituire la benzina e il diesel. La loro origine naturale è più facilmente riassorbibile dalla natura e consente di ridurre le emissioni di gas serra da trasporto privato e di diminuire l’importazione di petrolio dall’estero. Ma l’altra faccia è il depauperamento delle risorse naturali. L’Associazione Actionaid chiede la moratoria sulla loro espansione perché il mercato agricolo risulta già alterato.

Più biocarburanti, più fame nel mondo. Un’infelice equazione portata alla luce dal rapporto “Chi paga il prezzo dei carburanti verdi” di Actionaid (Adozione a distanza e diritti umani contro la fame nel mondo), in cui vengono delineati i problemi legati all’aumento del mercato dei biocarburanti. Secondo le stime della Banca Mondiale, infatti, la produzione di biocarburanti sarebbe responsabile per il 75 per cento dell’aumento dei prezzi che ha portato alla crisi alimentare. Secondo Actionaid, occorre dunque che i Paesi impegnati nella produzione e nel consumo di biocarburanti adottino una moratoria su una loro ulteriore espansione. Le più recenti statistiche, spiega ancora il rapporto, evidenziano come il numero di affamati sia costantemente aumentato, passando dagli 854 milioni nel 2006 a oltre un miliardo all’inizio del 2009; dal gennaio 2007 a oggi, la malnutrizione cronica è invece aumentata al ritmo di due persone al secondo.
 
La corsa a soddisfare le attuali necessità di approvvigionamento attraverso biocarburanti da parte di Stati Uniti, Canada ed Europa ha alterato in modo persistente i mercati dei prodotti alimentari: due terzi dell’aumento globale della produzione di mais tra il 2003 e il 2007 e circa un terzo del mais prodotto negli Stati Uniti, sono stati trasformati in etanolo. In termini di prezzi, il costo della maggior parte dei generi alimentari, spiega ancora il dossier, è salito alle stelle, facendo registrare un aumento dell’83 per cento tra il 2006 e l’inizio del 2008 con un conseguente aumento delle persone che soffrono la fame di oltre 100 milioni nel solo 2008. In termini economici, conclude Actionaid, aumentando gli ettaprori adibiti alla produzione di biocarburante a danno dell’estensione delle superfici coltivate per l’alimentazione umana, la quantità di prodotto alimentare disponibile sul mercato diminuisce sostenendo la dinamica dei prezzi.
 
L’espansione dei biocarburanti è stata generalmente favorita dai Paesi in via di sviluppo, desiderosi di attrarre investimenti e creare nuove opportunità d’esportazione. Secondo uno studio di Actionaid, la dimensione totale dei soli progetti nel settore agricolo ha superato 13 milioni di ettari (equivalenti a 130.000 km2), una superficie pari alla metà del Regno Unito. Si stima che per soddisfare l’attuale domanda di biocarburanti, sia necessaria una superficie pari ad oltre 100 milioni di ettari, circa il 7 per cento del terreno arabile del pianeta e di quello occupato da colture permanenti del pianeta. L’Italia è in prima fila nella produzione di biocarburanti, facendone un utilizzo rilevante con circa il 3 per cento del totale dei combustibili per autotrazione.
 
Numeri destinati a crescere, viste le intenzioni del governo contenute nel decreto firmato nel gennaio del 2010 dal ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola insieme ai ministri Stefania Prestigiacomo (Ambiente), Giulio Tremonti (Economia e Finanza) e Luca Zaia (Politiche agricole): un decreto che aumenta sin da quest’anno la quota minima di biocarburanti da miscelare nella benzina e nel gasolio alzando il limite fino al 3,5 per cento nel 2010, al 4 per cento nel 2011 e al 4,5 per cento nel 2012. A eccezione del Brasile, spiega Actionaid, le principali industrie dedicate alla produzione di biocarburanti si trovano nei paesi del G8 (escludendo Russia e Giappone). Gli Stati Uniti ne mantengono la leadership mondiale, ma Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna occupano le prime posizioni tra i principali paesi europei.
 
“Nonostante siano evidenti gli ingenti problemi che derivano dai biocarburanti - sostiene l’associazione - le politiche dei Paesi europei, pressati dalle lobby industriali puntano comunque all’espansione”. Esempio di questa ambivalenza - evidenzia Actionaid - è la politica dell’Unione europea: la direttiva (2009/28/Ce) sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (inserita nel cosiddetto “pacchetto clima”) impone agli Stati membri di raggiungere, entro il 2020, un limite minimo del 20 per cento di energia da rinnovabili sul totale dei consumi e un limite del 10 per cento nel settore dei trasporti.
 
I Paesi membri sono lasciati liberi di scegliere le strategie più appropriate, adottando un piano d’azione nazionale specifico per le energie rinnovabili entro giugno 2010, nel quale ciascuno dovrà decidere il proprio mix di fonti energetiche e le misure da adottare per ottemperare alle prescrizioni dei criteri di sostenibilità dei biocarburanti. La direttiva, infatti, non specifica se il mix debba essere composto da agrocarburanti, anche di seconda o terza generazione, o da altre fonti rinnovabili (eolico, idroelettrico o fotovoltaico). “Appare però improbabile - conclude Actionaid - che i suddetti obiettivi possano essere raggiunti senza il ricorso ai biocarburanti, date le limitate possibilità di sviluppo di eolico, idroelettrico e fotovoltaico”.