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Cambiamenti climatici, Europa e informazione

di Vincenzo Ferrara - 22/04/2010



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CLIMA. I dati scientifici spiegano come siamo giunti ai limiti dell’insostenibilità degli equilibri naturali. Le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica hanno raggiunto livelli mai toccati.

l nostro pianeta ha un’età di circa 4.500 milioni di anni, mentre la nostra specie (Homo sapiens) comparve circa 150mila anni fa. In un in periodo di evoluzione che è un attimo rispetto all’evoluzione terrestre, abbiamo raggiunto la capacità di incidere e modificare l’intero sistema planetario, in vari modi ma soprattutto attraverso i cambiamenti del clima. Negli ultimi due secoli abbiamo estratto dal sottosuolo molte centinaia di miliardi di tonnellate di combustibili fossili e dopo averli bruciati abbiamo scaricato in atmosfera circa 1.500 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. In questo modo, abbiamo fatto in solo due secoli un percorso esattamente opposto a quello che la natura aveva fatto in qualche centinaio di milioni d’anni: ripulire l’atmosfera dall’anidride carbonica e da altri composti, permettendo all’uomo di comparire sulla terra. Risultato? Siamo giunti ai limiti dell’insostenibilità degli equilibri naturali. 
 
In soli 200 anni, le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica, nonostante gli assorbimenti degli oceani e della vegetazione terrestre, sono passate da 280 a 391 ppm (dato di marzo 2010), con un aumento di quasi il 40%, raggiungendo livelli mai toccati, non solo nell’ultimo milione di anni (di cui abbiamo la certezza scientifica) ma neanche, probabilmente, negli ultimi 20 milioni di anni. Bisogna tornare indietro agli inizi del paleocene per trovare valori simili. E così il ciclo naturale del carbonio è cambiato. Ma, siccome l’anidride carbonica è un gas serra, la temperatura del pianeta aumenta. Aumentando, la temperatura, aumentano anche le emissioni di altri gas ad effetto serra, come per esempio il metano seppellito (sempre dalla natura) in fondo agli oceani e nel permafrost delle regioni polari, e l’ulteriore anidride carbonica sepolta nel materiale organico dei suoli e del sottosuolo. Si sta creando una reazione a catena tra anidride carbonica e temperatura di cui non riusciamo a prevedere gli esiti. Per ora abbiamo sintomi evidenti ed inconfutabili del clima che cambia. 
 
Basta tutto questo per dire che la colpa è solo nostra? C’è dell’altro! Con la crescita della popolazione mondiale, passata da 1 a 6,5 miliardi di persone negli ultimi 200 anni, è cresciuto, in modo sproporzionato ed insostenibile, lo sfruttamento delle risorse naturali, con il risultato di cambiare le caratteristiche della superficie terrestre, è più in particolare le caratteristiche energetiche, e di scambio di energia, fra tutte le componenti del sistema climatico, cioè dell’atmosfera, degli oceani, della biosfera e della geosfera. Abbiamo cambiato cioè le capacità del sistema climatico di assorbire, emettere e trasferire, attraverso il ciclo dell’acqua e del carbonio, l’energia che ci arriva dal sole e, quindi, l’equilibrio energetico del sistema climatico: equilibrio che si chiama clima globale. Quello che ora preoccupa di più, non è tanto il clima che cambia, ma la velocità del suo cambiamento: ghiacciai polari (ma anche i ghiacciai alpini) che si liquefano ad una velocità impressionante, il livello del mare che cresce a ritmi innaturali, alluvioni e siccità che colpiscono con intensità e frequenza sempre maggiori (Italia inclusa), ecosistemi, compresi quelli mediterranei, che scompaiono o che si modificano rapidamente, ecc.
 
A molti non piace sentir parlare di cambiamenti del clima e preferiscono stendere un velo di silenzio sulla comunicazione. E così, siccome questo inverno ha portato freddo, raffreddori, influenza (altro che riscaldamento climatico) nell’orticello delle nostre case, fa comodo confondere la meteorologia con il clima e scambiare la pioggia che rovina il weekend, con i cambiamenti climatici del pianeta. Perciò è passata inosservata la notizia che l’inverno 2009-2010 è stato, a livello globale, il quarto più caldo inverno dal 1880 (da quando cioè ci sono misure attendibili) con un caldo record in Canada, e con una torrida estate australe dell’emisfero sud. Il cittadino medio non sa neanche che il mese di marzo 2010 è stato, a livello globale, il marzo più caldo mai registrato a partire dal 1880 e che il surriscaldamento degli oceani ha raggiunto un record assoluto nel marzo 2010: il valore più alto mai registrato a partire dal 1880.
 
Ma se in Italia l’informazione climatica ed ambientale non circola, o circola in modo deformato, discorso ben diverso è quello dell’Europadove la consapevolezze dei problemi del clima e dello sviluppo sostenibile è molto più alta. Purtroppo però dobbiamo ammettere che anche nell’Unione europea, che nel passato aveva giocato un ruolo guida per affrontare i rischi dei cambiamenti climatici e ridurne le conseguenze negative, la situazione è cambiata. Nell’ultima Conferenza di Copenaghen del dicembre 2009, la Ue si è, addirittura, defilata, lasciando tutto, o quasi, in mano alla Cina e agli Usa e ad alcuni supporter come India, Brasile Messico e Sud Africa, che hanno stabilito un accordo a nome e per conto di tutti i paesi del mondo, accordo di cui, però, l’Assemblea dei Paesi Onu ha solo “preso atto”, ma non ratificato. Se molti hanno visto in questo accordo (tanto eclatante quanto generico ed inattuabile), un aspetto positivo, perché Usa e Cina hanno riconosciuto l’esistenza del un problema climatico, tuttavia, non si può vedere anche l’aspetto negativo, legato alla perdita di ruolo e di credibilità storica della Unione Europea. La Ue, anche per mancanza di una forte coesione interna, non ha recuperato la sua leadership neanche dopo i recenti “climate talks” di 10 giorni fa a  Bonn. 
 
Il recupero della Ue, ora, deve basarsi sulla capacità di guardare alla riduzione delle emissioni da altri punti di vista e non solo in termini di contabilità ragioneristica alle ciminiere, cosa che favorisce la delocalizzazione delle imprese, il “carbon leakage” ed altre furbizie. Forse, sono maturi i tempi per visioni più integrate di contabilità climatico-ambientale e per puntare alla riduzione delle emissioni attraverso la qualità dei prodotti che circolano sui mercati mondiali, certificata in termini di efficienza energetica, di basso contenuto di carbonio e di minimizzazione dell’uso delle risorse naturali. Da tempo si parla della etichettatura di qualità di prodotti e servizi, che riporti la quantità di energia utilizzata per produrli, la quantità di anidride carbonica contenuta (carbon footprint) e l’uso efficiente delle risorse naturali (per esempio l’acqua mediante la water footprint). Sarebbe il caso di introdurla nelle strategie europee di riduzione delle emissioni di gas serra, ed imporla a livello internazionale, fatti salvi i principi di responsabilità e di equità. Lo sviluppo sostenibile dovrebbe, infatti, favorire la crescita del benessere socio economico di ciascun popolo, penalizzando nel contempo l’uso insostenibile di risorse naturali e degli strumenti e metodi con cui si ottiene il Pil. Forse non è facile andare su questa strada, ma certamente è il caso di accendere altre luci sul problema del clima, non di oscurarle.