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Paura e speranza a Kandahar

di Enrico Piovesana - 11/05/2010





L'operazione 'Speranza' spaventa la popolazione di Kandahar e rischia di produrre gli stessi effetti negativi dell'offensiva di Marjah

Ventitremila soldati - statunitensi, canadesi e afgani - si stanno preparando all'operazione Omaid (Speranza, in lingua dari), con la quale le forze alleate puntano a riconquistare i distretti rurali che circondano la città di Kandahar, in particolare le roccaforti talebane di Zhari, Panjwai e Arghandab, e a 'mettere in sicurezza' lo stesso capoluogo, dove verrà dispiegata una brigata dell'esercito Usa (3.500 uomini) e 7 mila poliziotti afgani.

L'offensiva dovrebbe scattare tra un mese, ma le forze speciali Usa stanno già conducendo operazioni mirate volte a eliminare i comandanti locali della guerriglia e a interrompere le linee di rifornimento talebane.
Gli insorti, dal canto loro, si preparano all'attacco facendo fuori esponenti chiave delle forze di sicurezza afgane e informatori al servizio della Nato, minando strade e ponti e facendo affluire centinaia di combattenti dalle province vicine.

La popolazione locale vive in un clima di angosciosa attesa. ''Non sappiamo se questa operazione sarà un bene per noi'', dice alla Reuters un negoziante del bazar centrale di Kandahar: ''Quel che è certo è che tanta gente innocente verrò uccisa e ferita, o dovrà abbandonare la propria casa''.
Una certezza condivisa dalla Croce Rossa Internazionale, che per questo ha potenziato di cento posti letto la ricettività dell'ospedale cittadino, il Mirwais Hospital: l'unico rimasto operativo nella regione meridionale dopo la chiusura dell'ospedale dell'ospedale di Emergency a Lashkargah.

La paura più grande paura degli abitanti di Kandahar è che i combattimenti non si limitino ai sobborghi rurali e che la guerra entri in città assieme alle truppe Usa e ai talebani in fuga dalla loro avanzata. L'ipotesi di una guerriglia urbana spaventa anche i soldati alleati, ma i comandi Nato non la escludono. Certo è che ''più soldati stranieri in città porteranno più attentati e più vittime civili'': ne è convinta la popolazione locale, ma anche i responsabili delle Nazione Unite, che per precauzione hanno evacuato dalla città tutto il personale straniero e blindato le proprie sedi locali.

Secondo un anziano capo pashtun della zona, Haji Abdul Haq, intervistato dal Guardian, ''la nostra gente non vuole la guerra, vuole solo vivere in pace e in sicurezza e non gli importa se a darle questo sono gli stranieri o i talebani''.
Il problema di queste grandi offensive alleate contro i talebani sta tutto qui: se sono le truppe straniere a portare la guerra, la battaglia per 'conquistare il cuore e le menti' della popolazione è persa in partenza, perché la gente percepisce gli stranieri, non i talebani, come causa di tutti i loro guai. A Kandahar con l'operazione Omaid rischia di ripetersi, su più vasta scala, quanto accaduto a Marjah, in Helmand, con l'operazione Moshtarak.

Secondo un sondaggio condotto a marzo su centinaia di residenti di Marjah dai ricercatori del noto think thank International Council on Security and Development (Icos, ex Senlis Council), il 61 per cento degli intervistati ha dichiarato di avere oggi un'opinione sulla Nato peggiore rispetto a prima dell'offensiva, il 71 per cento vuole il ritiro dei militari stranieri, e il 95 per cento sostiene che adesso i talebani stanno reclutando più giovani locali di prima.
Una reazione, spiega il rapporto Icos, frutto delle sofferenze patite dalla popolazione di Marjah per colpa delle truppe straniere: almeno 200 civili uccisi dalle bombe alleate (la stessa cifra riportata a febbraio da PeaceReporter), migliaia di feriti e circa 30 mila sfollati.