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Bobby Sands, martire d`Europa

di Fabio Polese - 11/05/2010

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Bobby Sands, nato nel 1954 ad Abbots Cross, sobborgo settentrionale di Belfast era un ragazzo tranquillo, cresciuto a Rathcoole, si trasferì diverse volte con la sua famiglia a causa delle costanti intimidazioni subite dai protestanti e, nel 1972, dovette addirittura lasciare il lavoro di apprendista carrozziere per le minacce sollecitate dai suoi colleghi. Stanco dei soprusi, poco più che diciottenne, decise di entrare a far parte dell’ I.R.A. - Irish Republican Army – entrando nella le fila dell’ala Provisional, la componente nazionalista maggioritaria dell’Esercito Repubblicano Irlandese che in quegli anni aveva molti contrasti con l’ala minoritaria marxista degli Officials che erano contrari alla lotta armata. Pochi mesi dopo, venne arrestato per porto abusivo di arma da fuoco e, al processo, rifiutò di riconoscere la corte. Scontata la sua pena Sands tornò ad abitare a Twinbrook e sei mesi dopo venne nuovamente arrestato per essere stato trovato all’interno di una macchina, armato, nelle vicinanze di uno scontro a fuoco. Dopo i duri interrogatori ai quali Bobby non rispose, al processo, nel settembre del 1977, rifiutando di riconoscere la corte, come nel primo arresto, fu condannato a quattordici anni di reclusione per detenzione di arma da fuoco. Dentro i blocchi H della prigione di Long Kesh insieme a tutti i combattenti repubblicani inizia una serie di proteste per il diritto di ottenere lo status di prigioniero politico abolito dal governo inglese nel 1976 che dichiarò: “Crime is crime, it’s not political“. Le richieste fondamentali erano cinque: indossare i propri abiti e non quelli dei detenuti comuni, essere esenti dai lavori del carcere, avere la libertà di associarsi agli altri detenuti politici durante le ore di svago, avere diritto alla stessa riduzione di pena dei detenuti normali e quella di ricevere una persona e una lettera a settimana.
Tutte le proteste fino ad ora intraprese non erano bastate a mettere a termine il trattamento brutale che il governo britannico perpetuava contro i combattenti irlandesi e da troppo tempo erano costretti a vivere in condizioni disumane, erano vestiti solo con le coperte e costretti a convivere con i propri escrementi. Proprio per questo motivo, Bobby Sands, insieme ad altri militanti irlandesi, presero la decisione di iniziare lo sciopero della fame – Hunger Strike –, una decisione tanto drastica quanto determinata. Il governo di Maggie Thatcher, al contrario delle speranze dei nazionalisti, continuò a mostrare verso chi soffriva in un modo così agghiacciante, solo l’indisponibilità a trattare con i prigionieri e la chiusura di qualsiasi forma di dialogo. Il 5 Maggio del 1981 alle ore 1 e 17 minuti Bobby Sands muore allo scoccare del sessantaseiesimo giorno di sciopero della fame nei blocchi H della prigione di Long Kesh. Accanto a lui, nell’ospedale della prigione, c’è sua sorella Marcella e suo fratello Sean. Il suo corpo è in condizioni terribili, uno scheletro che supera di poco i cinquanta chili. Nelle pagine di “Un giorno della mia vita”, libro scritto da Bobby Sands nel carcere, troviamo dei racconti incredibili che, leggendoli, ci fanno immedesimare in quello che lui e tutti i combattenti irlandesi stavano subendo. Barbarie atroci, soprusi, intimidazioni e torture. Malgrado il peso dell’angoscia e della sofferenza, Sands, conclude il suo racconto con un grido di speranza: “Se non sono in grado di uccidere il tuo desiderio di libertà, non potranno spezzarti. Non mi spezzeranno perché il desiderio di libertà, e della libertà della popolazione irlandese, è nel mio cuore. Verrà il giorno in cui tutta la gente d’Irlanda potrà mostrare il suo desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna”. A ventinove anni da quell’atto sacrificale, dall’isola d’Irlanda giunge a noi, inciso col sangue dei martiri, l’esempio di sacrificio e di lotta per la libertà. Onore.