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Un piano di 750 miliardi per difendere l’euro

di Filippo Ghira - 11/05/2010



 L’Europa e il Fondo monetario internazionale si sono accordati per un piano di 750 miliardi di aiuti per “salvare l’euro dalla speculazione”. Ben 250 miliardi verranno dal Fmi mentre gli altri 500 dai Paesi europei. Di questi, 60 miliardi verranno stanziati dalla Commissione europea e gli altri 440 saranno costituiti da prestiti e garanzie fornite dai Paesi membri del sistema dell’euro. I ministri delle Finanze dei 27 Paesi membri, recita un comunicato, “hanno deciso un pacchetto comprensivo di misure per preservare la stabilità finanziaria in Europa, compreso un meccanismo di stabilizzazione finanziaria”.
La concessione di fondi ai Paesi che dovessero averne bisogno sarà associata a “condizioni rigorose” e con un sistema che è molto simile a quello stabilito per la Grecia. Mentre la Banca centrale europea e la Bundesbank si sono dette pronte ad acquistare titoli di Stato dei Paesi in difficoltà.
Trovare un accordo è stato molto faticoso sia perché si metterà in campo una cifra di risorse imponente sia per l’impegno che tutto questo comporterà in termini squisitamente finanziari ma anche politici. Basti pensare che il piano di aiuti triennali di 110 miliardi a favore della Grecia, da parte della UE e del FMI, con un impegno tedesco di oltre 22 miliardi, è costato al Cancelliere tedesco Angela Merkel (nella foto) la sconfitta nelle elezioni regionali nel Nord Reno-Westfalia. In una fase di crisi come questa, nella quale i governi e gli organismi finanziari internazionali invitano a fare sacrifici e a stringere la cinghia, nessun cittadino è infatti disposto a vedersi oberato di nuovi impegni, peraltro originati dai buchi di bilancio degli altri Paesi. Con tanti saluti alla solidarietà europea.
Nonostante la risposta più che positiva delle Borse, quello che comunque appare assurdo è che i governi europei si pongano l’obiettivo di porre in essere misure per vanificare gli effetti della speculazione e nessuno di essi vada al cuore del problema. Nessuno quindi che si ponga di eliminare la speculazione finanziaria in quanto tale sia in Europa che sugli altri mercati, ad incominciare da quello statunitense. Nessuno che si ponga il problema che è necessario stabilire regole internazionali che impongano che non si possono investire i soldi che non si hanno, che è poi il principio base della speculazione. Nessuno che chieda a Barack Hussein Obama, il maggiordomo dell’Alta Finanza Usa, di impedire ai gangster di Wall Street di agire indisturbati. Se l’euro è sotto pressione è perché criminali del calibro di George Soros e John Paulson, o i dirigenti di banche tipo la Goldman Sachs, possono continuare a raccogliere denaro virtuale sui mercati, cioè soldi che non possiedono, e poi puntarlo contro i titoli di Stato greci e domani su quelli italiani, per guadagnarci sul breve termine e per affossare il sistema dell’euro sul lungo termine.
L’altro assurdo è che la speculazione venga da un Paese, come gli Stati Uniti, che da decenni vive alle spalle degli altri Paesi in conseguenza del suo enorme deficit commerciale e dell’altrettanto enorme debito pubblico. Due peculiarità che fanno sì che il dollaro non sia altro che carta straccia. Da parte sua, Obama si è limitato ad incoraggiare per telefono la Merkel ad adottare azioni decise in difesa della stabilità finanziaria dell'Europa, perché si è reso conto che un'azione speculativa a largo spettro contro l'euro, organizzata dai suoi padroni, avrebbe rischiato di avere effetti dirompenti sulle esportazioni degli stessi Stati Uniti. La realtà è quindi che l’Europa è impotente nei confronti degli speculatori, dal ministro svedese Anders Borg definiti “sciacalli”, e che le uniche misure che è in grado di varare sono quelle di contenimento e di difesa. Siamo in grado di difendere l’euro dagli speculatori, ha garantito la Merkel. Ma non di impedirgli di speculare.

Londra va per conto suo
Un altro aspetto che è emerso dalla riunione dell’Ecofin di Bruxelles è stato il no di Londra al piano di difesa dell’euro. Un no che era prevedibile non fosse altro che la Gran Bretagna non fa parte dell’euro e continua ad essere tenacemente attaccata alla sterlina. Ma soprattutto perché la Gran Bretagna ha svolto un ruolo determinante nel fare scoppiare la crisi finanziaria a cavallo tra il 2007 e il 2008. La finanza britannica ha infatti una forte impronta speculativa ed è proprio sullo sviluppo della finanza che i governi laburisti di Blair e Brown hanno impostato la loro politica economica negli ultimi 15 anni e che ha comportato un enorme piano di aiuti per salvare le banche che avevano massicciamente speculato. Proporzionalmente, forse più delle stesse banche americane. Una politica economica che ha comportato una non indifferente deindustrializzazione del Paese e che ora la Gran Bretagna sta pagando pesantemente con una crisi economica devastante, con il disavanzo pubblico ad oltre il 12%, con una disoccupazione di massa e una povertà crescente e con il valore della sterlina in caduta libera.

Nuove regole in arrivo
Resta in ogni caso la realtà di un Europa che di fatto è nata intorno ad un progetto di mercato unico e con un disegno politico messo in secondo piano e al servizio di quello. E’ da questa impostazione di partenza, nella quale i governi e la politica hanno accettato di essere sovrastrutture dell’economia e della finanza, che nasce l’impotenza nei riguardi della speculazione con l’adozione di misure che sono palliativi perché non vanno alla radice del problema, Adesso le prossime tappe saranno l’adozione da parte dei Paesi più a rischio, come Spagna e Portogallo, di misure di contenimento della spesa pubblica con tutto ciò che questo comporterà in settori come le pensioni e l’assistenza sanitaria. Poi il prossimo 21 maggio ci sarà la prima riunione del comitato per la riforma del Patto di stabilità. Da parte sua, il presidente della Commissione Europea Jose Manuel Barroso, ha affermato che, dopo le decisioni prese domenica notte, ogni tentativo della speculazione di indebolire la stabilità delle economie dell'euro è destinato a fallire. Sulla stessa linea il ministro degli Esteri, Franco Frattini che ha affermato che dopo aver spento l'incendio che rischiava di propagarsi a tutta la casa comune europea, si deve riflettere sulle regole che governano l’economia e la finanza, e rivedere i meccanismi di allerta sugli squilibri in atto e il peso e il ruolo delle agenzie di rating.

S&P promuove il piano
Giudizi positivi, e questo dovrebbe essere preoccupante, sono arrivati proprio da una agenzia di rating Usa, come Standard&Poor’s, che ha sottolineato che il piano europeo di sostegno all’euro, rappresenta una soluzione positiva sul lungo periodo perché fornisce un sistema di difesa e di protezione sul lungo periodo nei confronti dei Paesi più vulnerabili al rischio contagio. Si tratta di un piano di grande portata, ha detto un dirigenti di S&P. Per alcune settimane, ha sostenuto, l'Europa è stata severamente criticata dai mercati per i ritardi nel fornire risposte e così il piano avrebbe approvato ha recepito queste perplessità. Dubbi che in realtà erano quelli delle stesse società di rating che stavano di fatto facendo il gioco degli speculatori declassando l’affidabilità dei titoli del debito pubblico di diversi Stati, come l’Italia, e di conseguenza affossando la stabilità dell’euro. Per S&P, in ogni caso non ci sarebbe alcuna ragione per temere che qualche Paese europeo sia obbligato a lasciare il sistema dell’euro.