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Oliver Stone: ecco la politica a Cannes

di Maurizio Cabona - 16/05/2010

 



«La fame è un motore. La fame chiarisce le cose, la fame va dritta allo scopo, è l'essenza dell'evoluzione. La fame in ogni forma - fame di vita, d'amore, di soldi, di conoscenza - ha provocato l'ascesa dell'umanità… l'avidità è buona». Parole di Gordon Gekko (pronuncia: Ghekko), finanziere più abile, quindi più criminale di altri, personaggio principale di Wall Street di Oliver Stone (1987), dove lo interpretava Michael Douglas. Ecco ora il séguito, Wall Street-Il denaro non dorme mai, sempre di Stone, presentato fuori concorso ieri al Festival di Cannes. Con questo titolo vagamente da film di 007, esso uscirà a fine settembre. Ma non c'è da preoccuparsi che perda attualità: ci saranno altri enormi crac ed enormi scandali infine giunti alla luce da qui all'autunno. Tra i due episodi della saga dei Gekko sono intanto fallite Polonia, Messico, Argentina e Islanda. La Grecia non è fallita, ma è sotto amministrazione controllata, situazione in cui finiranno presto Portogallo, Spagna, Ungheria, eccetera. E ognuno veda in questo eccetera chi mettere nel Mediterraneo e sul Baltico. Situazioni estese, che fanno parlare sempre più apertamente di un'Italia avviata a essere divisa da una nuova Linea Gotica, confine meridionale del nucleo duro dell'euro. Non c'è fatto economico rilevante che non sfoci in geopolitica. Ma neanche gli Stati Uniti stanno troppo bene, se in otto anni di presidenza George W. Bush ha fatto stampare più dollari di tutti i suoi predecessori e se Barack Obama, in un anno e mezzo, ne ha fatti stampare anche più di Bush, come racconta Alberto Pasolini Zanelli nel recente saggio L'ora di Telemaco (Edizioni Settecolori).
Nel clima post-crisi del 2008, la paura di rischiare il fiasco s'è accentuata: ancor più di prima si rifanno - con stesso e regista e stesso protagonista, potendo - i film di grande successo. All'esigenza s'è dovuto adattere perfino Stone, che coi suoi tre Oscar conta più degli altri e il risultato è un polpettone economico-familista, due film sovrapposti: l'uno intercetta l'angoscia per l'esito sociale della crisi economica; l'altro soddisfa un'indicazione governativa che da oltre un decennio suggerisce a Hollywood di riproporre la famiglia come rifugio in un mondo senza cuore.
Figlio di un agente di Borsa proprio di Wall Street, Stone ne conosce l'ambiente fin da ragazzo e non deve essergli piaciuto molto se a meno di vent'anni s'arruolò volontario per la guerra del Vietnam. Ma sia in Wall Street, sia nel suo attuale séguito, uno dei suoi banchieri d'affari allude al padre... Ma la speranza di Stone stavolta è ancora minore che nel 1987: sconfitto dal rivale più ladro (Josh Brolin), il banchiere meno ladro (Frank Langella) si butta semplicemente sotto il treno della metropolitana, dopo aver sgranocchiato un ultimo sacchetto di patatine fritte.
Un film rispecchia il Paese in cui principalmente vuole incassare e negli Stati Uniti la critica al capitalismo, in un ambiente ufficiale - e Hollywood è ufficiale anche quando contesta - è ammessa solo per le sue presunte deviazioni, non per la sua natura. Malvagio non è il sistema, malvagi sono - talora - gli addetti al sistema. E il sistema americano avrebbe modo di emendarsi, non quello svizzero. In Wall Street-Il denaro non dorme mai c'è un'inquadratura di Zurigo, ma che di Zurigo non è.
Qui Gekko sarebbe riuscito a nascondere cento milioni di dollari prima di finire in galera per otto anni nel film precedente. Proclamandosi sorpreso - ma un regista abile raramente è un ingenuo - della popolarità che il suo personaggio di Gekko ha assunto nel tempo, Stone mi dice: «In quasi un quarto di secolo, con l'eco che ha continuato ad avere sulla stampa, Gekko è diventato un simbolo. Wall Street ha suscitato la convinzione che ci fossero un codice e una cultura tipici di questo centro finanziario, spingendo molti che vi lavorano a comportarsi e vestirsi - abito gessato, camicia a righe, cravatta a pallini sgargianti… - in un certo modo. Sebbene avessi ideato il primo Wall Street come un racconto morale, molti non l'hanno preso così. In tanti m'hanno detto: il film m'ha spinto a cercare una carriera in Borsa». Anche quando si rivela - lei sì - arma di distruzione di massa, la speculazione finanziaria trova dei fautori, convinti di esser capaci di trovarsi un giorno fra i truffatori, non fra i truffati. L'altro Stone da grosso Festival, cioè quello dei sempre interessanti documentari politici, specie quelli su Castro e Chavez, non è stato dunque sulla scena. Certa destra odia questi ultimi quanto Stone: si ricordino le idiozie contro di loro e contro la Mostra di Venezia per averli ospitati. Eppure Chavez e l'armatissima scorta non avrebbero potuto arrivarci senza il beneplacito del presidente del Consiglio… Più di una volta, specie dall'inizio delle guerre neocoloniali degli Stati Uniti, Stone mi ha raccontato delle accuse di tradimento contro di lui e su altri registi e attori (Clooney, Sean Penn…), per l'opposizione a Bush junior. Accuse talora lanciate da chi, più o meno consapevolmente, ha scambiato Gekko per un modello etico. Resta che il Festival di Cannes, quello di Berlino, quello di Roma, la Mostra di Venezia, non possono dire tutte le verità taciute del mondo, ma accettano quelle che si possono dire in un film decoroso. Per restare al film di ieri, non pare che alla Borsa di New York i titoli francesi siano precipitati solo perché Oliver Stone, a Cannes, rivela le truffe finanziarie. E nemmeno che abbia bollato questo Festival come "di merda".
Ogni Festival - da decenni - accoglie le opere corrosive; quelle corroboranti si fanno solitamente largo da sole. Sono strutture ufficiali, ma con una tradizione "alternativa". Ed è quanto mai necessaria, specie da quando, non solo in Italia, gli editori permettono solo saltuariamente ai giornalisti di occuparsi di politica. E allora lo fanno i registi, gli sceneggiatori, gli attori… Non sempre ci prendono, ma sempre esercitano quello che dovrebbe essere un diritto.