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Quando la burocrazia si mangia la politica

di L.Q. Cincinnato - 19/05/2010

Fonte: Liberaopinione.net



Un’altro presunto scandalo ha scosso i palazzi della politica romana. Alla provincia di Roma una ventina di consiglieri provinciali sarebbero sotto inchiesta per un affare di rimborsi gonfiati. Poiché presso l’ente provincia non è prevista l’indennità di carica (che esiste invece per i parlamentari e i consiglieri regionali), si è pensato a una forma di rimborso per la mancata attività (i cosiddetti giustificativi). Ovvero, chi fa il consigliere provinciale riceve un rimborso pari al reddito percepito nella attività lavorativa, diciamo così, “da borghese”. Se nella vita lavorativa guadagna mille euro al mese, gliene rimborsano mille, se ne guadagna seimila gliene rimborsano seimila. La magistratura romana sta accertando i presunti illeciti nelle dichiarazioni dei consiglieri provinciali. Si tratterebbe di assunzioni fittizie, di cifre gonfiate, richieste alla provincia da parte di alcuni consiglieri. Gli interessati comunque smentiscono, dichiarandosi innocenti.
Il fatto potrebbe scandalizzare l’opinione pubblica. Anche se resta lecito chiedersi per quale motivo un signore che fa politica dovrebbe lasciare il proprio lavoro, diventare consigliere provinciale (attività che, se fatta bene, presume un certo impegno) e qui lavorare gratis, se gratis non muove la coda nemmeno il cane. Se il sistema dei rimborsi non va bene, ne andrebbe previsto uno alla luce del giorno, rapportato al lavoro effettivamente svolto e uguale per tutti, proprio come per i parlamentari e i consiglieri regionali. Si può ragionare sulle cifre, che qualcuno giudica eccessive, ma qualcosa bisogna pur dare a chi si impegna al servizio del bene pubblico, altrimenti si alimentano il qualunquismo nell’opinione pubblica e la corruzione degli eletti ovvero la loro sottoposizione alle varie (io ti faccio eleggere e tu in cambio sostieni i miei interessi).
Sul sito della provincia di Roma è possibile comunque leggere l’anagrafe patrimoniale dei consiglieri: si va da un minimo di 16 mila a un massimo di 114 mila euro l’anno di costo complessivo, per un totale di meno di due milioni di euro per il 2009. I consiglieri provinciali sono attualmente 45, con la legge Calderoli dovrebbero diminuire del 20 per cento, già alle prossime elezioni. Sul medesimo sito è possibile leggere il costo di ciascuno dei 73 dirigenti dell’ente. Si va da un minimo di 94 mila sino ad un massimo di 193 mila euro lordi annui da loro percepiti. La struttura burocratica è divisa in quattordici dipartimenti, a loro volta organizzati in 40 servizi, divisi tra le varie competenze (servizi sociali, scuola, governo del territorio, ecc., ecc., ecc.), in tre uffici extradipartimentali (polizia provinciale, protezione civile, avvocatura provinciale) e diversi altri uffici. Ci sono inoltre 17 società partecipate, a vario titolo, dalla provincia. La provincia di Roma ha un bilancio che vede entrate complessive di 678 milioni di euro (2009). La spesa corrente è di circa 480 milioni. La spesa corrente “disponibile” (che serve per pagare gli interessi sull’indebitamento, i costi per la provincia capitale e sopratutto i costi per il personale) ammonta a 204 milioni. Quindi, ricapitolando, 2 milioni costano i consiglieri e oltre 200 milioni costa la macchina burocratica. Il rapporto è di uno a cento. Così per la spesa per gli investimenti (scuole, viabilità, mobilità, sport, restauri, patrimonio, tutela ambientale e altro) rimangono, alla fine, poco più di 148 milioni.
In questo modo scopriamo che la provincia è sopratutto una macchina che funziona per alimentare se stessa e la propria burocrazia. Da un presunto scandalo per rimborsi fittizi (dove è giusto che la magistratura faccia tutta la luce e colpisca esemplarmente eventuali illeciti) si passa così a numeri che la dicono lunga sul livello e sui limiti della spesa della provincia di Roma. La colpa non è certo di Nicola Zingaretti (l’attuale presidente, che anzi ha registrato nel 2009 un avanzo di gestione di 72 milioni, ridotto i costi degli interessi passivi dell’8 per cento e del personale per un milione), né dei dirigenti o dipendenti attuali che hanno vinto un regolare concorso, ma di un sistema che per anni ha alimentato la grande costosissima macchina della burocrazia che finisce per limitare, a causa del suo costo, anche tutte le scelte che la politica dovrebbe fare.