Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Di patria e di mamme

Di patria e di mamme

di Alessandra Colla - 30/05/2010

http://www.gexplorer.net/notizie/wp-content/uploads/2010/01/itali.jpg

Un paio di pellegrini che frequentano questo spicchio di Webland mi hanno chiesto perché non ho scritto niente sui militari italiani morti in Afghanistan.
La risposta educata è “perché me n’è mancato il tempo” — ho una vita piuttosto densa nel mondo reale, e le incursioni nel web non mi sono sempre concesse.
La risposta sincera ma ineducata è “perché non me ne frega niente, fondamentalmente”.
Preciso: il menefreghismo non si riferisce certo alla morte in sé. Ogni morte ci tocca, ogni essere vivente che scompare modifica — inevitabilmente e per sempre — la fitta tela del reale. E poco importa che ne siamo consapevoli o no: l’intreccio di trama e ordito, in questo arazzo lavorato da tessitrici più antiche e più operose delle Moire, è invisibile ma così tenace che nulla può realmente spezzarlo.
Dunque, non è alla morte di due persone che sono indifferente.
Sono indifferente al rumore di fondo che accompagna questa notizia (nonché tutte le altre analoghe passate e, mi sento di profetizzare, future).

Detto così è difficile da credere, ma alle elementari mi è toccato cantare il coro di un’opera di Saverio Mercadante, Caritea, regina di Spagna — robetta: «Chi per la patria muor vissuto è assai, / la fronda dell’allor non langue mai. / Piuttosto che languir sotto i tiranni, / è meglio di morir sul fior degli anni».
La cosa mi è venuta in mente sentendo l’intervista fatta al padre di uno dei militari morti (recupereranno mai i nostri gazzettieri cannibali necrofili deamicisiani e astuti un briciolo della prisca dignità che fu di Edoardo Scarfoglio, tanto per dirne uno? Ne dubito. Chiusa parentesi). Quest’uomo, comprensibilmente disperato per la tragedia peggiore che possa toccare a un padre, si aggrappava al solo concetto in grado di rendergli tollerabile lo strazio: “mio figlio è morto per la patria”.
Peccato che suo figlio non sia morto per la patria. Suo figlio è morto per niente, verrebbe da dire, ma purtroppo non è così. Suo figlio, come tutti i militari italiani morti in terra straniera dall’11 settembre 2001 in poi, è morto per difendere gli interessi della “nazione sotto Dio” che ha distrutto la sovranità nazionale dell’Italia facendone una risibile colonia e calpestandone ogni dignità — lo si vede tutti i giorni, e lo si può toccare con mano.

Ma “patria” è una parola magica: basta pronunciarla perché tutti si alzino idealmente in piedi salutando la bandiera e stonando l’inno nazionale, mentre nella memoria si affollano alla rinfusa i nomi di quanti, nei secoli e col loro sangue, hanno fatto l’Italia — càpita pure che scenda una lacrima. Ha funzionato così anche stavolta: Massimiliano Ramadù e Luigi Pascazio sono morti per la patria, e guai a chi s’azzarda a cavillare su termini e concetti. Fatto sta che sono morti: in missione di pace ma in divisa — guai a chi non porta le proprie armi, perché dovrà portare quelle degli altri.

C’è anche un’altra paroletta magica, ed è “mamma”.
Lo impariamo da piccolissimi: basta dirla, magari piangendo un po’, e la mamma arriva subito.
Ma c’è di più. Questa magia non si esaurisce qui, e nemmeno finisce con l’età adulta: basta parlare di mamme, e l’ICP (Indice di Commozione Pubblica) schizza fuori scala. Lo sanno perfettamente i gazzettieri e i pubblicitari, non ho bisogno di star qua io a raccontarvelo.
L’ultimo esempio ci viene offerto dalla triste vicenda della famiglia Briatore, deprivata del suo yacht per colpa di un’ordinanza malandrina della Guardia di Finanza che ne decretava il sequestro.
Lo choc è stato tale che alla signora Gregoraci in Briatore è capitato di perdere il latte, mentre l’erede Falco Nathan sembra aver accusato disturbi del sonno. Elisabetta Gregoraci ha poi smentito la cosa, ma le malelingue sostengono che si tratti di una “pezza a colore”, come dicono a Napoli.
Io mi limito a chiedermi cosa dovrebbero dire le mamme e i bambini della Striscia di Gaza, laggiù nella Palestina occupata. Potrei anche interrogarmi sulla reale possibilità che esista una giustizia a questo mondo, come sosteneva quel bosino del Renzo T.; ma forse non mi resta che sperare in un universo parallelo.