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La dottrina di Obama

di Eugenio Roscini Vitali - 31/05/2010




Giovedì 27 maggio il presidente americano Barak Obama  ha presentato al Congresso e alla nazione il documento riguardante la stragia sulla sicurezza nazionale, un atto che sostanzialmente sancisce una linea di continuità con il suo predecessore, George W. Bush, e ribadisce la volontà americana di «mantenere la superiorità militare che per decenni ha garantito la sicurezza nazionale e sostenuto la sicurezza globale».

Pur avendo identificato nei cosiddetti “terroristi cresciuti in casa” il nuovo nemico interno, l’inquilino della Casa Bianca non ha proposto eccessive novità e si è limitato a cambiamenti puramente linguistici. Nel documento non si parla più di una “guerra contro il terrore”, ma di una guerra contro Al-Qaeda; non ci si appella più al diritto ad agire in modo autonomo ed unilaterale, ma si proclama la necessità di rafforzare la propria legittimità attraverso un ampio sostegno internazionale.

Niente di nuovo dunque e nessun riferimento alla notizia diffusa qualche giorno prima dal New York Times che ha parlato di un ordine militare segreto firmato il 30 settembre scorso dal generale David Howell Petraeus, capo del Comando Centrale USA per il teatro mediorientale (Centcom), un documento in sette pagine con il quale è stato dato il via all’impiego di forze speciali per azioni di guerra non convenzionale e sotto copertura.

La direttiva, approvata dal Comandante in capo, Barak Obama, autorizza il Pentagono a svolgere attività clandestine in Medio Oriente, nel Corno d’Africa e in tutte quelle aree, inclusi i così detti “Stati amici”, dove la reazione alla minaccia è più lenta o meno efficace e dove è necessaria un’azione di forza, anche a rischio di aprire una crisi diplomatica. La disposizione emanata da Petraeus completa il piano iniziato dalla prima amministrazione Bush e rappresenta l’ultima fase di un progetto che prevede la realizzazione di una rete militare capace di colpire e neutralizzare le cellule e i gruppi terroristici legati ad Al Qaeda e coprire i settori geografici dove vengono promosse attività anti occidentali.

Nella sostanza, la dialettica delle amministrazioni che dal dopo guerra ad oggi si sono susseguite alla guida della più grande potenza militare mondiale non è mai cambiata: preparare un’alternativa militare nel caso in cui la diplomazia fallisca. Quello che è cambiato nell’ultimo decennio è un’accentuata applicazione della politica dell’intervento preventivo, la politica della pressione sui gruppi eversivi suggellata da un livello sempre più alto della sicurezza nazionale evocata dalla presidenza Bush. Al ciclo, iniziato alla fine del secolo scorso da "Dick" Cheney e Ronald Rumsfeld, il comandante del Centcom aggiunge però un tassello: il Pentagono potrà pianificare uno sforzo sistematico e di lungo termine in territori ritenuti sensibili senza la regolare supervisione del Congresso e l’approvazione preventiva della Casa Bianca.

La gestione diretta di tutte le fasi delle operazioni segrete anti-terrorismo  riduce sensibilmente la dipendenza del Pentagono dalle agenzie d'intelligence ed invade in particolare il campo della CIA, fatto non del tutto nuovo viste le iniziative che negli ultimi tempi hanno caratterizzato l’azione delle truppe Usa in Medio Oriente, la gestione dei rapporti con i contractors che hanno il compito di dare la caccia ai talebani in Pakistan e in Afghanistan, gli interventi in appoggio alle truppe locali in Yemen e le infiltrazioni e gli attacchi ai rifugi qaedisti in Somalia, come quello avvenuto poche ore dopo  l’emanazione dell’ordine del Generale Petraeus, nel quale è morto Saleh Ali Saleh Nabhan, uno dei terroristi islamici più ricercati dell’Africa orientale.

Nel quadro della nuova lotta globale alla minaccia terroristica rientrano anche le operazioni già avviate, come la crescente implicazione militare americana in Mali, voluta da Bush per cercare di contrastare le attività dei terroristi islamici nello Sahel ed autorizzata da Barack Obama per rafforzare la presenza Usa in Africa. Un intervento nato per difendere la giovane democrazia africana e i suoi giacimenti (oro, uranio, ferro e fosfati) da Al-Qaeda, anche se nulla prova che Al-Qaeda nel Sahara sia davvero Al-Qaeda e non sia piuttosto un’organizzazione nata grazie agli appoggi di qualche servizio segreto “deviato” e alla disponibilità di personaggi quali Amari Saifi El-Para, ex-ufficiale delle forze speciali algerine addestrato (guarda caso) tra il 1994 e il 1997 dai berretti verdi americani a Fort Bragg.

Secondo alcuni funzionari il provvedimento firmato da Petraeus potrebbe aprire la strada ad un possibile attacco all'Iran. Qualora le tensioni sul dossier nucleare dovessero riacutizzarsi la partita si giocherebbe sulla possibilità di evitare che Israele metta in atto un intervento militare preventivo che darebbe vita ad una lunga guerra di posizione. A marzo, subito dopo la visita a Gerusalemme del vice presidente americano Joe Biden, la Casa Bianca ha deciso di rafforzare la sua presenza militare nell’Oceano Indiano, destinando all’arsenale della base aerea situata sull’isola Diego Garcia, arcipelago delle Isole Chago, 1.500 chilometri a sud dello Sri Lanka, 387 sistemi d’arma Joint Direct Attack Munition  (JDAM), i famigerati kit aggiuntivi che installati sulle bombe MK-84/BLU-109 da 2.000 libre (909 chilogrammi) o sulle MK-83/BLU-110 da 1.000 libre trasformano gli ordigni nelle micidiali bombe anti-bunker che potrebbero essere utilizzate per attaccare i siti nucleari e le installazioni della difesa aerea iraniana.

Nonostante l’appoggio della Casa Bianca - nella sola penisola Arabica nel 2010 il Dipartimento della Difesa ha già speso più del doppio dei 150 milioni di dollari destinati all’acquisto di elicotteri ed armamenti per le forze speciali  che operano in appoggio alle forze locali - negli Stati Uniti la disposizione emanata da Petraeus ha comunque sollevato non poche perplessità. Negli ambienti del Pentagono c’è chi teme che nel caso in cui i commandos cadessero nelle mani del nemico potrebbero essere accusati di spionaggio e perdere i diritti sanciti dalla Convenzione di Ginevra.

E a Washington c’è chi teme che l’impiego di militari in azioni di guerra non proprio convenzionionali e sotto copertura, potrebbe compromettere le relazioni con Paesi amici come l'Arabia Saudita e lo Yemen o esacerbare ulteriormente gli animi in nazioni ostili come la Siria e l'Iran, dove operano gruppi che, secondo Teheran, godrebbero del sostegno dell’intelligence americano, come il movimento armato separatista sunnita Jundullah (Soldati di Dio) che per anni ha seminato terrore e violenza nel Balucistan iraniano.