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Reportage da Gaza senza cibo nè medicine

di Pietro Del Re - 07/06/2010




Aziz gestiva una fabbrica tessile Adesso ha chiuso per mancanza di materia prima
L´80% dei beni di consumo, dalla farina alle moto, entra a Gaza dai circa 1.600 tunnel
Taisir, 5 anni, è tetraplegico. Il padre: "Non mi danno il visto per farlo curare"

È un mare torbido e maleodorante quello da cui doveva arrivare la manna umanitaria fatta di medicinali, cemento, quaderni, giocattoli e tutti quei beni che nella Striscia scarseggiano dal 2006, da quando cioè Israele ha cominciato a soffocarla lentamente, chiudendone i valichi terrestri e isolandola con un impenetrabile blocco navale. «Nutrivamo tutti molte speranze nella nave turca, perché sapevamo che era piena di attivisti e che questi non si sarebbero arresi facilmente», dice Aziz, il quale prima dell´embargo gestiva una fabbrica tessile in cui lavoravano cinquanta persone, ma che un paio d´anni fa è stato costretto a chiudere per mancanza di materia prima. Aziz sperava che l´arrivo della Flottiglia Free Gaza avrebbe concentrato l´attenzione dei grandi network internazionali sulle sofferenze della sua gente. «Da questo punto di vista è andata benissimo: mai come in questi giorni si è parlato delle conseguenze del blocco israeliano. E questo lo dobbiamo ai martiri della "Mavi Marmara"».
Sulle case grigiastre che costeggiano la spiaggia, sventola qualche bandiera turca. L´aria è impestata dal fumo delle bancarelle dove vengono arrostiste pannocchie ancora acerbe. Dopo il cruento arrembaggio di lunedì scorso, quando due giorni fa s´è stagliata all´orizzonte la sagoma della "Raquel Corrie", gli abitanti di Gaza l´hanno appena degnata di uno sguardo. Sapevano che gli israeliani avrebbero intercettato anche il cargo irlandese. Dice Aziz: «Sarebbe stato umiliante accettare quei doni, ma siamo ridotti così male che non avremmo potuto rifiutarli».
Nel porticciolo dove dovevano attraccare le imbarcazioni dei pacifisti molti capannoni sono chiusi. Padre di dieci figli, Soher Bakir ci spiega che da quando c´è il blocco navale, ai pescatori non è consentito allontanarsi più di due miglia dalla costa, perciò oltre la metà della flotta di pescherecci è ormai in disarmo. «Il nostro mare non è più pescoso come una volta, quindi, per sfamare la mia famiglia, la notte sono costretto ad avventurarmi oltre il consentito, rischiando ogni volta la vita. Quando superi di poche decine di metri il limite stabilito, la marina israeliana ti spara addosso», dice Bakir che, suo malgrado, ha cominciato ad acquistare salmone surgelato importato a Gaza dai grossisti di Tel Aviv.
Ex combattente delle milizie Azzadine el Qassam, il braccio armato di Hamas, Hamed Hassan è oggi uno dei leader dell´organizzazione estremista islamica. «Inizialmente i vertici di Hamas erano contrari all´arrivo della flotta umanitaria, perché sostenevano che sarebbe stato come chiedere l´elemosina. Poi, una volta capito il risvolto politico della faccenda, hanno cambiato parere. Ma attenzione: ricevere gli aiuti è anche un´ammissione della nostra incapacità a gestire l´embargo di Israele». Quando gli chiediamo se è per questo motivo che Hamas non lascia entrare a Gaza il carico della "Mavi Marmara" che gli israeliani vorrebbero adesso consegnare ai loro destinatari originari, così risponde Hassan: «Non vogliamo prestarci al gioco di Israele che con una mano accarezza i nostri figli mentre con l´altra cerca di sgozzarti. Netanyahu e i suoi ministri vorrebbero farsi passare per benefattori. Ma si sbagliano se credono di farci la carità».
Emblematica è la storia del piccolo e sorridente Taisir al Burai, cinque anni, da quattro tetraplegico per via di un farmaco sbagliato. Secondo i medici palestinesi e stranieri che l´hanno visitato, la sola opportunità per farlo guarire, o quanto meno migliorare, consiste nel portarlo in Israele o in Germania o addirittura in Giordania, comunque lontano dai decrepiti ospedali di Gaza. «Sono due anni e mezzo che chiedo all´esercito israeliano un visto per uscire da Gaza, ma da allora ho ricevuto soltanto rifiuti», dice suo padre Ramzi, secondo il quale lo Stato ebraico discrimina i più poveri, in particolare se musulmani, come appunto gli abitanti della Striscia. L´esercito di Israele ha tuttavia rilasciato un visto alla moglie di Ramzi, che le permetterebbe di accompagnare il figlio all´estero, in una struttura sanitaria adeguata. «Perché non ce la mando? Perché c´è il rischio che dopo il valico di Erez mia moglie venga stuprata da una banda di ebrei. Ma potrebbe anche finire in un carcere dei servizi segreti israeliani, dove le farebbero il lavaggio del cervello».
Taisir necessita di farmaci che a Gaza difettano. In mancanza di meglio, il bimbo assume una molecola a cui ormai è assuefatto. Ma è proprio vero che nella Striscia scarseggiano le medicine? «Sì, mancano soprattutto quelli per le malattie croniche, che si tratti di anti-diabetici o di anti-ipertensivi. Abbiamo solo quelli che arrivano dall´Egitto attraverso i tunnel», spiega la farmacista Ranya al Daouk. «E´ perciò vitale che i farmaci portati dalle imbarcazioni umanitarie arrivino al più presto, anche se come ho letto da qualche parte sono in parte scaduti e anche se una volta giunti nei nostri ospedali vengono distribuiti non in base al bisogno del paziente ma piuttosto all´identità del malato».
Come i farmaci, anche l´80 per cento dei beni di consumo, dalla farina alle motociclette, entra a Gaza dai tunnel, che seconda una stima della polizia egiziana sarebbero circa 1.600. Secondo Mohammed Hassouna, proprietario dell´omonimo supermercato, questo significa che otto commercianti su dieci sono dediti al contrabbando. «Quanto agli altri sono morti di fame che vivono, o meglio sopravvivono, sia con le tessere alimentari dell´Onu sia di debiti», dice Mohammed. Il quale, per avvalorare la sua tesi, tira fuori da un cassetto un quaderno spesso come un elenco telefonico su cui da quattro anni segna i nomi di tutti i suoi debitori.