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La Strada della storia

di Marie-Amélie Carpio - 07/06/2010

    
 
http://www.patagonia-biking.com/photos/pakistan_karakorum-highway.jpg
 
Da quando nasce nel Tibet cinese fino al suo arrivo in India passando per il Pakistan, il lungo fiume Indo verrà chiamato in nove lingue diverse. La Karakorum highway (Kkh) è una spettacolare strada che corre lungo il tratto pakistano dell’Indo collegando il paese alla Cina.
Un reportage francese ci mostra come qui la storia antica incroci i grandi problemi del mondo contemporaneo: antiche incisioni rupestri e reperti archeologici risalenti alla via della seta rischiano di essere distrutti a causa della costruzione di una grande diga che dovrà risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico del Pakistan. L’acqua, bene essenziale e sempre più conteso, rischia però di divenire anche un’ulteriore motivo di scontro nel conflitto del Kashmir con l’India.


“Karakorum highway (Kkh), l’ottava meraviglia del mondo”, si legge su un cartello lungo la strada. Il giudizio è meritato. La Kkh collega Islamabad alla provincia cinese del Xinjiang e offre un panorama incredibile. Siamo tra le catene montuose dell’Himalaya, del Karakorum e dell’Hindukush e la strada sembra abbracciata alle pareti di queste montagne, mentre le gole del fiume Indo fanno da guida a valle. Per costruire questa strada ci sono voluti vent’anni di lavoro e la tenacia di migliaia di operai pachistani e cinesi. Purtroppo centinaia di loro sono morti durante i lavori.
La Kkh è stata costruita tra gli anni sessanta e settanta, ma il percorso che costeggia l’Indo risale indietro nel tempo. Prima della sua annessione al Pakistan nel 1949, la regione (erano le ex Northen Areas, oggi ribattezzate Gilgit-Baltistan). Per millenni è stata un punto di raccolta per soldati, pellegrini e commercianti. Dal II secolo a.C. ospita una delle piste della via della seta. La Kkh segue il tracciato dell’antica via e ancora oggi ne sono visibili alcuni tratti. Molti altri indizi segnalano la presenza umana in epoche remote: oltre cinquanta petroglifi incisi sulle rocce lungo l’Indo, scene di caccia che risalgono al primo millennio a.C., incisioni che rappresentano guerrieri persiani, testimonianza dell’espansione dell’impero achemenide nel V secolo aC, immagini incise di cavalli e di mercanti sogdiani venuti da Samarcanda, principali intermediari del commercio sulla via della seta. Le incisioni rupestri più numerose e spettacolari risalgono alla diffusione del buddismo nella regione. Le rive dell’Indo sono costellate di rappresentazioni di stupa, budda e jataka. A volte si tratta di semplici grafiti. Altre, in particolare quelle dell’epoca buddista, di opere su commissione. Queste opere finirono con l’arrivo dell’islam, nel XVI secolo. “In assenza di una storia scritta, le incisioni sono degli archivi a cielo aperto insostituibili”, mi spiega l’archeologo Harald Hauptman, che da vent’anni si occupa, come capo di una missione pachistano-tedesca delle università di Heidelberg e Islamabad, di catalogare i petroglifi. In questi ultimi tempi il suo lavoro è diventato una corsa contro il tempo: i petroglifi rischiano di scomparire nel 2016 con l’entrata in funzione della diga idroelettrica di Diamer-Basha. Il suo invaso sommergerà una zona lunga cento chilometri, dove si trova il 75 per cento delle incisioni rupestri. Il progetto, che dovrebbe eliminare il problema della mancanza d’acqua di cui soffre il Pakistan, è sostenuto con forza da Islamabad nonostante alcuni problemi di carattere geologico e geografico. La Banca mondiale ha detto di non voler finanziare il progetto perché qui il rischio sismico è particolarmente elevato, poiché in questa regione la placca indiana incontra quella euroasiatica. Inoltre, la Banca mondiale è contraria perché quest’area è rivendicata dall’India, che la considera parte del Kashmir indiano.
Nel piccolo borgo di Chilas il vandalismo religioso ha anticipato i danni che potrebbe causare la diga: sono state cancellate le raffigurazioni di diversi budda. La città è un mondo a parte, un’enclave sunnita ultraconservatrice in una provincia a maggioranza sciita, immersa in un’atmosfera di violenza quotidiana e di estremismo strisciante. Le donne non escono di casa nemmeno nascoste sotto il burqa. Sono invisibili perché restano segregate nelle loro abitazioni. In queste terre aride, abbandonate dal potere centrale, prosperano le scuole coraniche. Come una trentina di altri villaggi, anche Chilas sarà sommerso dall’acqua. Secondo le stime, saranno più di trentamila le persone sfollate a causa della costruzione della diga. [...]
La Kkh è un’autostrada solo di nome: il tracciato è pieno di curve e a ogni temporale c’è un tratto che frana. Islamabad, però, non ha intenzione di fermarsi e ha avviato dei lavori di ampliamento. L’obiettivo ufficiale è trasformare la provincia in un centro nevralgico del commercio, prendendo spunto dall’antica via della seta. L’obiettivo non dichiarato, invece, è mettere in difficoltà l’India ostacolando le sue ambizioni nella regione. Alcuni ingegneri cinesi sono già all’opera lungo la strada per fissare il nuovo tracciato della Kkh. In cambio del loro contributo, i prodotti cinesi che transitano attraverso il Pakistan saranno esentati dai dazi doganali per dieci anni. A Chilas il panorama è splendido e si possono ammirare le grandi vette come il Nanga Parbat, 8.126 metri, e il Rakaposhi, 7.790 metri. Sono diretto a Gilgit, il capoluogo del Gilgit-Baltistan, retrovia delle truppe pachistane nel Kashmir e punto di arrivo degli scalatori venuti a conquistare le vette più difficili. [...] Gilgit è anche la porta d’ingresso sulla vallata dell’Hunza. Sembra un miraggio tra il paesaggio roccioso. Un eden di vegetazione sottratto a un territorio arido grazie a un sistema d’irrigazione. [...] La fondazione Aga Khan, Development network, finanzia la maggior parte dei progetti di sviluppo nell’Hunza. Tra questi c’è anche un programma di valorizzazione del patrimonio culturale, da realizzare impiegando le donne dei villaggi. La valorizzazione riguarda soprattutto i petroglifi della valle. La maggior parte delle incisioni concentrate nel sito di Haldeikish raffigura degli animali, soprattutto stambecchi, e rimanda a vecchie credenze animiste che coesistono con l’islam. La fondazione sta facendo pressione sulle autorità affinché i lavori di ampliamento della Kkh siano spostati di qualche metro, risparmiando i petroglifi. Se ci riusciranno, le ultime incisioni rupestri dell’alta valle dell’Indo saranno salve.