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La casta di confindustria

di Gianni Petrosillo - 09/06/2010

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Italia paese delle caste? Forse, ma non di tutte si parla e straparla allo stesso modo. Ci sono i partiti e i sindacati che svariate volte sono finiti sotto la lente d’ingrandimento della pubblica opinione a causa di scandali, ruberie, malversazioni, pletoricità dei rispettivi apparati e incapacità a svolgere un ruolo positivo e propositivo per il benessere del paese, essendo la loro principale preoccupazione quella di generare vantaggi per i propri drappelli dirigenti.
Ma vi è un’altra casta dominante, ugualmente ristretta e burocratizzata che si comporta secondo le stesse logiche, che pretende le medesime “congrue” e che non molla l’osso delle sue esclusive ed ormai insopportabili prerogative. Eppure essa non viene coperta da equivalente sdegno generale. Forse perchè controlla adeguatamente giornali e televisioni? La domanda è retorica quando si parla della Confindustria e del suo gruppo di comando che è lo specchio fedele del capitalismo italiano giunto al suo stadio di avanzata putrescenza. Qualche tempo fa è uscito su Il Giornale un ottimo articolo di Stefano Lorenzetto che, recensendo un libro di Filippo Astone (“Il partito dei padroni”) ed intervistando lo stesso autore, ha fatto le pulci all’organizzazione diretta da Emma Marcegaglia.
Ne è venuto fuori un quadro impietoso di questa specie di società “a fottere il prossimo” diretta da despoti che predicano bene e razzolano malissimo. Per esempio sulla politica economica dove i grandi manager confindustriali elargiscono grandi visioni e stucchevoli recriminazioni, soprattutto contro lo Stato oppressore, salvo poi farsi inondare da finanziamenti pubblici. E che dire dei sermoni  montezemoliani sul fare sistema, aprire sinergie, rilanciare lo sviluppo, ed altre banalità del genere che servono solo a coprire l’inconsistenza di una classe banco-industriale inabile a modernizzarsi rischiando in proprio e con i propri averi?
Tra i più influenti “partiti” italiani (può contare sulle tessere di 142.000 persone che danno lavoro a 4,9 mln di soggetti sul territorio) la Confindustria si avvale di una dotazione organica di 4000 dipendenti. Preleva dalle tasche dei suoi associati 506 mln di euro all’anno per mantenere una sede a Roma, 18 sedi regionali, 102 provinciali, 21 federazioni di settore e 258 organizzazioni associate. Salire a capo di questo organismo, con ramificazioni su tutto il territorio nazionale, non è una cosa semplice, soprattutto se non si fa parte di quei circoli dominanti ristretti che da sempre ne controllano e dirigono la struttura.
Ne sa qualcosa l’imprenditore Riello, come racconta ancora Astone, il quale voleva accedere alla Presidenza di Confindustria Verona (una delle più importanti per influenza su giornali, tv, case editrici, distributori pubblicitari ecc. ecc) ma si è ritrovato tra i piedi un dossier sul suo conto che gli ha sbarrato completamente la strada. La colpa di Riello è stata quella di mettersi contro Montezemolo dichiarando che costui non era un imprenditore vero ma solo un altro venditore di fumo che non aveva mai rischiato il proprio culo. Parole sacrosante che andrebbero incorniciate ed affisse sui muri degli uffici pubblici e privati insieme alle foto del Presidente della Repubblica.
Ma soprattutto, dice Astone, Confindustria raccoglie molti fondi dalle PMI, che nel loro insieme versano 450 mln di euro (il 90% del totale della cassa), ricevendone in cambio quasi nulla, tanto in termini di rappresentanza nella cabina di comando dell’"onorata istituzione" che in termini di risposte alle loro istanze più impellenti. Poi ci sono le grandi imprese a partecipazione statale come Eni, Enel, Poste, Ferrovie, Finmeccanica che valgono il 4% della raccolta dei contributi e che giusto qualche tempo fa avevano rivendicato maggiore peso nelle decisioni confindustriali e nella elezione degli organi apicali. Non sarebbe male se il prossimo leader del “partito dei padroni” fosse espressione di una di queste società di punta che portano ricchezza al Paese e che si fanno valere sui mercati internazionali, magari con l’appoggio proprio delle piccole e medie aziende, oggi turlupinate e vessate dai masnadieri del vapore assistiti dallo Stato.
Ed, invece, è ancora la Fiat (ed i suoi compari) a fare la parte del leone nella Confindustria, servendosi della propria influenza per condizionare la politica, il governo, i parlamentari e i mezzi d’informazione. Così, rammenta Astana, uno come Montezemolo che si faceva pagare per favorire incontri con i grandi capi di Fiat, può candidamente affacciarsi sull’arena istituzionale - col suo bel carico di moralismo da quattro soldi (e coadiuvato da un parterre di “brava gente” che condivide gli stessi “facili costumi”) - per dire che lui vuole veramente cambiare il volto al paese. Roba da scompisciarsi dalle risate se il momento non fosse tragico e pericoloso.
Basterà in futuro seguire i movimenti di questo predone e della sua accolita di ladroni per interpretare al meglio le trame politiche con le quali si tenterà l'ennesimo scacco ai danni del paese. Ci proveranno con ogni mezzo perchè sono con l'acqua alla gola, siatene certi.