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L`Onu chiamato a bacchettare l`Iran. E Israele?

di Lorenzo Moore - 09/06/2010

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La dichiarazione di condanna di Israele e il documento di cooperazione regionale tra Russia, Turchia, Iran, Siria e palestinesi, concertati a Istanbul, hanno agitato lo scorrere delle ore nella Casa Bianca, nel Pentagono e nel Dipartimento di Stato Usa.
Washington teme che questo sia soltanto l’assaggio di quanto accadrà in sede di Consiglio di sicurezza dell’Onu chiamato a imporre nuove sanzioni all’Iran. La bozza di “risoluzione” sulla quale l’accordo tra i “Cinque” si dà per raggiunto è infatti ritenuta dagli Usa “troppo leggera”. Così si sussurra in Occidente.
Nella scacchiera mediorientale, tanto cara ai Brzezinsky di turno, tutti i pedoni atlantici sembrano infatti saltati dopo la vergognosa e crudele strage della Mavi Marmara. E la stessa indicazione statunitense (e israeliana) per un’inchiesta partigiana - condotta cioè dal responsabile del tragico evento, Tel Aviv - è stata chiaramente contestata, a Istanbul, dal primo ministro russo Vladimir Putin che ha duramente denunciato “la crudele violazione delle norme di diritto internazionale universalmente riconosciute”, annunciando passi sul governo di Washington perché l’inchiesta sia affidata a una commissione neutrale. Le stesse parole erano state appena pronunciate dal presidente turco Abdallah Gul che aveva ricordato come - nell’aggressione militare israeliana, il 31 maggio in acque internazionali, nove turchi fossero stati uccisi.
Il vertice di Istanbul, dedicato alla cooperazione regionale nel Vicino Oriente, è stato partecipato dal presidente turco Gul e dal premier russo Putin, appunto, e dal presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, dal suo omologo siriano Bashar al-Assad, dall’afghano Hamid Karzai e dal palestinese Mahmud Abbas. Un vero e proprio “test avvelenato” per la diplomazia atlantica che dispera ormai di poter impugnare uno scudo-colabrodo in difesa del “diritto alla vendetta ovunque e comunque” di Israele, nonché di ottenere un nuovo giro di vite contro l’Iran con il pretesto delle centrali nucleari. La Russia ha già ricordato infatti che l’impianto iraniano di Bushehr andrà avanti con la sua collaborazione. E il presidente Ahmadinejad, rivolgendosi agli Usa, ha a sua volta dichiarato che “se gli Usa e i suoi alleati pensano di poter agitare il bastone delle  sanzioni per poi negoziare con noi, sbagliano seriamente”. Il presidente iraniano ha rilevato inoltre come il recente trattato tra Teheran, Ankara e Brasilia per una reale “non proliferazione nucleare” bellica, con lo stoccaggio di 1200 kg di uranio arricchito fuori dal territorio nazionale, possa essere la giusta base di un accordo.
Sottoposto ad una più che nervosa pressione israeliana, Washington vede così nei fatti sfumare il suo tentativo di imporre più dure sanzioni a Teheran. Tantopiù che lo stesso Putin, a Istanbul, non soltanto ha definito il programma nucleare iraniano “pacifico”, una caratterizzazione molto sgradita agli atlantici, ma ha dichiarato che le eventuali sanzioni, che non dovranno essere “eccessive”, “non metterebbero certo in difficoltà la leadership iraniana o il popolo dell’Iran”.
Per Washington, il nostro Vicino Oriente, quello che negli Usa definiscono Medio Oriente, sta assumendo sempre più l’aspetto di una palude. Circondata da sabbie mobili.
In Afghanistan e in Iraq, in Iran e in Palestina. E dintorni.