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I palestinesi scelgono una strada meno battuta

di Daniel Williams - 13/06/2010




Ramallah (Cisgiordania) - Nei negozi della Cisgiordania gli ispettori palestinesi sono alla ricerca di beni prodotti nelle colonie israeliane e delle pagliette di metallo senza alcuna indicazione sulla provenienza catturano la loro attenzione.

“È meglio scoprire da dove provengono” afferma un uomo che attacca un’etichetta con su scritto “prodotti non provenienti dagli insediamenti” sulla porta del Riviera Palace Mall Grocery Store  di Ramallah. “ Potrebbero averli prodotti loro”.

Gli ispettori stanno portando avanti una campagna organizzata dal primo ministro Salam Fayyad, conosciuto fino a pochi mesi fa per il suo tentativo di preparare i palestinesi alla creazione di uno Stato attraverso un graduale cambiamento politico ed economico.

Ora viene fotografato mentre getta delle merci di contrabbando in un fuoco. Il suo cambiamento strategico comprende uno sforzo di persuasione dei palestinesi affinché questi non lavorino nelle enclave israeliane, che secondo il Palestinian Government Media Center vendono 200 milioni di dollari Usa di prodotti l’anno in Cisgiordania e a Gaza e “soffocano” lo sviluppo economico,  ha affermato Fayyad.

La campagna continuerà fintantoché le case palestinesi saranno “sgombre dalle merci degli insediamenti”, ha dichiarato il 27 maggio a Ramallah.

“Sta creando le sue credenziali nazionaliste” afferma Mahdi Abdul Hadi, direttore del Palestinian Academic Society for the Study of International Affairs di Gerusalemme. “Sta colmando un vuoto di azione”.

Gli sforzi di Fayyad costituiscono un nuovo approccio al conflitto con Israele, dice Abdul Hadi. Nominato primo ministro nel 2007, Salam Fayyad, 58 anni, non aveva preso una posizione riguardo al modo in cui i palestinesi avrebbero dovuto opporsi a Israele, fino al boicottaggio. Invece, si è concentrato sulla stabilizzazione di aree poste sotto il suo controllo, compreso lo sviluppo di una forza di polizia e di una banca centrale.

Fayyad ha anche investito 100 milioni di dollari in scuole e centri sociali, afferma Ghassan Khatib, direttore del Palestinian Media Center a Ramallah.

Yasir Arafat, leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, deceduto nel 2004, sosteneva che l’offerta di pace delle trattative potesse coesistere con le armi dell’azione armata. Per Fayyad, ex economista della Banca Mondiale e rappresentante palestinese presso il Fondo Monetario Internazionale,  le manifestazioni di protesta pacifiche sono la strada migliore, afferma Khatib.

“L’idea è quella di promuovere la resistenza non-violenta”, afferma. Il primo ministro palestinese  non è stato disponibile per un’intervista nonostante le ripetute richieste fatte al suo staff.

Israele considera la strategia di Fayyad in modo diverso. Il boicottaggio fa “parte di una continua campagna pianificata e preventivata all’incitamento” ha dichiarato lo scorso 2 maggio il viceministro degli Esteri Danny Ayalon. Il Consiglio di Yesha, che rappresenta i circa 300mila coloni israeliani in Cisgiordania, l’ha definita “ terrorismo economico”.

Fayyad doveva aumentare le sue iniziative amministrative con alcune forme di resistenza, in parte perché la sua importanza sullo sviluppo economico e del governo possono significare un’accettazione da parte dei palestinesi della loro situazione, afferma Nasser al-Qudwa, ex ambasciatore palestinese presso le Nazioni Unite. 

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, “potrebbe interpretare la creazione di istituzioni da parte di Fayyad come un atto di resa”, afferma Oudwa. “ Questo è un terreno pericoloso”.

L’Amministrazione del presidente Barack Obama sta cercando di promuovere dei negoziati indiretti tra le due parti.

Fayyad amministra la Cisgiordania e i suoi 2 milioni di palestinesi. La Striscia di Gaza, dove vivono 1,5 milioni di palestinesi, è amministrata da Hamas, partito e milizia islamici  che ha vinto le elezioni parlamentari del 2006 e ha mandato via le forze di sicurezza di Fatah nel 2007 a seguito di una lotta di potere. Israele, Stati Uniti e Unione Europea considerano Hamas un’organizzazione terroristica.

Israele ha costruito circa 100 insediamenti in Cisgiordania dalla fine degli anni sessanta. Altri 100 insediamenti, in fase embrionale, che Israele definisce avamposti, sono sorti nell’ultimo decennio. La Commissione Internazionale della Croce Rossa afferma che costituiscono una violazione della Quarta Convenzione di Ginevra che regola le azioni nei territori occupati e il presidente Obama ha dichiarato che non sono legittimi.

Israele afferma che gli insediamenti non rientrano nella convenzione in quanto il territorio non era riconosciuto come appartenente a qualcuno prima della Guerra dei sei giorni del 1967, vinta da Israele, e che per di più non è occupato.

La campagna di Fayyad per scovare le merci prodotte dagli israeliani è in larga parte finanziata dalle aziende palestinesi attraverso il Karama National Fund, una task force del governo creata per rafforzare il boicottaggio.

Arruolando il settore privato, Fayyad sta mettendo in discussione  l’idea secondo la quale indossare  un completo è incompatibile con la lotta contro Israele, afferma Samir Hulileh, direttore generale della Palestine Development and Investment, una società di investimenti della Cisgiordania.

“Sta cercando di rendere compatibili affari e resistenza”, afferma Hulileh.

I palestinesi boicottarono alcuni prodotti come parte integrante di una rivolta civile tra il 1987 e il 1992, concepita al fine di fare pressioni su Israele affinché uscisse dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza. Omar M. Kabha, direttore del Karama Fund, afferma che il Ministero dell’ Economia palestinese non ha dati sull’efficacia della campagna di Fayyad.

Mentre Fayyad vuole che i 25mila palestinesi che lavorano negli insediamenti lascino il loro lavoro, Kabha dice che la cosa è alquanto difficile a meno che l’economia palestinese non fornisca loro un impiego alternativo.

“Visto che siamo noi a costruire le nostre industrie, speriamo di assumere questi lavoratori”, afferma.

Gli ispettori hanno iniziato a farsi vedere nelle città della Cisgiordania il 18 maggio scorso, appendendo cartelloni con l’immagine di un dito accusatorio che chiedeva ai palestinesi di smettere di acquistare le merci dei coloni. Cinquanta società degli insediamenti sono elencate nel catalogo che distribuiscono porta a porta, e che producono beni che vanno dai materiali edilizi ai biscotti, dai sali da bagno fino al vino.

“Non penso che di avere prodotti delle colonie qui”, ha detto Sultan Afori, proprietario del Riviera Palace, agli ispettori che passavano in rassegna i ripiani del negozio. “Se così non fosse, ok, sbarazzatevene. Non c’è problema. Buttateli via”.

Bloomberg News



The New York Times
(Traduzione di Arianna Palleschi per Osservatorio Iraq)