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Manifesto sul futuro dei sistemi di conoscenza (II parte)

di Vandana Shiva, Helena Norberg-Hodge e altri - 15/06/2010

B. PRINCIPI PER UN NUOVO MODELLO DI CONOSCENZA CHE GARANTISCA
UN PIANETA VITALE
Capitolo 4
I NUOVI MODELLI ALIMENTARI E AGRICOLI DOVREBBERO IMPARARE
DALLA SCIENZA OLISTICA DELLA VITA
La sopravvivenza dell’uomo dipende dalla capacità della nostra specie di
mantenere e preservare la plasticità della biosfera con tutti i suoi componenti
interagenti, ivi compresa la specie umana. Poiché l’agricoltura è un sistema di
produzione basato direttamente sulle risorse della biosfera – suolo, acqua e
biodiversità – essa fornisce un buon esempio di non sostenibilità causata dal
passaggio dal sapere tradizionale alla scienza tradizionale frammentata.
Il metodo riduzionista, nato con la scienza moderna allo scopo di semplificare
lo studio dei sistemi naturali, ha portato a un enorme progresso in campo
tecnologico, ma anche a una profonda frammentazione del sapere e a una
mancanza di capacità di sintesi.
La costruzione di un mondo semplificato basato su singole versioni di
pochi prodotti ottimali, sia viventi che non viventi, porta alla creazione di
un’unica società omogenea con una sola cultura, una sola ideologia, una sola
scienza, una sola tecnologia, un solo modello economico e produttivo. In altri
termini significa distruggere gli strumenti e i processi che hanno consentito
l’adattamento e la proliferazione dell’uomo in tutte le aree del pianeta. Implica
inoltre la distruzione della diversità culturale e biologica.
La non sostenibilità dei sistemi alimentari e agricoli basati sulla scienza
riduzionista ha creato l’esigenza di nuovi modelli basati su una scienza olistica,
sia tradizionale che moderna.
In tutto il mondo i contadini stanno rivalutando il sapere tradizionale come
fonte di innovazione, stanno seguendo proprie vie di sviluppo indipendenti
in opposizione a quelle suggerite dai sistemi di conoscenza ufficiali e stanno
costruendo sistemi di conoscenza paralleli, allineandosi con i segmenti non
riduzionisti della ricerca scientifica. Allo stesso tempo, al cuore di queste stesse
istituzioni scientifiche, stanno emergendo correnti di pensiero che sostengono la
necessità di incorporare il sapere tradizionale nei sistemi di conoscenza moderni.
I successi dell’agricoltura biologica ed ecologica e della produzione basata su
sistemi alimentari locali, nati all’esterno delle – e spesso malgrado le – forme
convenzionali di produzione e distribuzione, stanno accelerando la rivalutazione
del ruolo del sapere tradizionale in nuovi modelli alimentari e agricoli.
Il sapere olistico è necessario per poter tener conto delle conseguenze di ogni
azione e manipolazione umana. Per l’evoluzione e lo sviluppo della conoscenza
olistica occorre andare al di là del riduzionismo meccanicistico e includere sia il
sapere popolare che le conoscenze che scaturiscono dalla scienza stessa.
La scienza degli scienziati e il sapere tradizionale
Esiste una differenza ben precisa tra il termine e la metafora inglese “Science” e
il termine tedesco “Wissenschaft” o quello italiano “Sapere”. Il termine “Science”
è stato spesso usato per escludere le persone “sbagliate” e i tipi di conoscenza
“sbagliati”. “Wissenschaft” significa la creazione del sapere, qualunque siano
i mezzi o i metodi. Ciò implica che un contadino o un pescatore, giovane e
vecchio, uomo e donna, è in grado di partecipare agli eterni processi di creazione
della conoscenza. “Sapere” significa l’eredità dell’apprendimento, tecnico ed
empirico, manuale e concettuale, accumulato dalle persone nel corso del tempo
e trasmesso da una generazione all’altra.
Le metafore condivise di una società sono la base per concezioni, presupposti,
azioni, attività giuste o sbagliate e per la creazione e utilizzazione delle
conoscenze. È evidente che le metafore governano le domande sollevate e
le ipotesi create all’interno di una data società. Le metafore della Scienza del
Nord e dell’agro-biotecnologia derivano spesso da un’ingegneria meccanicistica,
dall’industria bellica o da un’economia orientata esclusivamente al profitto.
La cessazione del normale discorso scientifico all’interno di campi di ricerca
importanti, legati alle biotecnologie, è stato un tragico effetto collaterale
delle polarizzazioni estreme all’interno della società e tra la società nel suo
complesso e i vasti investimenti e proventi economici che sono in gioco.
Questo è particolarmente vero nel caso degli OGM. Inoltre, e malgrado un
bisogno riconosciuto, tutta una serie di questioni etiche, socioeconomiche,
culturali, legali e di genere, ivi compresa la preoccupazione per la sicurezza
alimentare, la sicurezza dell’ecosistema e lo sviluppo sostenibile, non ha ricevuto
la dovuta attenzione nei contesti di ricerca e normativi. In tutta una serie di
Paesi, gli stessi organismi governativi di controllo sono incaricati di eseguire
contemporaneamente compiti tra loro in conflitto, cioè la promozione delle
biotecnologie e la governance del rischio. È un gioco di destrezza impossibile,
soprattutto perché i poteri e le risorse per un’azione di lobbying efficace sono
così inegualmente distribuiti tra le parti interessate. In tali casi troppo spesso
la promozione delle biotecnologie mette in ombra le preoccupazioni relative
a sicurezza, biodiversità e sostenibilità. Le questioni relative agli OGM sono
caratterizzate da una “spinta tecnologica” anziché dallo “stimolo della domanda”.
Inoltre i dati basati su alcune annate e su alcuni raccolti OGM indicano aumenti
variabili delle rese, nell’ordine del 10-33%, in alcuni luoghi e cali delle rese
in altri. Ciò indica una fondamentale mancanza di conoscenze e di interesse
scientifico relativamente all’influenza dei differenti parametri dell’ecosistema sul
funzionamento e sulla regolazione dei genomi vegetali.
Anche se saldamente radicato nella maggior parte delle leggi nazionali e degli
accordi internazionali, il Principio di Precauzione non è stato il principio-guida
adottato per buone pratiche normative e per la scienza della valutazione del
rischio e in larga parte non ne viene tenuto conto nelle decisioni politiche
relative agli OGM.
Nel prossimo futuro gli organismi normativi saranno sommersi dalle applicazioni
commerciali relative alle future generazioni di piante geneticamente modificate
(per esempio oli multitransgenici, dal valore nutrizionale migliorato, per la
produzione di plastica, migliorati per l’allevamento del pesce, per la produzione
di farmaci, vaccini ecc.).
Avremo inoltre tecniche provenienti dalle nanotecnologie e dalla biologia
sintetica, che convergeranno, insieme a metodi di DNA ricombinante, in nuove
tecnologie che – sia detto con ironia – promettono di risolvere virtualmente
tutti problemi ambientali e sanitari che si possano creare e immaginare. Ma esse
possono potenzialmente creare anche problemi di sicurezza per l’alimentazione
umana e animale e per l’ecosistema mai considerati o immaginati.
La situazione globale richiede modi nuovi e migliori per regolamentare le
moderne biotecnologie. La società non può lasciare la ricerca sulla biosicurezza
alle biotecnologie industriali. Il controllo democratico sulla catena alimentare
è di importanza cruciale. Devono essere istituite e fortemente sostenute
organizzazioni di regolamentazione della biosicurezza e istituzioni di ricerca
veramente indipendenti. Tutte le regioni e tutti i Paesi hanno bisogno di
una ricerca sulla biosicurezza che corrisponda alle proprie società e ai propri
ecosistemi. Occorre valutare se la ricerca indipendente sulla biosicurezza
finanziata con fondi pubblici sia o no realmente “più costosa” per la società
quando si prendono in considerazione i rischi di un danno “inatteso” e dei
mancati benefici.
In cammino verso un pianeta più sano
Nello stato attuale del nostro pianeta non vi è niente che indichi la necessità di
una scienza e di tecnologie coerentemente non olistiche, diverse da quelle oggi
dominanti. La nostra piccola astronave azzurro-verde ha invece un disperato
bisogno di nuovi tipi di scienza e di conoscenza.
Le conseguenze avverse dei cambiamenti globali si ripercuotono soprattutto
sui più poveri e sui più vulnerabili, che storicamente hanno avuto pochi diritti e
opportunità di influenzare le politiche globali.
Un approccio orientato ai problemi della ricerca e dello sviluppo agricolo
dovrebbe incentrarsi su priorità locali individuate attraverso processi
partecipativi e trasparenti, favorendo soluzioni olistiche ai problemi locali.
Ciò esige nuovi tipi di sostegno al pubblico perché si impegni in modo critico
nella valutazione degli impatti tecnici, sociali, politici, culturali, di genere,
legali, ambientali ed economici delle moderne biotecnologie. La nuova
scienza dovrebbe essere utilizzata per sostenere e mantenere le competenze
e le coltivazioni locali, in modo che la comunità locale abbia le capacità per
continuare la ricerca. Tali approcci porrebbero l’accento – e ve ne è bisogno –
soprattutto sui progetti di coltivazione partecipativa e sulla agroecologia.
Anche i consumatori possono contribuire alla produzione agricola partecipativa,
specialmente individuando obiettivi come gusto, qualità e valore nutritivo.
Alimentare con successo il mondo in modi sostenibili, rispondendo al contempo
a nuove priorità e a mutate circostanze, richiederebbe una trasformazione di
fondo nelle strategie agricole e nelle visioni del mondo, con ramificazioni nella
scienza, la tecnologia, le politiche, le istituzioni, nonché lo sviluppo delle capacità
e degli investimenti. Tale trasformazione riconoscerebbe e darebbe maggiore
importanza all’olismo nell’agricoltura, che spiega la complessità dei sistemi
agricoli all’interno di contesti sociali ed ecologici diversi. Ciò richiederebbe nuovi
accordi istituzionali e organizzativi per promuovere approcci olistici e integrati
allo sviluppo e alla diffusione di conoscenze, scienza e tecnologie. Le comunità
rurali, le famiglie contadine e gli agricoltori dovrebbero essere riconosciuti come
utenti, custodi e gestori degli ecosistemi. I cambiamenti necessari devono
essere rivolti in primo luogo a coloro che sono stati meno aiutati e più colpiti
dalle precedenti rivoluzioni tecnologiche e agricole, cioè contadini poveri,
donne e minoranze etniche. Per riuscire a conseguire questo obiettivo il sapere
tradizionale e locale deve essere integrato in un approccio interdisciplinare,
olistico e sistemico alla produzione e alla condivisione delle conoscenze.
Se tali nuove tecnologie agroecologiche olistiche devono contribuire a
una maggiore equità, sostenibilità e alla salute del pianeta, devono essere
accompagnate da un più ampio accesso dei contadini e delle altre popolazioni
rurali all’istruzione professionale, formale e non formale. Dovrebbero inoltre
essere creati sistemi di incentivi e di premi per le pratiche olistiche e sostenibili
e sovvenzioni organizzate in considerazione della vulnerabilità delle comunità
agricole. Il sapere locale e tradizionale, nonché le preoccupazioni e le priorità
delle comunità agricole, dovrebbero essere inclusi negli obiettivi dei programmi
di ricerca e nell’offerta formativa dell’insegnamento universitario. Devono essere
incoraggiate e attuate nuove modalità di governance, volte a sviluppare reti
locali innovative basate sulla partecipazione.

Capitolo 5
LA DIVERSITÀ E IL PLURALISMO DEI SISTEMI DI CONOSCENZA
SONO VITALI PER L’EVOLUZIONE E L’ADATTAMENTO, SPECIALMENTE
IN TEMPI DI CRESCENTE INSTABILITÀ E GRANDE IMPREVEDIBILITÀ
Tutti i sistemi viventi evolvono e quando cessano di evolvere muoiono. Ciò
è vero sia per i sistemi naturali che per i sistemi culturali. Il sapere reale
è un sistema vivente che cambia e si adatta alla realtà in cambiamento.
L’uniformità priva i sistemi di meccanismi e potenzialità evolutivi. Oggi il
presupposto semplicistico che la natura è “semplicemente meccanica” non
è più valido. La diversità del sapere è necessaria per rafforzare i sistemi di
conoscenza in modo da poter formulare le domande giuste e fornire le risposte
alle enormi sfide del nostro tempo.
Il sapere tradizionale e il sapere delle comunità indigene, anche attraverso
un’integrazione con una conoscenza scientifica in grado di riconoscere la
propria parzialità di fronte a fenomeni complessi, sono in grado di aiutare
l’umanità ad adattarsi e ad evolvere nei nostri tempi imprevedibili e instabili,
grazie al loro intimo collegamento con la diversità biologica e culturale.
La capacità di osservazione quotidiana dei contadini li rende scienziati sul
campo, in grado di garantire la conservazione dell’habitat, del suolo e delle
risorse idriche. In tutto il mondo il sapere contadino ha protetto e potenziato
la biodiversità, garantendo al tempo stesso la sicurezza alimentare per le
varie comunità. Nella maggior parte delle culture le attività delle donne sono
state direttamente connesse con la vita e quindi con l’adattamento e con
la sopravvivenza in contesti ambientali e umani in continuo cambiamento.
Le generazioni più anziane sono quelle che mantengono viva la memoria
delle conoscenze e delle esperienze, fornendo alla comunità l’humus su cui
può basarsi l’evoluzione, l’innovazione e l’identità. I giovani stanno sfidando
creativamente i modelli superati di oggi e colgono prontamente i punti critici
del sistema. Il loro contributo ai processi multidirezionali dell’apprendimento e
dell’insegnamento può aiutare ad arricchire le conoscenze umane e facilitare i
processi di adattamento e di trasformazione.
Oggi molti scienziati, soprattutto quando riescono a non cedere alle lusinghe
delle grandi imprese private, sanno bene che la soluzione riduzionista non è
necessariamente la migliore. Ora che il modello dominante sta mostrando le
sue inadeguatezze e i suoi fallimenti, dobbiamo necessariamente riconoscere
la pluralità dei sistemi di conoscenza e le potenzialità della loro integrazione,
essenziale per aumentare la nostra capacità di sopravvivenza come specie.
La complessità si è dimostrata il principio organizzativo più importante per gli
organismi, i sistemi e i processi viventi. La complessità è legata alla diversità ed
entrambe danno origine a una nuova capacità di adattamento e di plasticità nel
contesto del cambiamento.
L’uniformità e la centralizzazione dei sistemi riduzionistici li rendono di fatto
meno resilienti. Il modelling scientifico riduzionistico dei sistemi “complessi”
mostra che quando i sistemi raggiungono uno stato di instabilità critica si
scompongono nei loro componenti oppure collassano passando a un altro
ordine di funzionamento integrale. Poiché questi sono “punti di non ritorno”
irreversibili, il mantenimento di uno status quo o il ritorno a una precedente
modalità di organizzazione e di funzionamento sono impossibili. Instabilità e
collasso sono attestati a tutti i livelli, da quello cellulare a quello planetario.
Epidemie come il morbo della mucca pazza, l’influenza aviaria e l’influenza suina
sono segnali che la nostra manipolazione degli organismi e delle specie sta
oltrepassando i limiti dell’equilibrio e della stabilità.
L’utopia meccanicistica semplicistica è priva della complessità e della diversità
necessarie per far evolvere le conoscenze. Sotto stress, i sistemi meccanicistici
unidimensionali collassano a causa della loro mancata capacità di adattamento.
L’uniformità è rigida, la diversità è flessibile. Le monocolture contemporanee,
che richiedono grandi quantità di energia, dipendono da un alto livello di
apporti esterni e sono quindi soggette a collassare quando la fornitura di
apporti si interrompe a causa di mutamenti economici, politici o ecologici. I
sistemi alimentari ecologici locali, caratterizzati da biodiversità e apporti interni,
sono invece resilienti nel contesto di turbolenze esterne, sia climatiche che
economiche.
La nascita della monocoltura del sapere ha reso invisibili le molteplici tradizioni
di conoscenza, le diverse metafore e differenti modi di comunicazione, di
importanza così vitale per il nostro tempo.
Le diverse forme di conoscenza hanno modi diversi di trasmissione e di verifica:
orale, simbolica, osservazionale. La monocultura del sapere riconosce solo ciò
che è scritto e quantificato, ignorando le tradizioni orali e la scienza delle qualità.
È divenuto importante riconoscere, ricodificare e ringiovanire questi sistemi di
conoscenza marginalizzati e dimenticati, sfruttando le possibilità offerte dai
moderni sistemi di comunicazione.
Il sapere popolare (sviluppato da contadini maschi e femmine e dalle comunità
indigene) e la scienza degli Scienziati non sono necessariamente in contrasto
tra loro. La differenza principale è di natura metodologica: i contributi della
gente a una nuova tecnologia si basano su osservazioni ripetute nel tempo,
mentre le conclusioni degli scienziati si basano spesso su osservazioni ripetute
nello spazio (repliche) per un periodo di tempo limitato. Il sapere tradizionale si
arricchisce ogni giorno con le osservazioni di una natura sempre in cambiamento
e permette un’interazione sostenibile con l’ambiente.
Occorre riconoscere che i contadini, uomini e donne, hanno addomesticato le
piante che nutrono oggi l’umanità. Hanno continuato a modificare, adattare,
migliorare e diffondere le piante e piantano, raccolgono, scambiano sementi e
nutrono i loro vicini, tutto questo da migliaia di anni. Facendo tutto questo i
nostri antenati hanno accumulato un immenso tesoro di sapere comunitario
condiviso che la “scienza” ha quasi interamente ignorato. Tuttavia, come
abbiamo visto, oggi le aziende stanno sempre più appropriandosi di quel sapere
per sfruttarlo a fini di profitto attraverso la brevettazione e la biopirateria,
senza condividerne i benefici con i proprietari. L’utilizzo da parte delle persone
del proprio sapere per il miglioramento delle piante ha prodotto la biodiversità
agricola, ancora presente nelle poche aree non toccate dal miglioramento
genetico a fini commerciali. Questo perché parte di quel sapere è connesso alla
diversità, che riduce il rischio di perdita dei raccolti e aumenta quindi la sicurezza
alimentare. La diversità dei climi, dei terreni e degli usi ha inoltre portato
progressivamente alla scelta di piante diverse e di varietà diverse all’interno di
queste, con un forte accento sull’adattamento nel tempo e di conseguenza sulla
specificità locale. Al contrario, la commercializzazione basata sul “miglioramento
scientifico” mette l’accento sul grande adattamento spaziale, addirittura globale,
con un’inevitabile e progressiva riduzione della biodiversità.
Sebbene praticata solo da circa vent’anni e da relativamente pochi gruppi,
la selezione partecipativa delle piante, un tipo di attività agricola realizzato
in collaborazione con i contadini e basato sulla selezione in vista di un
adattamento specifico, ha dato risultati importanti sia in termini di biodiversità
che di produzione di raccolti. La selezione partecipativa può essere sviluppata in
“selezione evolutiva”, per affrontare in modo dinamico i cambiamenti climatici.
I sistemi locali indigeni tradizionali che si sono evoluti nel contesto di condizioni
ambientali in continuo mutamento hanno una grande resilienza e un’elevata
capacità di adattamento. La scienza dominante non ha preso in considerazione
la possibilità di trarre vantaggio dal sapere tradizionale collaudato dal tempo o
di contribuire al suo arricchimento a favore delle comunità locali. Non abbiamo
bisogno di una transizione da un sistema a un altro basata sulla reciproca
esclusione. Ciò che occorre sono nuove partnership, una nuova comunicazione
e una nuova capacità di fare rete tra sistemi diversi in base al principio di
uguaglianza e di rispetto reciproco. Per poter rispondere alle grandi sfide che
abbiamo davanti, l’inclusione dei sistemi di conoscenza esclusi diviene una
necessità storica.
L’adattamento in periodi di turbolenza esige il mantenimento di alti livelli di
libertà e di scelta. Ciò esige diversità in tutte le sue forme. A livello intellettuale,
questo significa pluralismo dei sistemi di conoscenza e degli approcci
scientifici. A livello ecologico, significa diversità delle specie e degli ecosistemi.
A livello culturale, significa lingue diverse, sistemi di comunicazione diversi,
forme di espressione artistica diverse. A livello economico, significa forme di
produzione e commercializzazione diverse. Tutte queste diversità devono essere
riconosciute, protette, nutrite a tutti i livelli. Le piccole nicchie e le tradizioni
emarginate potrebbero rappresentare il più grande potenziale per l’innovazione
e l’adattamento dei sistemi. Proprio come le piccole banche dei semi e le banche
dei geni sono vitali per la continua evoluzione dell’agricoltura, la tutela dei
diversi sistemi di conoscenza è vitale per la continua evoluzione del sapere.
Alla Conferenza dei popoli indigeni sul cambiamento climatico, tenutasi ad
Anchorage nell’aprile 2009, un anziano della comunità indigena ha dichiarato:
“Noi sappiamo come sopravvivere a questi mutamenti climatici. Occorre usare
il sapere tradizionale per aiutare tutte le nostre culture a sopravvivere a questi
cambiamenti”.
Una sintesi olistica tra il sapere popolare e il meglio della scienza ecologica
moderna è vitale per tornare a un pianeta vitale e per guarire la società umana.
Questa sintesi deve essere costruita sulla comprensione delle interconnessioni e
dei rapporti tra le parti e deve basarsi sul reciproco rispetto e sul riconoscimento
della loro pari importanza.
La diversità dei sistemi di conoscenza e la loro continua evoluzione si basano
sulla condivisione delle conoscenze. La conoscenza può essere condivisa
solo quando è un bene comune. Gli attuali regimi di proprietà intellettuale
impediscono la diversità delle conoscenze e arrestano i processi di apprendimento
e di innovazione in quanto bloccano la condivisione delle conoscenze. Essi creano
inoltre la minaccia di appropriazione e privatizzazione del sapere tradizionale
attraverso la biopirateria. Proprio nel momento in cui l’umanità ha bisogno
dell’integrità e della solidità di culture e sistemi di conoscenza diversi, la
biopirateria minaccia l’evoluzione futura del sapere tradizionale.
La diversità viene creata e cresce attraverso lo scambio – tra generazioni, culture,
sistemi di conoscenza e tradizioni.
Il sapere indigeno e tradizionale deve essere fatto “risorgere” sulla base
della pluralità e della necessaria discussione tra modelli scientifici, con pari
riconoscimento di tutte le forme di conoscenza. Tale dialogo deve basarsi sulla
consapevolezza che l’innovazione è il risultato dell’apprendimento attraverso
l’interazione sociale e la capacità di integrare saperi diversi e modi di conoscere
diversi.
In tali sistemi pluralistici, il sapere scientifico e quello tradizionale locale
crescono e si arricchiscono grazie a un processo complementare di ibridazione. Il
sapere locale, che si evolve in un lungo arco di tempo, può trarre beneficio dalla
velocità del flusso di informazioni attraverso processi di condivisione e scambio.
I ricercatori universitari possono creare nuove conoscenze interagendo con
tutti coloro che, fuori del mondo universitario, sviluppano capacità specifiche
di osservazione, analisi e sperimentazione all’interno dei loro rispettivi campi di
attività.
Terra Madre è un esempio delle migliaia di comunità di diverse parti del mondo
che portano le loro tradizioni locali in uno scambio globale facilitato dalle nuove
tecnologie della comunicazione.
L’UNESCO ha un’importante iniziativa relativa al sapere tradizionale, che
consiste nel documentare l’intero corpus di conoscenze, know-how, pratiche e
iter delle comunità locali. Questi insiemi sofisticati di conoscenze, interpretazioni
e significati costituiscono parte integrante di un complesso culturale che
abbraccia lingua, sistemi di denominazione e classificazione, pratiche relative
all’uso delle risorse, ritualità, spiritualità e visione del mondo. Questo sapere
locale e indigeno è una risorsa fondamentale per mettere in grado le comunità
di combattere l’emarginazione, la povertà e l’impoverimento.

Capitolo 6
LA SOVRANITÀ DELLE COMUNITÀ SULLE CONOSCENZE DEVE ESSERE
RICONOSCIUTA E LE CONOSCENZE DEVONO ESSERE USATE, POTENZIATE
E CONDIVISE LIBERAMENTE
Tutti gli esseri umani sono soggetti in grado di conoscere, indipendentemente
da classe sociale, razza, genere, religione, etnia od età. Tutte le comunità e
culture sono creatrici di sapere. Le culture che sono sopravvissute nel tempo
hanno costantemente evoluto i propri sistemi di conoscenza, che sono
classificati come “sapere tradizionale”. Le strutture e istituzioni dominanti di
produzione delle conoscenze nella società contemporanea hanno portato al
dominio di “esperti”, escludendo il sapere popolare.
Il diritto delle comunità e delle culture di sviluppare e potenziare
congiuntamente il proprio sapere, ponendo le domande di loro scelta e
condividendo queste conoscenze liberamente con altri gruppi e reti, costituisce
la loro sovranità sulle conoscenze. Il sapere dovrebbe circolare liberamente.
La sovranità sulle conoscenze non implica il diritto di rifiutare la loro libera
circolazione. Essa include la piena partecipazione democratica dei cittadini alla
nuova sintesi delle conoscenze basata sull’inclusione di sistemi di conoscenza
esclusi.
Una nuova consapevolezza dell’importanza della diversità culturale e scientifica
e la disponibilità di nuove tecnologie dell’informazione rendono necessaria una
profonda trasformazione dei sistemi di conoscenza ufficiali, attualmente non
democratici, tecnocratici e separati l’uno dall’altro.
I nuovi sistemi di conoscenza devono essere in grado di promuovere
sostenibilità, equità e flessibilità mediante:
• sistemi di conoscenza che permettano a una pluralità di approcci e di forme
di conoscenza di vivere fianco a fianco e integrarsi;
• apertura garantita, pari dignità di tutte le conoscenze e capacità degli
agricoltori e delle comunità rurali locali di essere ascoltati;
• la distribuzione di risorse pubbliche e la regolamentazione della proprietà
intellettuale, individuando chiaramente interessi pubblici e interessi privati,
dando la priorità ai primi.
Proprio come la Sovranità Alimentare è emersa come il principio organizzativo
della nostra sicurezza alimentare, basata sulla piena partecipazione, dove
tutti hanno il diritto di decidere che cosa mangiare e il modo in cui produrlo,
così anche la Sovranità sulle Conoscenze deve essere pienamente integrata
in strutture e istituzioni di creazione del sapere, nelle scelte tecnologiche e
nelle scelte di produzione e consumo. La sovranità sulle conoscenze poggia sul
dovere di condividere liberamente le conoscenze con altre comunità sovrane e
di continuare la libera circolazione delle conoscenze.
La società contemporanea viene spesso definita come la società della
conoscenza. Questa definizione si basa sull’ampia diffusione delle tecnologie
informatiche. Ma l’informazione non è conoscenza. A differenza della
conoscenza, l’informazione in sé non fornisce la discriminazione, i modelli per
separare l’utile dall’inutile, il sostenibile dal non sostenibile.
Laddove l’informazione non fornisce una comprensione più approfondita della
vita e del modo di vivere, il suo uso è limitato. Senza una prospettiva olistica, la
conoscenza si riduce a nozioni frammentarie.
Sostituita dalla mera informazione, la conoscenza promuove un nuovo tipo
di consumismo dell’informazione. Come avviene con il cibo, le informazioni
possono servire a soddisfare bisogni essenziali delle persone, ma possono anche
essere consumate in eccesso. Una grave penuria o mancanza di conoscenze
essenziali può coesistere con un flusso eccessivo di informazioni e con una
“obesità informativa” ed entrambe possono causare differenti forme di
dipendenza che minano la sovranità.
Insieme alla privatizzazione e alla concentrazione dei processi cognitivi, noi
rileviamo altre tendenze che stanno radicalmente cambiando il modo in
cui il sapere viene prodotto, riprodotto e diffuso. Facilitati dalla circolazione
delle persone e dalle tecnologie dell’informazione, oggi sistemi di conoscenza
orizzontali, non gerarchici, stanno facendo la loro comparsa e si stanno
sviluppando grazie a reti “ibride” di singoli individui – ricercatori, tecnici,
consumatori, produttori – connessi tra loro su base paritaria, che permettono
processi di apprendimento attraverso le persone e le cose.
Ogni volta che i processi di apprendimento portano a nuovi modi di fare le cose,
un nuovo sapere nasce all’interno di queste reti. La separazione tra produttori,
intermediari e detentori del sapere diviene sempre più tenue e viene sostituita da
una distinzione de facto tra esperti locali, mediatori culturali, comunicatori e teorici.
La conoscenza si sviluppa tramite l’interazione con il nostro ambiente e cresce
in risposta alle nuove sfide. È inoltre guidata dalla domanda e dai valori e la
sua qualità e rilevanza dipendono dalla sua capacità di rispondere alle sfide del
mondo reale. In altri termini, la conoscenza dovrebbe facilitare l’attività, avere
una storia evolutiva, un contesto regionale. Le comunità del sapere condividono,
mantengono e ulteriormente sviluppano le conoscenze, non solo tra se stesse,
ma anche in reti più ampie e più complesse di scambio e collaborazione.
La proprietà democratica è essenziale perché le conoscenze siano significative,
migliorino la vita e incoraggino la creatività e l’ulteriore sviluppo. Devono
rispondere ai bisogni dei popoli e garantire la partecipazione comunitaria. In
questo contesto le comunità vengono definite come forme diverse di una
convivialità umana attiva, dalle comunità e famiglie tradizionali dei villaggi
alle comunità scientifiche, alle comunità di collaborazione professionale e di
cooperazione culturale, fino alle comunità virtuali o alle nuove comunità del
nuovo stile di vita urbano. La maggior parte degli esseri umani appartiene a più
di una comunità e può cambiare le comunità cui appartiene.
Sono stati definiti diversi tipi di conoscenza – conoscenza scientifica, tradizionale o
indigena. Tutti questi tipi si basano su modelli, valori e regole applicative, nonché sul
modo di distinguere se una cosa è vera o falsa, giusta o sbagliata. La conoscenza ci
aiuta a definire il nostro posto sulla terra e il nostro rapporto con la vita sulla terra.
Oltre a fornirci la comprensione, la conoscenza ci porta anche vantaggi attraverso
le sue applicazioni pratiche. La maggior parte del sapere viene trattata e condivisa
come bene pubblico, mentre molte forme della sua applicazione vengono anche
scambiate su differenti mercati per soddisfare la domanda e premiare il lavoro e
l’eccellenza nel padroneggiare aspetti specifici della conoscenza.
Come avviene nel caso di altri prodotti dell’epoca contemporanea, anche nella
produzione delle conoscenze la velocità sostituisce contenuto e qualità. L’accesso
istantaneo alle informazioni sostituisce l’assorbimento dei saperi, proprio come
l’accesso istantaneo al cosiddetto fast food sostituisce l’alimentazione di qualità.
Il cambiamento si impone a una velocità sempre più rapida, senza tener conto
della volontà della gente e spesso andando contro di essa. Nuovi prodotti
“migliorati” riempiono gli scaffali dei supermercati mentre scompaiono cibi da
tempo collaudati. Analogamente, sementi di comprovata validità, ottenute con
la selezione partecipativa degli agricoltori, vengono sostituite da sementi non
rinnovabili che devono essere comprate di anno in anno.
La sostituzione costante dei vecchi prodotti con prodotti nuovi comporta una
perdita di storia e un accumulo di rifiuti. Ciò fa parte delle strategie principali
di produzione e commercializzazione di una società “usa e getta” (prendere
quanto più si può per poi gettarne via gran parte), ivi compresa la creazione di
un consumismo passivo e sprecone. Parallelamente a questo consumo materiale
caratterizzato dagli sprechi, osserviamo oggi un consumo di conoscenza diffuso
e fortemente alienato, che serve in gran parte per scopi secondari (prestigio,
distrazione, sostituzione). La domanda “Ho davvero bisogno di sapere questo?”
viene posta raramente e pesantemente punita.
Laddove il sapere non viene più prodotto e usato per scopi pratici e conviviali,
le qualità derivate da questi scopi perdono importanza, compresi i loro valori a
lungo termine che consistono nell’essere parte di un’evoluzione storica di una
cultura e di valori condivisi in comunità. Il risultato è che quantità crescenti
di pezzi di “sapere spazzatura” di proprietà riservata, con cicli di mercato
brevi, bassa densità d’uso e scarsa qualità, vengono scaricate sui mercati della
“società della conoscenza” in quantità crescenti e riprodotte, contraffatte o
semplicemente falsificate ad alta velocità.
Lo stato attuale delle conoscenze relative all’alimentazione e alle sue
applicazioni è un esempio perfetto di questo tipo di sapere industrializzato.
Tali conoscenze, costituite da informazioni sconnesse, in costante e rapido
cambiamento, hanno di fatto portato il consumatore a un livello di confusione
senza precedenti, con risultati pesantemente negativi per la salute, l’ambiente,
la cultura e la qualità.
Il ritmo accelerato di questi sistemi di conoscenza, legato all’introduzione di
nuove tecniche e nuovi input, ha impedito ai sistemi locali di svilupparsi e
di introdurre conoscenze che, essendo al di fuori dello schema dominante,
richiedono più tempo per essere elaborate e consolidate. Allo stesso tempo, ciò
ha generato falsi bisogni e sprechi sia per i consumatori che per i produttori.
Secondo il principio “o lo usi o lo perdi”, il sapere tradizionale, che si è evoluto ed
è stato accuratamente conservato e arricchito da una generazione all’altra, deve
essere protetto perché possa fornirci un sapere sano per un modo di vivere più sano.
Produrre conoscenze indipendentemente dal loro contesto d’uso, al di là del
controllo delle comunità, mina la sovranità. Anche se intende servire il bene
pubblico e le comunità, e malgrado il fatto che la maggior parte di tale scienza
non democratica sia sempre stata finanziata dalle grandi imprese e dall’industria
bellica, questo modello dominante pretende di creare la conoscenza per la
conoscenza, mentre in realtà è intimamente legato agli interessi economici
o politici. Questa tradizione basata sull’utopia meccanicistica differisce
sostanzialmente da altre tradizioni di conoscenza, che sono guidate dalla
sovranità dei popoli e delle comunità e lavorano per il loro bene. Occorre un
cambiamento rispetto al decisionismo non democratico, di vedute ristrette,
esclusivista, tecnocratico, in tutti i campi dell’attività umana. La sovranità
sulle conoscenze è il diritto del popolo di creare conoscenze e di partecipare ai
processi che riguardano la sua vita. Il sapere popolare deve essere pienamente
integrato in strutture e istituzioni di produzione delle conoscenze, nella scelta
delle tecnologie e nelle scelte di produzione e di consumo. Tale partecipazione
non è possibile nelle strutture di conoscenza commercializzate e centralizzate
e nei sistemi di ricerca oggi dominanti. Una scienza indipendente e pubblica è
fondamentale per la sovranità sulle conoscenze.
In epoca contemporanea la fusione tra sapere e potere è divenuta una minaccia
per la libertà dell’uomo e per la sua sicurezza. La tirannia degli interessi
commerciali sta soffocando il sapere e impedendo la piena evoluzione delle
nostre capacità e potenzialità umane. Democratizzare le conoscenze significa
partecipare alla loro creazione. Significa inoltre accedere alle conoscenze
rimuovendo i muri di esclusione costituiti dai diritti di proprietà intellettuale e
dalle violenze contro il sapere indigeno e tradizionale, il sapere delle donne e il
sapere dei cittadini.
La sovranità sulle conoscenze esiste a più livelli: livello individuale, livello
comunitario e livello sociale. Essa va quindi di pari passo con il dovere di
condividere liberamente le conoscenze con altre comunità sovrane e non implica
il diritto di rifiutare la libera circolazione delle conoscenze stesse.
Noi abbiamo bisogno di una nuova scienza olistica basata sulla partecipazione
democratica, che tenga conto del benessere della natura, dei popoli e delle
future generazioni. La cura e l’interessamento verso le future generazioni
possono essere costruiti solo sulla partecipazione democratica delle generazioni
attuali.
Sapere è potere. La sovranità sulle conoscenze garantisce che questo potere sia
condiviso da tutti.
COMMISSIONE INTERNAZIONALE PER IL FUTURO
DELL’ALIMENTAZIONE E DELL’AGRICOLTURA
Iniziativa promossa da
Claudio Martini, Presidente della Regione Toscana, Italia
Vandana Shiva, Direttore esecutivo di Research Foundation for Technology, Science
and Ecology/Navdanya, India
Membri della Commissione
Vandana Shiva, Presidente della Commissione
Miguel Altieri, Professore presso il Dipartimento di Scienze, politica e gestione
dell’ambiente, Università della California, Berkeley; Presidente SOCLA
Alexander Baranov, Presidente dell’Associazione Nazionale per la Sicurezza Genetica (ALL),
Mosca
Debi Barker, Co-Direttore e Presidente della Commissione Agricoltura dell’International
Forum on Globalization (IFG)
Wendell Berry, Ambientalista, agricoltore, scrittore e poeta
Jose Bové, Via Campesina
Marcello Buiatti, Consulente sugli OGM per la Regione Toscana, Professore presso
l’Università di Firenze
Tewolde Egziabher, Direttore Generale, Autorità per la Protezione Ambientale, Etiopia
Bernward Geier, Rappresentante IFOAM, COLABORA e attivista
Edward Goldsmith, Scrittore, fondatore e direttore di The Ecologist
Benny Haerlin, Fondazione di Future Farming, ex Coordinatore Internazionale della
campagna OGM di Greenpeace
Colin Hines, Autore di “Localisation: A Global Manifesto”; membro di IFG
Vicki Hird, Senior Campaigner on Food and Farming, Amici della Terra
Andrew Kimbrell, Presidente del Centro Internazionale per la valutazione delle tecnologie
Tim Lang, Professore di Politica Alimentare, Institute of Health Science, City University,
Londra
Frances Moore Lappe, Scrittore, Fondatore del Small Planet Institute
Alberto Pipo Lernoud, Diretore di Fundación Cocina de la Tierra
Caroline Lucas, Membro del Parlamento Europeo, Partito dei Verdi, Regno Unito
Jerry Mander, Presidente del Consiglio Direttivo del International Forum on Globalization
Samuel K. Muhunyu, Coordinatore di NECOFA (Network for Ecofarming for Africa)
Helena Norberg-Hodge, International Society for Ecology and Culture
Carlo Petrini, Fondatore di Slow Food
Assétou Founé Samake, Biologa, genetista, professoressa presso la Facoltà di Scienze
dell’Università del Mali
Percy Schmeiser, Agricoltore canadese e attivista contro gli OGM
Aminata Dramane Traoré, Scrittrice, coordinatrice del “Forum pour un Autre Mali”,
ex Ministro della Cultura e del Turismo del Mali