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Parchi naturali: solo teoria, se mancano i fondi

di Mario Tozzi - 16/06/2010

 

 


 

 

Nonostante buoni propositi e scelte coraggiose, le riserve naturali italiane sono pesantemente colpite dalla Finanziaria. I tagli del 50 per cento significano una condanna a morte per la biodiversità.
Un ottimo documento per la strategia nazionale sulla biodiversità  non riesce però a centrare l’obiettivo di fare davvero qualcosa contro il suo continuo e insensato impoverimento nel nostro paese. Se a parole cioè sono state fatte proprie scelte importanti e anche coraggiose, nei fatti la finanziaria colpirà pesantemente le aree protette nazionali, nonostante lo Stato spenda oggi per i Parchi Nazionali l’equivalente di un quotidiano all’anno per ciascun italiano. Il taglio previsto è del 50%, una follia e un gravissimo colpo per i buoni propositi della nostra strategia nazionale per la biodiversità: in sostanza è una condanna a morte per i parchi italiani, ultimo presidio naturale all’avanzata micidiale di cemento e asfalto che in Italia raggiunge 250.000 ettari all’anno. Il brutto è che i finanziamenti per i parchi sono già al limite, mentre i parchi sono il migliore esempio di un ottimo funzionamento della pubblica amministrazione: pochi mezzi, pochi uomini, pochi strumenti che, però, producono reddito per oltre due miliardi di euro all’anno e occupano quasi 90.000 persone. 
 
Un presidente di parco percepisce circa 1400 euro al mese, un direttore circa il doppio, mentre i membri dei consigli direttivi raccolgono meno di ottanta euro mensili: come si possa anche solo pensare di agire su questi numeri appare un mistero. Beni culturali e ambientali sono così accomunati da una stessa sorte: sono i primi a soffrire quando c’è crisi economica, come se non fossero invece quelle le risorse su cui puntare per uscire dalla crisi stessa e riqualificare in senso sostenibile l’economia. Tant’è che in altri paesi europei non si sognano di toccare quegli stanziamenti, operando semmai sulle spese militari (Germania). Speriamo che il Ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, riesca a recuperare questo ulteriore taglio del 10%, ma anche che lo faccia senza proporre soluzioni che rischiano di essere peggiori del male, come quella di aprire i posti più belli e riservati a un turismo di élite. 
 
Si comprende la necessità di fare cassa, ma è impensabile consentire, per esempio, a Montecristo l’ormeggio di megayacth facendo loro pagare 5000 euro per prendere un bagno nella riserva marina più protetta del Mediterraneo. Oggi il numero complessivo delle visite è di circa mille unità annuali, e fare il bagno è assolutamente vietato per non recare disturbo al ripopolamento e allo straordinario ecosistema unico erede di un Mediterraneo in salute. Inoltre l’accesso è sempre consentito per finalità di studio, ricerca e documentazione.
 
L’isola è stata per lungo tempo chiusa, quando era bandita di caccia dei reali d’Italia o di aristocratici notabili, o quando è stata sede di colonia penale. Ma Montecristo è, ancora prima che Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano dal 1996, Riserva Naturale dello Stato (Dm 4 marzo 1971), Riserva naturale biogenetica dal 1977, Zps (Direttiva79/409/Cee) IT5160015), Sic (Direttiva 92/43/Cee) IT5150014. In tutto il mondo le aree protette hanno sempre un “cuore selvaggio” inaccessibile che però rende pregio a tutto il resto: Montecristo è il cuore selvaggio del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e per questa ragione è giustificata la sua accessibilità regolamentata. L’area è diplomata dal Consiglio d’Europa dal 1988 e il 2 luglio 2008 il Comitato dei Ministri  del Consiglio d’Europa ha rinnovato questo diploma fino al 2018. Il Diploma europeo delle aree protette è un riconoscimento internazionale (nato in seno al Consiglio d’Europa a partire dal 1965) e riservato  alle aree protette e agli spazi naturali e semi naturali  o paesaggi che abbiano un interesse europeo eccezionale  dal punto di vista della conservazione  della diversità biologica geologica o paesaggistica. Il Consiglio d’Europa, nell’attribuire alla riserva il Diploma, ha imposto, fra l’altro di non superare il limite annuale di mille visitatori. 
 
L’originalità del diploma consiste nel fatto che è riconosciuto per un periodo limitato nel tempo, e la minaccia di non essere rinnovato ha un carattere dissuasivo, per i pericoli che possono minacciare l’integrità della zona, e di incoraggiamento a mantenere e migliorare la qualità del sito. Non è quindi, a maggior ragione, possibile alcun incremento dei visitatori, pena la decadenza del riconoscimento di eccellenza ambientale europeo. Riesce poi difficile pensare che si possa, pur pagando cifre considerevoli, consentire ad alcuni cittadini di fruire di ciò che ad altri viene negato perché meno abbienti: sarebbe come riaprire la caccia ad alcuni leoni perché così se ne ricavano le risorse per salvare gli altri. Paesi che scelgono questa via abdicano semplicemente al proprio ruolo di nazione e svendono il tessuto connettivo più intimo del territorio. Altra cosa è, invece, imporre un ticket di ingresso per i non residenti che consenta di aiutare nella manutenzione delle limitate strutture dell’isola, in quella dei sentieri e nella sorveglianza. In questo senso il Parco è pronto a prendere in considerazione questa possibilità d’accordo con il Ministero per l’Ambiente.
 
In ultima analisi è auspicabile che il taglio del 50% non vada a interessare i parchi e le altre aree protette, altrimenti non ci saranno nemmeno i fondi per pagare gli stipendi e le attività di conservazione delle specie e degli habitat. Ma anche che i limiti imposti alle pubbliche amministrazioni, i tagli generalizzati ai Ministeri, le riduzioni dei personale, non dovrebbero essere applicate agli Enti Parco, che già hanno contribuito negli anni con pesantissimi tagli. Sarebbe poi estremamente contraddittorio che nell’anno  internazionale della biodiversità, vengano penalizzate proprio quelle attività di conoscenza, conservazione e tutela del patrimonio naturalistico senza le quali qualsiasi strategia rimane solo carta straccia.