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Pescare, non depredare

di Mattia Orlando - 23/06/2010



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La situaizone del prelievo ittico nell’Adriatico è preoccupante. L’importanza di progetti come l’Adri-Fish.
Non v’è certamente più ombra di dubbio: le tecniche di sfruttamento delle risorse naturali hanno raggiunto picchi tecnologici che si rivelano evidentemente non sopportabili da parte dell’ambiente. La pesca, mettendo in rapporto le capacità dell’uomo con le risorse del mare, ne è un esempio significativo. Quando l’assenza di norme sia europee sia nazionali lasciavano che il confronto fra abilità del pescatore e fortuna del pesce avesse quotidianamente luogo senza sostanziali regolamentazioni, i pescatori dell’Adriatico rendevano onore a coloro che di ritorno da una battuta esponevano a prua un tonno rosso (pregiatissima specie di cui questo mare è particolarmente fecondo) ma con freddezza si accoglieva in porto chi si arrogava il diritto di strappare al mare più di un esemplare.
 
Il 9 giugno 2010, con una legge europea, si è dovuto introdurre per la prima volta una “stagione di pesca” finalizzata alla tutela del tonno rosso durante la sua stagione riproduttiva; il termine della stagione è infatti stato proclamato lo stesso 6 giugno. Inutile aggiungere che oggi le cose sono sensibilmente cambiate: analizzando le rilevazioni degli ultimi vent’anni si può osservare come in tutto il Mediterraneo si stia verificando un progressivo esaurimento delle risorse ittiche, basti considerare che i paesi dell’Unione europea affacciati sul “Mare Nostrum” ottenevano nel 1996 dallo sfruttamento dello stesso poco meno di 700mila tonnellate di pesce, che nel 2000 si riducono a 570mila disegnando un trend che rimarrà costante negli anni a seguire.
 
Riguardo al mar Adriatico in particolare si può tirare un sospiro di sollievo constatando che il prodotto dell’attività di pesca nel medesimo periodo subisce una diminuzione di sole duemila unità, segno evidente di un generale rispetto delle norme non solo da parte dei pescatori italiani, ma anche croati e sloveni. Certo, sarebbe alquanto ingenuo pensare che quest’area, nonostante i dati rassicuranti, non soffra dei comunque diffusi problemi di pesca selvaggia alle volte devastante per l’ambiente. Si tratta di pratiche quali la pesca a strascico che non lascia scampo al pesce agendo dalla superficie fino al fondale, con reti a maglia stretta che non selezionano la taglia degli esemplari.
 
O quella del cannolicchio: l’animale vive infossato nella sabbia fino a un metro di profondità, il mezzo più diffuso per la sua cattura è la così detta draga turbo-soffiante che prima di setacciare il fondale vi spara getti d’acqua a forte pressione i quali ne compromettono la regolarità, spazzano via i vegetali e modificano l’habitat di numerose forme di vita. A fronte di queste problematiche, già dal 2003 l’Ue ha promosso un progetto transnazionale denominato Adri – Fish che riunisce le regioni Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia con l’associazione nazionale Federcoopesca alla regione Istria in Croazia e alla Municipalità di Izola in Slovenia per coordinare e pianificare le attività di pesca nell’Adriatico settentrionale.
 
Questa collaborazione ha espresso immediatamente la necessità di istituire un osservatorio socio-economico che oltre ad analizzare consumi e prezzi, si propone come organo di monitoraggio sullo sfruttamento di determinate micro e macro-zone nonchè sui metodi di pesca adottati. L’Osservatorio fornisce tuttora con “spazi-news” e mailing-list un pregevole servizio informativo.