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Nostalgia della vecchia Austria: Viktor Dankl von Krasnik, il generale che non amava Hitler

di Francesco Lamendola - 13/07/2010

 

 

File:Viktor von Dankl - Project Gutenberg eText 16363.jpg

 

Chi abbia letto il famoso romanzo dello scrittore ceco Jaroslav Hašek, «Il buon soldato Sc’vèik», ricorderà forse che, durante il grottesco sogno fatto dal cadetto Biegler prima che la tradotta militare destinata al fronte orientale giunga a Budapest, questi si presenta a rapporto nell’ufficio di Dio, ornato con i ritratti di Franz Joseph d’Asburgo e di Guglielmo II di Hohenzollern; dell’erede al trono austriaco Karl Franz Joseph, dell’arciduca Friedrich d’Asburgo, comandante dell’esercito austro-ungarico, e del suo capo di Stato Maggiore, Conrad von Hötzendorf; e, infine, del generale di cavalleria Viktor Dankl.

Tralasciamo lo svolgimento del colloquio che si svolge tra Domineddio e il cadetto Biegler, che si conclude con l’ordine, da parte del primo, di scaraventare lo sfortunato allievo ufficiale nella latrina (in effetti quest’ultimo, vittima di una congestione alimentare, se l’è fatta abbondantemente nei calzoni ed il suo sogno, o piuttosto il suo incubo, altro non è che la rielaborazione inconscia della sua disavventura fisiologica); e domandiamoci: chi è questo generale Dankl, il cui solenne ritratto campeggia sulle pareti del Quartier Generale d’Iddio, accanto a quelli dei più alti personaggi politici e militari degli Imperi Centrali?

Certo, la penna corrosiva e scanzonata dello scrittore riflette l’animosità dei nazionalisti cecoslovacchi verso la vecchia Austria e non rende giustizia ad una antica e gloriosa istituzione, come l’esercito austro-ungherese, che, nel corso dei secoli, aveva pur scritto pagine gloriose per la storia dell’intero continente (ad esempio, la vittoriosa difesa di Vienna contro la marea dell’invasione turca, nel 1529 e nel 1683); rimane comunque la curiosità, per il lettore specialmente straniero, di sapere chi sia il personaggio in questione.

Il curatore dell’edizione Feltrinelli, nella nota (1971, vol. 2, p.  554), spiega che Viktor Dankl fu un «generale di cavalleria e comandante di un’armata austro-ungarica combattente in Galizia. Fu tristemente celebre  per le molte condanne a morte erogate contro la popolazione locale»; ma si sa che, per la cultura italiana politicamente corretta, i generali austriaci, sul fronte orientale, non facevano altro che impiccare civili a più non posso.

Ora, è vero che molte spie rutene vennero passate per le armi fin dai primi giorni di guerra, come riferisce anche l’inviato speciale Arnaldo Fraccaroli; ma vi è molta esagerazione in quei racconti, così come in quelli dei soldati tedeschi che, nel Belgio, tagliavano le mani dei bambini. La storia, da sempre, è il racconto dei vincitori: e la prima guerra mondiale non fa eccezione alla regola, con tutti i buoni da una parte (l’Intesa) e tutti i cattivi dall’altra (gli Imperi Centrali); tanto è vero che, nella Conferenza di pace di Versailles, per prima cosa gli sconfitti vennero costretti ad assumersi, tutta intera, la responsabilità morale e materiale del conflitto.

Viktor Dankl è stato un tipico rappresentante di quella classe di militari di carriera e di funzionari dello Stato i quali, con la loro preparazione scrupolosa, con l’assoluta dedizione al dovere, con la fedeltà incondizionata alla dinastia asburgica, ma anche con una certa anonimità del tratto e con una assoluta incomprensione del mondo moderno, accompagnarono il tramonto della Duplice monarchia danubiana e, in un certo senso, la scomparsa di tutta la vecchia Mitteleuropa: naufraghi eroici, ma “senza qualità”, di quello sconvolgimento che fu la prima guerra mondiale e che è stato così suggestivamente descritto da Stefan Zweig, Joseph Roth, Robert Musil e da tanti altri scrittori di quell’ultima generazione prima del Diluvio.

Per due volte il nome di Viktor Dankl compare sui bollettini di guerra austriaci e sulla stampa internazionale, come             quello di un comandante abile e tenace, che sta per strappare per l’esercito del vecchio Franz Joseph d’Asburgo un successo decisivo sul campo di battaglia: la prima volta a Krasnik, sul fronte russo, alla fine di agosto del 194; la seconda volta su quello italiano, fra l’Adige e il Brenta, nel maggio-giugno 1916.

Entrambe le volte sembra che manchi un soffio per trasformare un importante successo tattico in una clamorosa vittoria strategica, capace di assestare al nemico un colpo risolutivo e, forse, di imprimere una svolta all’intero andamento della guerra; ma, appunto, qualcosa non va per il verso giusto, le vicende sul fronte contiguo a quello tenuto dalle truppe di Dankl prendono una piega sfavorevole e, alla fine, nulla rimane di tante speranze di vittoria per la vecchia Austria-Ungheria, ormai esausta per l’interminabile conflitto che ne mina la saldezza interna e sottoposta ad una emorragia sempre più grave di uomini e materiali.

Viktor Dankl era nato il 18 settembre 1854 ad Udine, quando il capoluogo friulano era ancora parte (come l’intero Veneto, del resto) dell’Impero asburgico; e si spegnerà ad Innsbruck, ottantaseienne, l’8 gennaio 1941.

Figlio di un capitano dell’esercito, viene indirizzato fin da giovane sulle orme paterne e, dopo aver completato gli studi fra Gorizia e Trieste, frequenta dapprima l’istituto dei Cadetti di St. Polten e poi l’Accademia militare Maria Teresa di Wiener Neustad, divenendo ufficiale dei Dragoni. La sua carriera è brillante, ma al tempo stesso regolare e lo vede ufficiale nel 1874, colonnello nel 1897, maggior generale nel 1903, tenente generale nel 1907 e, infine, generale di corpo d’armata nel 1912.

Quando scoppia la prima guerra mondiale, egli è ad Innsbruck, al comando della Prima Armata, la quale, negli ambiziosi piani del capo di Stato Maggiore, Conrad von Hötzendorf, deve essere immediatamente trasferita sul fronte orientale ed avanzare in Polonia, per avvolgere sul fianco le forze russe schierate ad est della Vistola, nella regione di Lublino. L’operazione incomincia sotto i migliori auspici: nella battaglia di Krasnik, che infuria dal 23 al 25 agosto 1914, Dankl sconfigge la Quarta Armata russa e la costringe a ritirarsi: ciò gli vale la decorazione dell’Ordine militare di Maria Teresa e il titolo di conte di Krasnik.

Conrad ne è entusiasta; allo scrittore e giornalista Josef Redlich, venuto ad intervistarlo presso il suo Quartier Generale di Przemysl, il 6 settembre dichiara (cit. in Mario Schettini, «La letteratura della Grande Guerra», Milano, Sansoni, 1968, p. 296):

 

«I giornali scrivono continuamente della vittoria di Auffenberg [nella battaglia di Komarow, combattuta dal 26 al 30 agosto 1914]: ma Dankl ha compiuto azioni almeno altrettanto grandi. È continuamente in lotta con un nemico soverchiante. Gli si presentano sempre nuovi Corpi d’armata russi; quelli vecchi vengono rabberciati e vi si aggiungono riserve nuove.»

 

Ma lo scontro è stato durissimo e ha disorganizzato le forze austriache avanzanti su un terreno aspro e poverissimo di strade, ove l’artiglieria deve procedere a dorso di buoi; il numero dei prigionieri non è stato grande, segno che i Russi non sono stati battuti in modo decisivo e, comunque, hanno potuto ritirarsi in buon ordine.

Intanto, la situazione precipita sull’ala destra dello schieramento austriaco, ove la Terza Armata di Brudermann è gravemente sconfitta; e anche le truppe di Dankl, giunte ormai a pochi chilometri da Lublino, ricevono l’ordine di ritirarsi, rimanendo coinvolte nel generale ripiegamento sulla linea del fiume San (cfr. il nostro saggio «Le battaglie di Leopoli, 26 agosto-11 settembre 1914», interamente riportato nel sito It. Cultura Storia Militare; e l’articolo «Una pagina al giorno: I giorni di Lublino nel 1914, di Concetto Pettinato», del 19/12/08 sul sito di Arianna Editrice).

Schierata sulle nuove posizioni davanti a Cracovia, che riesce a difendere vittoriosamente, la Prima Armata di Dankl partecipa agli ondeggiamenti del fronte nell’autunno-inverno; sfiora di nuovo un successo clamoroso nella campagna di Limanowa-Lapanow, nei giorni intorno al Natale; infine, durante la battaglia dei Carpazi, nei primi quattro mesi del 1915, si limita a tenere faticosamente il fianco sinistro dello schieramento austriaco, immersa nel fango e nella neve.

Nel maggio del 1915, quando Dankl si prepara a sfruttare a fondo lo sfondamento austro-tedesco nella battaglia di Tarnow-Gorlice, l’entrata in guerra dell’Italia ne provoca il richiamo sul nuovo fronte di combattimento; bisogna però dire che i Russi,  con la battaglia di Opatow, avevano già frustrato lo slancio offensivo della sua armata.

Il nuovo comando di Dankl è a Bolzano, da cui dipendono tutte le forze austro-ungariche dislocate nel Tirolo; a lui spetta il merito di aver difeso abilmente una frontiera che, inizialmente, era pressoché sguarnita, grazie anche all’insipienza dei comandi italiani che non intuiscono fino a qual punto sia sottile il velo delle forze avversarie e procedono con una cautela inverosimile, dando loro il tempo di rafforzarsi e organizzarsi su delle eccellenti posizioni trincerate.

Si giunge così alla battaglia degli Altipiani, innescata dalla Strafexpedition del maggio 1916: nell’anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia, l’Austria vuole infliggere alla ex alleata fedifraga un colpo decisivo, che dovrebbe metterla in ginocchio ed aprire ai propri eserciti le vie della Pianura Padana.

Il piano è stato studiato in ogni particolare da Conrad; a Dankl, posto al comando della Undicesima Armata, viene affidato il compito dello sfondamento iniziale.

L’azione incomincia sotto i migliori auspici, ma ben presto viene in luce la difficoltà fondamentale: quella di far avanzare le artiglierie con la stessa rapidità della fanteria, su di un terreno estremamente accidentato e quasi privo di vie di comunicazione. Così l’attacco perde di slancio proprio quando la pianura veneta sembra ormai a portata di mano, mentre i rinforzi italiani affluiscono velocemente e una serie di incertezze ed errori del Comando Supremo vanificano il successo iniziale.

Questa vicenda è stata bene analizzata, nei suoi riflessi per la carriera di Dankl, da Manuel Galbiati e Giorgio Seccia, nel loro «Dizionario biografico della Grande Guerra», Nordpress Edizioni, 2008, vol. 1, pp. 286-87):

 

«L’offensiva, la Strafexpetidion, che doveva punire l’Italia per il suo tradimento nei confronti dei vecchi alleati della Triplice, ha inizio il 16 maggio 1916. Dankl come previsto opera l’urto iniziale con due corpi d’armata nell’area tra la Val Lagarina e la val d’Astico, così da beneficiare del tiro fiancheggiante delle artiglierie schierate sull’Altopiano di Lavarone. L’attacco iniziale è travolgente, la prima e la seconda linea italiana sono sorpassate molto rapidamente, poi l’attacco perde d’intensità. Le artiglierie, infatti, che grande merito avevano avuto nello spianare la strada per l’assalto dei fanti, fanno fatica a mantenere il ritmo del’avanzata; il terreno montuoso, il attivo stato delle comunicazioni stradali, la presenza di neve sul territorio rallentano il movimento delle batterie. Questo rende possibile al Comando Supremo italiano di prelevare in tutta fretta truppe dal fronte isontino e lanciarle in difesa del margine estremo dell’Altopiano di Asiago, intanto che nella pianura veneta si costituisce la V Armata pronta a dare battaglia agli austriaci nel caso riescano a scendere a valle.

Quando all’inizio di giugno il dispositivo austriaco è pronto per riprendere l’attacco, è evidente che ormai da quella parte del fronte non può essere realizzato alcun successo definitivo.

È però anche un problema di carattere politico a frenare l’iniziale incontenibile spinta di Dankl verso la pianura veneta. Punta avanzata dello schieramento della XI Armata è il XX corpo d’armata, comandato dall’arciduca Karl Franz Jospeh, l’erede al trono del vecchio imperatore Francesco Giuseppe, il quale aveva proceduto in profondità assai più incisivamente che non l’VIII corpo. Da qui il timore di una eccessiva esposizione dell’Asburgo a un possibile contrattacco degli italiani che dopo una settimana di continui ripiegamenti, andavano rafforzando la propria difesa.  Il Comando Supremo austriaco dispone quindi, a partire dal 19 maggio, l’affiancamento della III Armata alla XI. Ciò significa che, contrariamente ai piani iniziali che assegnavano a quest’ultima il compito dello sfondamento, e all’altra quello dello sfruttamento del successo, lo scenario della battaglia cambia radicalmente.

L’armata di Dankl, indirizzata sulla destra della linea di attacco con obiettivo Thiene, rinuncia alla conquista del Pasubio e il 30 maggio scatena l’attacco dal Coni Zugna, a Passo Buole a Monte Novegno. La battaglia si accende violentissima e si protrae a lungo, ma la spinta poderosa delle divisioni di Dankl viene inesorabilmente arginata dalla tenacia delle fanterie italiane, validamente coadiuvate dalle artiglierie ben sistemate sulle alture circostanti.

Solo sul Monte Cengio, dopo una lotta sanguinosissima, il 3 giugno, gli austriaci riescono ad avere ragione della strenua resistenza opposta dai Granatieri di Sardegna del generale Pennella, ma, pur essendo riusciti ad affacciarsi al di là dell’estremo baluardo montuoso della difesa italiana, non intuiscono che da quella parte sono ad un passo dal cogliere  il frutto dell’intera offensiva e mandano sprecata occasione.

L’XI Armata sposta invece la sua attenzione verso il Novegno che dopo un lento e faticoso ridi spiegamento delle artiglierie attacca a partire dal 9 giugno. Tuttavia non solo gli italiani si sono rafforzati in modo decisivo, ma anche i russi che il giorno 10 scatenano la loro offensiva in Galizia, costringendo gli austriaci a rinunciare definitivamente agli ambiziosi obiettivi della Strafexpedition. Gli attacchi condotti nei giorni successivi avverranno sotto il segno di questa svolta: essi non saranno che gli ultimi violenti scossoni di un torrente già arginato”, recita in proposito la Relazione Ufficiale austriaca.

L’attacco al Novegno è infatti respinto con grande delusione di Dankl che si propone di ripeterlo entro un paio di giorni. Immediata e decisa giunge la disapprovazione del Quartier Generale di Conrad al progetto. Viktor Dankl di temperamento irascibile già per suo conto, probabilmente irritato per il cambiamento del piano di battaglia, operato al di sopra della sua testa, scosso nel sistema nervoso dall’andamento della battaglia, presenta le dimissioni. Conrad, che evidentemente non aspetta altro,  dispone immediatamente il suo esonero insieme a quello del generale Cletus Pichler, capo di stato maggiore della XI Armata. A partire dal 17 giugno sono sostituiti rispettivamente dal colonnello brigadiere Rohr e dal colonnello Soòs.

Così termina la carriera militare di Dankl come comandante sul campo. Il 21q gennaio 1917, tuttavia, viene chiamato alla corte di Vienna per il comando del I reggimento Arcierenleibgarde, una unità speciale alle dirette dipendenze dell’imperatore. Il 10 febbraio diviene comandante di tutto il corpo delle Guardie Imperiali il cui comando cede poi a Conrad il 15 luglio 1918.

Il 1° dicembre, quando la monarchia asburgica finisce il suo ciclo, anche Viktor dankl lascia il servizio attivo e si trasferisce a Innsbruck dove vive il dopoguerra nel sogno nostalgico della restaurazione della monarchia. Muore l’8 dicembre 1941, tre giorni dopo la scomparsa della moglie; al momento delle esequie, tenutesi nel cimitero di Wilten della città tirolese, le autorità della Wehrmacht si oppongono allo svolgimento della cerimonia militare proprio perché nella sua nostalgia Dankl si era sempre opposto alla ascesa di Hitler.»

 

Malinconico tramonto di una carriera superba, sorretta da quegli ideali di fedeltà alla patria e all’imperatore che già avevamo subito, nel corpo dei militari di carriera, dei duri colpi, prima con la scomparsa del vecchio Francesco Giuseppe, simbolo dell’unità della Monarchia, poi con il protrarsi di una guerra ormai senza speranza, il cui esito probabile sarebbe stato, come infatti avvenne, il frantumarsi irreparabile della compagine statale.

Singolare vicenda umana, quella di Dankl: generale austriaco nato in una città italiana e poi artefice di una pericolosissima offensiva contro l’Italia; infine esule in patria e tenacemente avverso a un altro austriaco, l’ex caporale Hitler, che sognava una Grande Germania di cui l’Austria non sarebbe stata che la Marca orientale.

Mentre lui, Viktor Dankl von Krasnik, aveva continuato a vivere nella patetica illusione che gli Asburgo potessero rientrare nei loro diritti e ricostituire quel mondo d’anteguerra cui era sempre rimasto legato, insieme a tanti altri cittadini di quello che Stefan Zweig ha felicemente chiamato “il mondo di ieri”.