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Vivere bene a quota 5.000, svelato il segreto dei tibetani

di Giampaolo Visetti - 13/07/2010

 


Un gruppo di ricercatori americani ha certificato che i popoli di montagna sono geneticamente diversi dagli altri: nel corso dei secoli il loro organismo è mutato in modo da garantire la sopravvivenza della specie anche in condizioni estreme



PECHINO - Vivere in alta quota allunga e migliora la vita. Ad assicurare longevità e vecchiaia più attiva non sono solo aria pulita, cibi sani, movimento quotidiano e ritmi meno stressanti. Un gruppo di ricercatori americani ha certificato che i popoli di montagna sono geneticamente diversi dagli altri. Il loro organismo, nel corso dei secoli, ha subìto un mutamento biologico, capace di garantire la sopravvivenza della specie anche in condizioni estreme.

Lo studio dell'Università di Berkeley, pubblicato sull'ultimo numero della rivista Science, è riuscito a spiegare perché la resistenza alla rarefazione dell'aria, dove la concentrazione dell'ossigeno è inferiore fino al 40% rispetto a quella sul livello del mare, rallenta gli effetti dell'invecchiamento e migliora le prestazioni degli organi interni. La ricerca è stata effettuata in Tibet e ha messo a confronto il Dna di cinquanta abitanti dell'Himalaya con quello di altrettanti cinesi di etnia han nati in pianura. Fino ad oggi la scienza aveva già scoperto dieci geni che distinguono i due popoli. L'équipe del professor Rasmus Nielsen ne ha rilevati ora trenta, individuando per la prima volta nei discendenti di chi da generazioni si è insediato sopra i 3500 metri di quota una sorta di "umanità parallela". La scoperta del "segreto dei tibetani" non stabilisce solo una diversità genetica, politicamente assai delicata, tra i nativi di Lhasa e quelli di Pechino. Si estende ai 13 milioni di esseri umani che in tutto il mondo vivono fino a 5 mila metri sopra il livello del mare ed è destinata a dare nuovo impulso agli studi sulle malattie causate dalla privazione di ossigeno nel grembo materno, tra cui epilessia e schizofrenia.
Secondo gli scienziati californiani, i popoli delle vette sono protagonisti "della più rapida mutazione genetica mai accertata" e questo cambiamento è "direttamente connesso al modo con cui l'organismo utilizza l'ossigeno".

La razza selezionata sul "tetto del mondo", dove si concentrano tutti gli Ottomila del pianeta, ha avuto origine in Asia 2800 anni fa, quando tibetani e han si sono separati. Clima e isolamento hanno evitato contaminazioni di sangue, consegnandoci il popolo che può oggi condurre oltre il mistero della consunzione fisica. I tibetani, come altre genti degli altipiani andini, non vengono colpiti dal cosiddetto "mal di montagna". La carenza cronica di ossigeno non causa in loro edemi polmonari, o cerebrali, nemici anche degli alpinisti più allenati. Problemi cardiaci e di pressione, affaticamento rapido, neonati sottopeso e alta mortalità infantile, non colpiscono come dovrebbero chi da sempre vive tra i 3700 e i 5200 metri di quota.
Fra i 30 geni della "vita rafforzata" uno in particolare è mutato fino a disegnare il profilo di un super-uomo. Si chiama "Epas1" ed è noto come il "gene dell'atleta". Le due varianti principali favoriscono le prestazioni sotto sforzo e codificano la proteina che, grazie alla capacità di regolare i livelli di ossigeno nel sangue, bilancia il metabolismo aerobico e anaerobico.

Che la selezione naturale dell'altitudine avesse fissato delle "varianti umane vantaggiose" non è una novità. Gli sportivi ricorrono da anni alla preparazione in quota per aumentare globuli rossi, emoglobina, eritropoietina ed ematocrito, così da migliorare le prestazioni agonistiche. Lo studio di Berkeley si spinge più in là, individuando per la prima volta i geni che trasformano l'ipossia nel motore di una serie di adattamenti cellulari che, oltre che la resistenza atletica, migliorano la salute e rallentano l'invecchiamento. Non potremo andare tutti a vivere in Tibet. Scienza e medicina si apprestano però a portare l'Everest verso valle, affinché chiunque possa mutare un essere dell'Himalaya.