Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L'ultima battaglia del latte

L'ultima battaglia del latte

di Carlo Petrini - 21/07/2010


 

 
 

  



Nella nebulosa e annosa questione delle quote latte ci sono alcuni elementi molto chiari. Primo: è ormai un problema di pura legalità. Secondo: la questione riguarda soprattutto la Lega Nord che ha proposto l’emendamento, visto che i produttori debitori sono in maggioranza leghisti. Terzo: per colpa di pochi ci stiamo giocando la reputazione in un momento decisivo per le politiche agricole europee.
Legalità: già all’inizio, nel 1984, alcuni allevatori cercarono di aggirare la legge. Chiamati ad autocertificare la loro produzione per stabilire le quote, dichiararono molto meno del reale per coprire il “nero” e per non pagare più tasse. Furbi, ma non lungimiranti. Le quote da allora si sono quindi sempre rivelate sottostimate e hanno generato tutti i problemi degli ultimi 25 anni, continuando a quanto pare (da procedimenti in corso e conclusisi) a coprire un complesso sistema di evasione fiscale. Nel 2003 siamo riusciti – proprio con Tremonti – a negoziare un accordo con la UE, un pagamento in 14 anni senza interessi per chiudere la questione. Oggi c’è ancora chi si ostina a non pagare e vuole che altri (i contribuenti) paghino per lui. È giusto dire basta: sottoscrivo ciò che ha detto Fini «Non c’è libertà senza legalità» e sto dalla parte del Ministro dell’agricoltura Galan, che su questa vicenda ha ragione.
Sulle quote latte non mi trovo molto in linea con la Lega invece, che difende gli interessi di pochi grandi imprenditori agricoli che fanno parte dei suoi ranghi. Logico che stia dalla parte del suo elettorato, ma è meno logico che lo faccia in palese violazione delle norme europee: ci si aspetterebbe un altro tipo di etica da chi ha coniato lo slogan “Roma ladrona” e da chi ha mostrato in altre occasioni di avere a cuore i destini dei nostri agricoltori. Sono 19 i principali debitori. Tra di loro c’è chi non solo non ha mai pagato quello che doveva la sua azienda, ma ha anche venduto le sue quote, pur continuando a produrre a tonnellate.
La prossima settimana sono stato convocato a Bruxelles dalla Commissione Agricoltura a condurre un workshop per orientare la futura PAC. La politica agricola comune europea sarà infatti rivoltata come un calzino nei prossimi mesi, e ci troviamo in un momento decisivo per il futuro dell’agricoltura italiana. Nel cercare di coprire pochi grandi produttori non in regola, che fanno un’agricoltura insostenibile come quella degli allevamenti intensivi, ci stiamo giocando tutta l’attendibilità in sede europea, rischiamo di farli arrabbiare davvero e non vedere accolte le nostre istanze per una politica rinnovata e moderna, rispettosa della qualità, della sostenibilità, del ruolo decisivo dei contadini nelle nostre campagne. In un momento drammatico per il settore, dove tutti sembrano produrre in perdita - non soltanto i produttori di latte – vogliamo davvero fare questa figura barbina? Passare per i soliti “furbetti italiani”?
In fatto di agricoltura potremmo davvero dettare noi l’agenda europea, siamo i secondi del continente per produzione, ospitiamo una diversità unica, figlia di tradizioni e culture difficilmente riscontrabili altrove. Tutto ciò è in pericolo per politiche dissennate, per un incaponimento a favore di un’agricoltura intensiva di modello anglo-sassone e Nord europeo che non dovrebbe avere nulla a che vedere con noi.
Perché in Europa vincono sempre gli interessi degli altri Paesi e delle lobbies dell’agroindustria? Continuando di questo passo, con questa reputazione, finiremo per contare come il due da picche. La nostra civiltà agricola dovrebbe essere la punta di diamante di un’Italia orgogliosa e sapiente, che fa cultura con i suoi prodotti: se cercheremo l’ennesima scappatoia dalla legalità peggioreremo un’immagine che alimenta i soliti pregiudizi contro gli italiani. A questo punto sarebbe bello se i bravi agricoltori, quelli che producono bene tra mille fatiche e apprensioni per il futuro, si ribellassero. Che facciano sfilare loro i trattori e le bestie contro questi colleghi che stanno minando da soli tutto il comparto, e facciano capire a tutti che l’agricoltura italiana è tutt’altra cosa: nobile, civile, saggia.