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Tutto quello che importa sul caso Sarrazin è giudicare se pone sul tappeto problemi reali o no

di Francesco Lamendola - 30/08/2010

Ad essere sinceri, ci sembra strano che la tempesta sia scoppiata così tardi; che la caccia alle streghe di chi sostiene delle posizioni in contrasto con l’attuale Pensiero Unico - globalizzato, multietnico, multiculturale, multireligioso - sia incominciata solo ora; perché le condizioni esistevano da almeno vent’anni, a dire poco.
Il membro del direttivo della Bundesbank ed ex ministro regionale delle Finanze di Berlino, Thilo Sarrazin (antenati francesi e anche italiani) ha gettato il sasso nello stagno e ora si è scatenato il pandemonio, con mezzo governo tedesco che reclama la sua testa e le associazioni di immigrati che gridano al razzismo, mentre l’ineffabili Consiglio centrale delle comunità ebraiche tedesche lo accusa di antisemitismo per aver sostenuto che ogni popolo, Ebrei compresi, è portatore di un particolare gene, che lo distingue da tutti gi altri (e ha citato, come esempio analogo,  quello dei Baschi).
Ma la tesi centrale del libro di Sarrazin, «La Germania si distrugge da sola. Come mettiamo a rischio il nostro Paese», è che egli non vorrebbe che «il Paese dei miei nipoti e pronipoti diventi in gran parte musulmano, nel quale si parli prevalentemente turco e arabo, dove le donne portano il velo e il ritmo della giornata è scandito dai muezzin. Se voglio questo, posso prenotare una vacanza in Oriente»; che «ogni società ha il diritto di decidere chi vuole accogliere ed ogni Paese ha il diritto di salvaguardare la propria cultura e le sue tradizioni. Queste riflessioni sono legittime anche in Germania ed in Europa»; che non vorrebbe «che noi diventassimo stranieri in patria»; e, infine, che «il confine geografico e culturale dell’Europa va chiaramente tirato sul Bosforo e non al confine della Turchia con l’Iraq e l’Iran».
In una intervista alla rivista culturale tedesca «Lettre International», Sarrazin ha aggiunto: «I turchi e gli Arabi che abitano a Berlino vivono grazie agli aiuti dello Stato tedesco ma non fanno alcuno sforzo per integrarsi, guardano al Paese che dà loro lavoro e benessere con ostilità, non si occupano ragionevolmente dell’istruzione dei propri figli, non svolgono alcuna attività produttiva se non quella di vendere frutta e verdura e di produrre incessantemente bambine velate. Questo vale almeno per il 70% dei Turchi e il 90% degli Arabi che vivono a Berlino. Prima o poi questa gente conquisterà la Germania esattamente come i Kosovari hanno conquistato il Kosovo: grazie a un alto tasso di natalità.»
Sarrazin, che si vede ora minacciato di espulsione non solo dalla Bundesbank (cosa che richiederebbe però un intervento diretto del Presidente della Repubblica, fatto inaudito e mai accaduto prima), ma anche dal suo stesso partito politico, la socialdemocrazia, ha aggiunto di considerare benvenuti quegli immigrati che desiderano sinceramente dare il proprio contributo alla crescita civile e culturale tedesca; mentre gli altri, che sono la grande maggioranza, «se ne possono anche tornare a casa».
Parole forti e, in parte, grossolane; tuttavia, l’unico interrogativo serio che ci si dovrebbe fare, al di là dello stracciarsi le vesti da parte delle solite anime belle “politicamente corrette”, è domandarsi se esse pongano sul tappeto delle questioni reali, oppure no. Perdersi in chiacchiere sulla forma, quando la sostanza, in questo caso più che mai, è l’unica cosa che conti davvero, sarebbe indice di un atteggiamento parolaio, irresponsabile e intellettualmente disonesto. Non si insultano i pompieri perché la loro sirena, mentre corrono a spegnere un incendio nel cuore della notte, ha svegliato dal loro sonno i bravi cittadini.
Ebbene: ci sembra che vi siano pochi dubbi che le questioni poste sul tappeto da Sarrazin, che poi si riducono a una sola e di scottante attualità non solo per Berlino e per la Germania, ma per tutta l’Europa, siano estremamente serie e fin troppo reali, e che solo una sorta di paralisi morale e culturale abbia potuto far sì che qualcuno abbia tardato tanto a pronunciarle nel salotto buono del mondo politico europeo, lasciando che a farlo sino ad oggi - ma con altre finalità e con altre motivazioni ideologiche - fossero i piccoli leader di movimenti razzisti e xenofobi, magari impregnati di nostalgie neonaziste.
Ecco, questo è stato il grande delitto consumato dalla politica e dalla cultura “politicamente corrette” degli ultimi vent’anni: aver negato l’esistenza stessa del problema; averne proibito la discussione, pena le accuse più infamanti e vituperevoli; aver lasciato che il problema ingigantisse, che andasse in metastasi, continuando ad ignorarlo o a liquidarlo con poche battute buoniste, come se fosse una semplice questione di buona volontà individuale; e, peggio di tutto, aver permesso che la legittima preoccupazione dei comuni cittadini degenerasse in odio e intolleranza per la totale assenza di risposte da parte degli Stati europei e aver permesso a degli improvvisati capipopolo, avventurieri, ignoranti e brutali, di strumentalizzare quella legittima preoccupazione per costruire le loro fortune politiche, fomentando paura, avversione e rifiuto.
Il grande ricatto è stato quello del razzismo.
Dire che gli immigrati sono troppi; che, proseguendo con questo ritmo, e tenendo conto del diverso tasso di natalità, fra due o tre generazioni l’Europa sarà da essi colonizzata; che ogni cittadino ha il diritto di esprimersi su questioni di tale importanza e che ogni popolo ha il diritto, e fors’anche il dovere, di tutelare la propria identità sociale e culturale, senza che i suoi uomini politici lo mettano di fronte al fatto compiuto e gli presentino come inevitabili e irrevocabili delle scelte che, invece, possono e devono essere ampiamente discusse, non solo nei governi, ma nei parlamenti e nella società civile: tutto questo è assolutamente legittimo.
Invece, ostinatamente, tenacemente, si è sostenuto che fare simili discorsi significa minare la convivenza pacifica tra immigrati e popolazioni residenti; che equivale a fare del razzismo, della xenofobia, magari del fascismo e del nazismo e che incoraggia gli esseri umani a dare libero sfogo alla loro parte peggiore, quella grettamente egoistica.
In tal modo si sono fatti sentire in colpa tutti i coloro i quali, pur non avendo la benché minima propensione al razzismo, nutrivano però, e nutrono tuttora, molti ragionevoli dubbi sulla bontà di una politica basata sull’accoglienza di un flusso ininterrotto di immigrati, dell’ordine di milioni e milioni di individui (in Germania, ad esempio, i Turchi sono già ben tre milioni) e si è fatto in modo che i loro legittimi timori, non trovando ascolto e attenzione da parte di alcun partito politico serio e responsabile, rifluissero verso movimenti improvvisati che fanno leva, quelli sì, su di una matrice chiaramente intollerante e razzista.
È un problema etico dell’Europa. In Australia, uomini politici di primo piano possono dire a chiare lettere, senza che nessuno si scandalizzi, che quel Paese è disposto ad accogliere fino a un massimo di tre navi di immigrati clandestini all’anno. In Italia, gli sbarchi di decine e decine di immigrati clandestini sono cosa di ogni giorno e le leggi sull’asilo politico e umanitario sono talmente ampie e generose, da consentire a moltissimi di loro di rimanere, senza alcuna forma di “numero chiuso”, indefinitamente; per non dire che anche quelli che vengono respinti trovano il modo di rimanere o di tornare alla prima occasione.
Anche l’idea che un immigrato clandestino possa vedersi negato non già il diritto alle cure sanitarie in caso di incidente o malattia, ma il “diritto” di non declinare le proprie generalità e di essere curato e poi dimesso, senza che alcuno gli ponga domande su come vive e dove vive, da noi fa scandalo.
Fa scandalo l’idea che un medico, dopo aver accolto e curato, al pronto soccorso, un paziente che sia immigrato clandestino, ne segnali la presenza all’autorità pubblica: si dice che sarebbe come trasformarlo in un aguzzino.
Fa scandalo l’idea che il figlio di immigrati clandestini possa essere escluso dal diritto alla pubblica istruzione: si dice che equivarrebbe a una intollerabile forma di discriminazione.
Fa scandalo che il refettorio di un asilo o di una scuola possano non servire il pasto caldo quotidiano al figlio di un immigrato clandestino la cui famiglia, da mesi, non paga la modestissima retta; non ci si chiede se dovrebbe intervenire, semmai, qualche altro ente, e non già un asilo o una scuola che non possiedono fondi illimitati per soddisfare qualunque richiesta assistenziale.
Fa scandalo, più in generale, l’idea che l’immigrazione clandestina possa venire considerata come un vero e proprio reato: anche se essa corrisponde, in tutto e per tutto, all’introdursi in una abitazione privata, passando di notte da una finestra e, non di rado, rubando quello che capita sotto mano: con la differenza che qui si tratta non di singoli individui, ma di migliaia e milioni, con tutte le ricadute sociali che necessariamente ne derivano.
Tutto questo mentre il dittatore libico Gheddafi, nel corso della sua attuale visita ufficiale a Roma (29 agosto 2010) ha dichiarato apertamente, davanti alla stampa e alle televisioni, che «la religione futura dell’Europa dovrà essere l’Islam» e mentre il rimpatrio in Romania e Bulgaria di alcune migliaia di Rom dalla Francia, dopo la loro espulsione dai campi nomadi abusivi, ha provocato una immediata e rumorosa levata di scudi da parte di tutti, Chiesa cattolica in testa.
Insomma: da una parte vi è la massima determinazione nel voler colonizzare l’Europa per mezzo di immigrati che non vengono solo in cerca di lavoro e di prospettive per il loro domani, ma allo scopo preciso di modificare radicalmente l’assetto sociale e culturale del nostro continente; dall’altra, sensi di colpa, scrupoli ed esitazioni, anche per il respingimento di una infinitesima percentuale di immigrati irregolari.
A proposito dei Rom, qualcuno ha approfittato dei provvedimenti del governo francese per ricordare che anch’essi sino stati vittime, nel corso del secondo conflitto mondiale, di un genocidio. Fa piacere che a quei tali sia tornata la memoria, dopo che per sessant’anni ci era stato detto che l’unico genocidio della storia è stato quello a danno degli Ebrei, e che anche soltanto metterlo in dubbio equivaleva ad una intollerabile forma di antisemitismo.
Tuttavia, ci permettiamo una semplice domanda: che cosa c’entra l’argomento del genocidio con la chiusura dei campi nomadi abusivi, i cui abitanti vivono nel degrado e con gravissimo disagio per le vicine popolazioni residenti?
La memoria storica non può essere adoperata come un’arma di ricatto per zittire qualunque argomento, per conferire assoluta libertà di movimenti e disprezzo delle leggi ai pronipoti di lontane tragedie. Sarebbe come dire che, siccome i miei nonni e bisnonni hanno subito una persecuzione, io ho il diritto di pormi al di sopra delle legge e di fare tutto ciò che voglio, senza che alcuno possa criticarmi o chiedermi di rendere conto del mio modo di fare. Questa sarebbe una aberrazione etica, contrabbandata dietro la maschera del senso di umanità.
È spiacevole il fatto che dire certe verità scomode, ormai, significhi essere etichettati automaticamente come dei nemici della convivenza tra i popoli e le culture, addirittura dei nemici della pace e del progresso. La colpa è di tutta una classe dirigente demagogica e irresponsabile, che ha lasciato incancrenire il problema e che non vuole nemmeno sentir parlare di farsi un po’ di autocritica: anche se il prezzo dei suoi macroscopici errori è sotto gli occhi tutti, e lo stanno pagando - contrariamente a quello che molti sostengono - proprio le fasce sociali e le categorie di cittadini (anziani specialmente) più vulnerabili e indifese.
Certo gli effetti dell’immigrazione selvaggia si faranno sentire solo da ultimo nelle ville dei ricchi con giardino e piscina, nei loro club esclusivi, nei loro alberghi a cinque stelle. Per intanto, a soffrirne sono pensionati e famiglie dal reddito modestissimo, costrette a vivere in quartieri sempre più degradati da droga, prostituzione e microcriminalità.
Ma alla classe politica europea, che si riempie sempre la bocca di diritti e non parla mai di doveri (specialmente dei propri, a cominciare da quello dell’onestà), che cosa importa se la vita sta diventando intollerabile per milioni di cittadini e se l’intero continente, nel giro di trenta o quarant’anni, avrà perduto irrimediabilmente la propria fisionomia culturale e la propria specifica  dimensione spirituale?
Non è di queste cose che si preoccupano, loro. Che siano in buona o in cattiva fede, pensano solo all’angusto presente e non sanno vedere più in là del loro naso.