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Irak: una guerra "energetica". (L’esercito Usa spende miliardi per il petrolio)

di Peter Maass - 30/08/2010

Fonte: italiasociale




Poco dopo l’ingresso dei marines a Bagdad, appena abbattuta la statua di Saddam Hussein, ho visitato il Ministero del Petrolio. Le truppe americane avevano circondato l’ edificio color sabbia proteggendolo come un gioiello di primaria importanza. Ma non lontano da lì, i predatori derubavano il Museo Nazionale di veri e propri gioielli. In quel periodo Bagdad era teatro di saccheggi generalizzati. Un gruppetto di irakeni che lavoravano al Ministero del Petrolio sostavano davanti al cordone delle truppe americane e uno di loro, evidenziava che la protezione accordata al suo posto di lavoro, era in netto contrasto con la mancanza di protezione data ad altri edifici e fece questa osservazione:«Tutto questo è fatto per petrolio»

Il problema posto da quest’uomo è centrale se vogliamo capire ciò che paghiamo realmente per un litro di benzina. La fuoriuscita di petrolio BP nel Golfo del Messico ha ricordato agli Americani che il prezzo alla pompa è diminuito ma una valutazione onesta dovrebbe tener conto dell’inquinamento delle nostre acque, della nostra terra e della nostra aria.
Tuttavia questa valutazione resta incompleta se non teniamo conto di altri fattori e soprattutto di quello che rappresenta senza dubbio il più importante dei costi e cioè il fattore militare. Quanto incide il petrolio nelle guerre che facciamo e nel mezzo bilione(un bilione sono mille miliardi) di dollari che spendiamo ogni anno in stanziamenti militari? E in questo periodo di forti disavanzi, val forse la pena chiedersi quanto e che cosa stiamo pagando.

La discussione si limita spesso ad un litigio di botta e risposta:tu menti/no, sei tu che menti.
Donald Rumsfeld, ex Segretario alla Difesa(Ministro della Difesa) insisteva sul fatto che l’invasione dell’Irak non aveva «nulla a che vedere con il petrolio».
Anche Alain Greenspan , ex presidente della Federal Riserve ha respinto questa affermazione:
”E’ politicamente imbarazzante ammettere quello che ognuno sa”scrive Greenspan nelle sue memorie”La guerra in Irak è essenzialmente una guerra per il petrolio”.
Anche se fosse vero solo in parte il fatto che abbiamo invaso l’Irak per il petrolio e che teniamo lì il nostro esercito e la nostra marina per il petrolio, quanto ci viene a costare tutto questo?Ecco uno dei principali problemi che ci pone il petrolio, cioè il suo costo nascosto che spiega in un certo qual modo la nostra dipendenza a questa sostanza: noi ne ignoriamo il prezzo reale.

Ma è possibile conoscerlo. Roger Stern è un geoeconomista dell’Università di Princeton che ci offre un approccio innovativo. Nell’aprile 2010 ha pubblicato uno studio molto attendibile sul costo del mantenimento delle portaerei Usa nel Golfo persico dal 1976 al 2007.
Le portaerei pattugliano il Golfo Persico per proteggere il traffico petrolifero e Stern è legittimato ad attribuire il costo della loro presenza al petrolio. Questo è un eccellente mezzo di misurazione.
Passando al setaccio i dati del Dipartimento della Difesa - cosa non facile – visto che il Pentagono non classifica le proprie spese per missione o per regione, si arriva ad un totale di 7,3 bilioni di dollari nell’arco di trent’anni.!

Eppure si tratta solo di una parte delle spese effettuate principalmente in tempo di pace. É molto più difficile misurare fino a che punto le guerre fatte dall’America siano legate al petrolio e di calcolarne il costo. E se Donald Rumsfeld, attualmente in pensione, ha finito per riconoscere in un momento di rilassatezza in “off”, che l’invasione dell’Irak ha avuto a che fare con il petrolio? Uno studio pubblicato nel 2008 dal premio Nobel Joseph Stiglitz e da Linda Balms, esperta in analisi di bilancio all’Università di Harvard, valuta il costo della guerra –sommando ciò che è già stato speso e quello che verrà elargito probabilmente nei prossimi anni –ad un minimo di 3 bilioni di dollari(e probabilmente molti di più). Ancora una volta tutto ciò viene calcolato in bilioni.

Certo è sicuro che bisognerà attendere un po’di tempo prima di trovare una presentazione in Power Point al Pentagono o alla Casa Bianca relativa alle spese della difesa destinate al petrolio.(qualunque sia il partito al potere) Così sicuri come lo sono i tagli dei programmi per la Sicurezza Sociale che sono un tabù politico come lo sono le spese militari legate al petrolio che non vengono mai accennate nei corridoi del potere.
Per i politici come per i generali il terreno è scivoloso: riferendosi troppo apertamente a questo argomento, possono danneggiare il concetto chiave della politica estera americana:
«La nostra unica ambizione è quella di costruire un mondo migliore».
E’ molto più facile discutere di inutile retorica che di cifre reali.
Bisogna risalire ad una ventina di anni fa per trovare qualcosa su questo argomento in seno al GAO (Government Accontability Office), organo d’investigazione del parlamento americano che nel 1991 stimava che tra il 1980 e il 1990 gli Stati Uniti avevano speso 366 miliardi di dollari per proteggere i pozzi di petrolio in Medio Oriente. La relazione del GAO era solo un’istantanea relativa ad una regione in un determinato momento e ad una certa epoca in cui l’America non era coinvolta in una grande guerra. Questo studio avrebbe potuto costituire un buon punto di partenza se fosse stato seguito da successivi approfondimenti ma ciò non si è verificato.
Dobbiamo quindi contare su piccoli studi condotti da esperti non governativi come Stiglitz e Stern per analizzare gli strumenti che misurano i legami non solo tra il petrolio e guerra, ma anche tra la corruzione e la povertà.
Tra questi esperti ci sono: Paul Collier dell’Università di Oxford, autore di The Bottom Billion così come di Michael Ross dell’UCLA, di Michael Watts dell’Università di Berkley, di Ian Gry a Oxfam e di Sarah Wykes, una ex collaboratrice dell’organizzazione non governativa Global Witness che mira a far luce sui legami tra lo sfruttamento delle risorse naturali e i mali che ne derivano.
Le loro aree di competenza sono l’economia, la geografia, le scienze politiche e la corruzione e sono gli elementi sui quali essi lavorano,senza rifarsi ai percorsi e alle idee non convenzionali degli esperti che il generale David Petraeus ha radunato per ripensare i dati e la pratica per reprimere un insurrezione.

Ma il petrolio ha già trovato il suo Petraeus poiché il petrolio rimane un problema difficile da quantificare. Le proiezione del surriscaldamento climatico, l’immagine dei pellicani impiastricciati nel petrolio e quella dei morti in Irak non hanno causato reali cambiamenti nella nostra dipendenza ai prodotti petroliferi qualunque essi siano.
Gli Stati Uniti consumano più benzina oggi di quando c’è stata l’invasione dell’Irak e l’incidente sulla piattaforma della BP nel Golfo del Messico.
Se avessi preso un dollaro per ogni volta che un politico dichiarava, come ha fatto il presidente Obama nel suo discorso di giugno dall’ ufficio ovale”Da oggi in poi dobbiamo rivolgerci alle energie pulite” potrei costruirmi un campo ad energia eolica.
Un’attitudine più onesta prevederebbe molto più della dichiarazione di tali banalità usate fino allo sfinimento perché ci obbligherebbero ad affrontare i costi nascosti cioè quelli che non vediamo al distributore di benzina. E dopo tutto, il modo migliore per attirare l’attenzione dei consumatori resta ancora quello di parlare al loro portafoglio.

Traduzione di Stella Bianchi italiaociale.net
da mondialiation.ca


Peter Maass è un collaboratore del New York Times ed è l’autore di Crude World: The Violent Twilight of Oil