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Plenilunio d’agosto in riva al fiume

di Francesco Lamendola - 31/08/2010





A MIA MADRE, CHE AVREBBE MERITATO SOLO FIORI SUL SUO CAMMINO.

Il grande fiume è là, dietro la macchia di salici, che scorre nella notte serena, ingrossato dalle recenti piogge ed annunciato dallo sciacquio costante delle sue onde.
Da qui non lo si può vedere, ma lo si può udire.
La sua voce è una voce amica che vibra nella notte, come il sussurro di due giovani amanti che si erano dati appuntamento e finalmente si sono ritrovati.
Le foglioline sui rami vibrano alla carezza del venticello e le fronde stormiscono lievi, frusciando come la veste di seta d’una fata che attraversa i prati in punta di piedi, correndo leggera e sfiorandoli appena.
Nel cielo sereno, la luna piena sta sorgendo lentamente, dietro la trama dei rami, pronta a rifulgere in tutto il suo splendore.
Qua è là, odi il richiamo d’un uccello notturno e il movimento cauto, ora lento, ora rapido, di qualche animaletto che si sposta attraverso l’erba alta; e poi silenzio, e solo il mormorio dell’acqua e il fremito di mille e mille foglie di pioppo.
Tutto è pace in questa scena fuori del tempo, identica a quella di mille o diecimila anni fa; identica a quella che vi sarà tra mille anni.
La natura nulla sa del nostro agitarsi affannoso e disordinato, delle nostre pazze ambizioni e delle nostre amare delusioni.
Il respiro di questa notte serena di fine agosto è come il soffio di una vita possente, ma dolce, che viene da sconfinate lontananze e prosegue, calmo e sempre uguale, verso lontananze altrettanto sconfinate.
E noi siamo qui, fra la danza dell’onda e la danza delle fronde: frammenti di universo cullati dal ritmo solenne della danza cosmica.
Non c’è ieri, non c’è domani; non c’è passato e non c’è futuro.
Le foglie d’argento sui rami tremolano come milioni di dita; come se una folla di milioni di braccia stesse battendo le mani ad un rito semplice e tuttavia grandioso.
Noi siamo qui, e solo questo conta.
Qui e adesso.
Siamo qui e respiriamo il soffio della notte estiva; riempiamo gli occhi, gli orecchi e la pelle con le forme, i suoni e la carezza del Tutto in cui siamo immersi.
Non vi sono desideri, non vi sono rimpianti.
Tutto è come dev’essere, semplicemente; come è giusto che sia.
Nessun giudizio, nessun rammarico, nessun pensiero.
Solo gioia pura, lode e ringraziamento; solo ascolto, apertura, abbandono.
La nostra parte divina, liberata dai ceppi del pensiero razionale e calcolante, finalmente comincia ad emergere, a diffondersi gradualmente.
Alla fredda luce lunare che scende dall’alto fa riscontro la calda luce interiore, che mano a mano si espande e che permea di sé tutto l’essere.
Lucciole danzano e disegnano magiche figure al di sopra dell’erba, come minuscole fatine o spiriti benevoli perduti nei loro giochi.
Il cielo è sereno e senza nuvole; solo poche stelle brillano, superando il chiarore dell’astro notturno giunto al massimo del suo fulgore.
E sempre il mormorio dell’acqua viene dal fiume, dal grande fiume che giace addormentato ai piedi delle montagne azzurre.
Tutto è pace e armonia e serena contemplazione.

*   *   *

Lo scrittore cinese-americano Deng Ming-Dao, nel suo libro «Il Tao per un anno» (titolo originale: «365 Tao: Daily Meditations», 1992; traduzione italiana di Anna Rusconi, Parma, Guanda, 1993, p. 16), nel commentare i due ideogrammi cinesi che significano «La luna al di sopra dell’acqua» e «Stare seduti in solitudine», svolge la seguente riflessione:

«Se le acque sono placide, riflettono perfettamente la luna. Se noi ci quietiamo, possiamo riflettere perfettamente il divino. Ma se ci lasciamo trasportare solo dalla frenesia dei nostri impegni quotidiani,  se cerchiamo di imporre i nostri schemi all’ordine naturale  e ci lasciamo assorbire da punti di vista egocentrici, la superficie delle nostre acque si fa turbolenta.  Allora cessiamo di essere ricettivi al Tao.
Nessuno sforzo può quietarci del tutto.  La vera quiete nasce spontanea da momenti di solitudine in cui concediamo alla nostra mente di placarsi. Proprio come l’acqua scorre verso il basso, la mente gravita verso il sacro..Restando immobili, le acque melmose tornano chiare, e anche la nostra mente lo sarà, se solo le permetteremo di fermarsi.
Né l’acqua, né la luna compiono alcuno sforzo per produrre il riflesso. Allo stesso modo, la meditazione sarà cosa naturale  e immediata.»

Noi aspettiamo sempre che la chiarezza ci venga da chissà dove, e vogliamo lo sguardo tutt’intorno in cerca di un indizio, di un suggerimento dall’esterno.
L’unico suggerimento che può venirci dal’esterno è quello di imitare l’acqua del fiume e la luna nel cielo: divenire calmi e accoglienti, essere ricettivi davanti allo splendore del paesaggio fluviale inondato dalla luce argentea della luna, nonché ai suoni e, più ancora, ai silenzi incantati della notte d’estate.
Dobbiamo svuotare la mente dei pensieri, delle preoccupazioni, delle brame, delle paure, delle attese di ogni genere che ci travagliano continuamente, che non ci lasciano mai soli e che assorbono il più e il meglio delle nostre energie interiori.
Siamo logorati da un folle dispendio di energie; permettiamo che esse ci vengano sottratte da mille cure superflue, da timori immaginari e da evanescenti fantasmi di felicità, che sono sempre un passo davanti ai nostri piedi, per quanto ci mettiamo a correre.
Non li raggiungeremo mai, perché non sono reali.
Dobbiamo tornare in noi stessi.
Solo svuotandoci del superfluo, lasciando andare le cure inutili e dannose potremo ritrovare l’essenziale e, con esso, il nostro equilibrio naturale.
Ogni cosa tende all’equilibrio: l’acqua che fluisce verso il mare, la luna che si leva e che tramonta, gli animali che vanno in cerca di cibo e che mangiano solo quanto serve loro, per poi ritirarsi nei nidi e nelle tane.
Solo gli uomini sono tormentati dall’inquietudine.
L’inquietudine, tuttavia, è di due specie: positiva e negativa.
È positiva quella che li sprona continuamente alla ricerca, al superamento di se stessi, allo slancio verso l’Assoluto.
È negativa quella che li consuma e li distrugge nel circolo vizioso dei piccoli desideri, delle piccole ambizioni e delle piccole speranze.
Gli uomini si credono grandi e si inorgogliscono perché possiedono la ragione; ma la loro vera grandezza consiste, invece, nella capacità di farsi piccoli.
Di farsi ascolto, di farsi dono, di farsi ringraziamento.
La vera grandezza dell’uomo è quella di riconoscersi una scintilla dell’Essere e di far emergere l’essenza divina che alberga nella loro anima.
Nulla è più grande di questo.

*   *   *

Ascoltare il silenzio della notte, bearsi della luce della luna e della melodia dell’acqua, che non  stanca mai, pur essendo sempre uguale a se stessa: questa è la pace.
Noi aspiriamo alla verità, alla giustizia, alla bellezza; noi aspiriamo al bene; ma tutte queste aspirazioni si compendiano in una sola: l’aspirazione alla pace.
Trovare la pace, significa trovare tutto il resto.
Trovare la pace non vuol dire affatto disinteressarsi delle cose di questo mondo, guardare con disprezzo quanti vi si affaticano: niente di tutto questo; significa, semmai, guardarli con benevolenza e compassione.
Ma significa anche aver compreso la trappola dell’ignoranza, che ci fa credere separati dal Tutto, separati dall’Essere da cui veniamo e a cui torniamo.
Noi non siamo soli, non viviamo unicamente per noi stessi, né siamo qui per un incomprensibile capriccio del caso.
La nostra dignità consiste nel legame che ci affratella a tutte le cose e che affratella ogni cosa, noi compresi, all’Essere luminoso ed autosussistente.
Noi siamo la luna piena che brilla alta nel cielo, noi siamo le mille e mille foglie del pioppo che stormiscono al vento sulle fronde, noi siamo l’acqua del fiume che scorre mormorando nella notte estiva.
Siamo un po’ tutte queste cose insieme, perché ciascuna di loro, come noi, non è altro che un riflesso dell’Essere.
L’Essere è splendore, e noi siamo splendore.
L’Essere è consapevolezza, e noi siamo consapevolezza.
L’Essere è beatitudine, e noi siamo beatitudine.
Nulla ci può turbare, allorché riusciamo ad accedere a questa verità, che è la ragione e il fondamento di ogni altra verità particolare, così come il fuoco è la ragione e il fondamento di ogni particolare forma di calore.
La nostra pace diviene tranquilla e indistruttibile, una volta che la nostra anima si sia stabilita saldamente in questa verità.
Non  che la lotta sia finita: perché la vita  lotta, e dovremo lottare fino all’ultimo giorno di essa, che lo vogliamo o no.
Ma diverremo dei lottatori equilibrati; dei lottatori pacificati; dei lottatori che non perderanno più il proprio centro spirituale.
Una cosa è lottare disordinatamente, angosciosamente, sentendosi sempre più deboli, sconfitti e abbandonati; e una cosa ben diversa è lottare con animo tranquillo, sapendo che una Forza più grande di noi, una Forza benevola e infinitamente saggia, ci guida, ci sostiene e ci incoraggia nei momenti più difficili.
Questa Forza non richiede da noi uno sforzo, quanto piuttosto un abbandono.
Lo sforzo è proprio di chi si crede forte oppure di chi, pur non reputandosi forte, si pone sul piano della forza, e così va incontro alla disfatta; mentre noi sappiamo bene di essere deboli e fragili, bisognosi di aiuto, di indirizzo e di incoraggiamento.
Per trovare la forza che ci manca, di cui siamo indigenti, dobbiamo semplicemente fare silenzio e rientrare in noi stessi: e lì, nelle profondità dell’anima, troveremo la nostra parte divina, fonte inesauribile di forza, di gioia e di bellezza.
Un velo ci cadrà dagli occhi e vedremo con stupore tutta la bellezza del mondo.
Sarà un’esperienza straordinaria, che cambierà la nostra vita.
Ci meraviglieremo di aver atteso tanto, di aver sprecato così tanto tempo e tante energie inseguendo false immagini di bene.
Non avremo più paura; saremo in pace con noi stessi e con la vita.
Sarà come ritornare a casa dopo un lungo viaggio.