Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Dalla parte della Corrida

Dalla parte della Corrida

di Fabio Mazza - 02/09/2010

    

Image


A seguito di iniziativa popolare di associazione animalista catalana, il parlamento della riottosa regione spagnola ha approvato con 68 voti favorevoli e 55 contrari, nonché 9 astensioni, la legge che vieta la tauromachia in quelle contrade. La decisione, seguita da manifestazioni di giubilo dell’associazione animalista che aveva presentato la proposta, e da altrettante manifestazioni di dissenso di tradizionalisti dell’agone dell’arena, è interessante ai fini di un'analisi sull’evoluzione della mentalità moderna.
Per quanto ci riguarda dichiariamo immediatamente che siamo favorevoli alla corrida, laddove essa sia scevra dalle manie e dalle degradazioni degli sport moderni: doping ai tori, scommesse, mezzucci per vincere e via dicendo. Laddove un uomo, senza aiuti, si misurasse da solo con un animale, questo sarebbe per noi segno di virile coraggio, e metterebbe sullo stesso piano la vita dei due esseri, nobilitando cosi la morte dell’uno o dell’altro. Il misurarsi con la natura, e contro se stessi, i rituali del preliminare, la tradizione dell’arena, che ricorda da vicino quella dei munera gladiatori di romana tradizione, è a nostro avviso qualcosa di non certo ripugnante, di non certo inutile, di non certo inumano. Sicuramente vi è un risvolto crudele, ma solo più manifesto e diretto che in tanti campi della vita odierna, ove la crudeltà si manifesta in forme più serpentine e occulte. Se a questo aggiungessimo (ma è chiedere l’impossibile per quest’epoca disastrata), la possibile elevazione spirituale di chi partecipa a cimenti di tal fatta, attraverso l’ascesi dell’azione e con risvolti possibili ed eventuali di “mors triumphalis”, allora capiremmo che davvero questa disciplina potrebbe, in date condizioni, propiziare un meccanismo “anagogico”.
Se al contrario per corrida deve intendersi uno spettacolo per turisti, una fonte di guadagni per allibratori e di malavita o di alterazione della regolare agone con somministrazione di sostanze ai tori, o con trucchi atti a renderlo indebolito, come è stato da più parti denunciato, allora la storia è diversa, e il nostro plauso alla disciplina svanisce come neve al sole.
Ma l’aspetto forse più interessante dell’intera questione noi lo vediamo nella mentalità odierna di fronte a questi spettacoli. Si sostiene che sono crudeli, che sono inutilmente violenti. Ma la risposta che darebbe qualunque buon conoscitore della natura umana è che è la stessa esistenza ad essere, spesso, crudele. È la stessa natura dell’uomo che è violenta. Questo, al di la di ogni esaltazione machista, o di ogni riduzionismo, è solamente un prender atto della realtà delle cose. Chiunque non voglia capire tutto ciò e, immemore del passato, vuole costruire l’uomo perfetto, l’uomo “liberato” dall’aggressività e dall’istinto di thanatos, sta preparando un inferno in terra, ben peggiore di quello che vorrebbe combattere. Vi è nell’uomo un naturale istinto all’aggressività, alla guerra, alla conquista. Questi istinti, incanalati per millenni ritualmente come nel caso in esame, o nella guerra, trovavano la loro valvola di sfogo, la loro naturale sublimazione. Con l’avvento della macchina, con l’inevitabile tecnizzazione della guerra, e la sua perdita completa di umanità, sostituita con regole e dinamiche da videogame, la violenza, la conquista, la guerra sono state -per dirla con Massimo Fini- dichiarate pornografiche, il male dei mali. Colpite da un interdetto sociale esse ora vengono ipocritamente chiamate “missioni di pace”, e delle antiche guerre e tenzoni non conservano nulla, ormai orientate unicamente dalla conquista imperialistica e dalla mancanza di onore. E tutta questa naturale (non buona o cattiva) aggressività dove va ad incanalarsi ora? Risposta: da nessuna parte. E cosi come tutti gli istinti sopraffatti e nascosti nell’uomo, che divengono mostri relegati nel subconscio, ecco che nascono, come per magia, le paranoie, le nervrosi, le depressioni ed ogni forma di atonia e di discentramento dovuta alla riduzione dell’uomo ad un razionalismo tanto più totalitario, quanto più mosso dalle buone intenzioni e dai “diritti umani”. E cosi si assiste, per la cronaca, ad esplosioni di violenza (specie tra i giovani che più di tutti hanno necessità che questi istinti vengano sanamente incanalati) tanto più ingiustificate, tanto più si è realizzato il teorema della società del benessere. Ingiustificate per chi non può, o non vuole, vedere.

La corrida, ultimo residuato di una mentalità premoderna, forse crudele, ma di sicuro vitale e autentica, non è certo più moralmente violenta o ripugnante di uno degli squallidi talk show a qui siamo costretti ad assistere, non è più squallida della violenza americana che mostra la televisione ad ogni ora del giorno, non è più degradante dello spettacolo di una partita di calcio dove la violenza, non ritualizzata e fuori posto, esplode regolarmente; o del carnaio dello “sballo” delle discoteche e dei rave party, estremo tentativo di affermazione della massa nella massa, a dimostrazione del fatto che qualche valvola di sfogo la società deve per forza offrirla alle torme popolari. Ma questi ragionamenti non li intendono i fautori dell’abolizionismo, concentrati unicamente sull’atto in sé, sull’uccisione dell’animale, per vedere il quadro d’insieme.
Allora passiamo ad esaminare in breve la concezione dei “diritti degli animali” sostenuti da queste associazioni.
C’era un tempo in cui non solo gli animali, ma nemmeno gli uomini vantavano “diritti”. Esistevano dei ruoli e delle posizioni, che davano certi privilegi e certi doveri, e solo all’interno di questi ruoli sociali si avevano “diritti”. Non esisteva un diritto in quanto tale. Successivamente si affermarono, con le dottrine illuministiche e giusnaturalistiche, le idee di “diritti naturali”, per cui ogni uomo nasce con dei diritti in quanto essere umano. Questa dottrina, intrinsecamente livellatrice, è stata estesa lentamente da casta a casta, da sesso a sesso, da razza a razza, e infine da specie a specie, come vediamo. E ora gli animali assurgono a titolari di diritti, simili a quelli dell’uomo proclamati dalla dichiarazioni dell’89: diritto alla felicità, ad esempio. Il che da un lato è sicuramente lodevole, se si limita alla tutela degli animali da violenze gratuite, e da trattamenti inutilmente crudeli e vessatori: d’altro canto però, come tutte le dottrine “salvifiche” della storia, nasconde un pericoloso “lato oscuro”. La felicità a cui questi animali avrebbero diritto, diventa, per l’alienato uomo-consumatore moderno, la sua bulimica, indegna e aberrante felicità. Quella ad esempio di essere agghindati con cappottini e gioiellini; o di essere portati in cura dallo psicanalista nei casi più estremi; ma anche quella di essere parificati all’uomo, quando essi sono qualcosa di ontologicamente diverso: non migliore o peggiore, ma con un'altra posizione, un altro ruolo nell’universo.
A questi atteggiamenti dei più si accompagna un altro tipo di comportamento sovente diffuso tra questi animalisti: l’esaltazione degli animali come “migliori” dell’uomo, e la conseguente “demonizzazione” dello stesso. Questo atteggiamento, che si inserisce tra l’altro alla perfezione nel clima dell’età del ferro, dove invece di tendere verso l’alto, l’uomo tende verso il basso in una sorta di naturalismo “catagogico”, è particolarmente rivelatore della confusione, dello smarrimento e della mancanza di orientamento che mostrano molti nostri contemporanei. Una sorta di pacifismo naturalista, con inclinazioni al veganismo, all’anarchia di ruoli e di gerarchia, con tendenze figlie dei movimenti del '68: diciamo chiaramente che costoro, della natura non solo degli animali, ma anche delle cose, non hanno capito assolutamente nulla. Noi di certo non riteniamo di avere la “verità in tasca”, ma la visione del mondo distorta che costoro proclamano è intrinsecamente discentrata, nonché sottilmente totalitaria.
La nostra opinione è che è indubbio che gli animali vadano rispettati, ma in una società tradizionalmente sana, questo non dovrebbe nemmeno essere sancito per legge, sarebbe un'ovvietà. Cosi come da sempre popolazioni come i nativi americani, per citarne una che si era mantenuta fino a poco tempo fa con crismi che i popoli europei avevano perso da secoli, uccidono animali, ma lo fanno con un intimo rispetto, un intimo senso di compartecipazione al manifestato. La dignità dell’animale oggi non è minacciata dalle corride. È minacciata dalla umanizzazione degli animali, che è non solo offensiva per l’uomo, ma soprattutto per l’animale, che nato in quella forma, ha delle prerogative e delle necessità diversissime dalle nostre. Se questi animalisti vogliono avere il nostro appoggio, che continuino le battaglie contro gli allevamenti in batteria, contro gli abusi cinesi (inutili e privi di ogni significato) sugli animali; che contrastino l’utilizzo “orwelliano”, che di questi fanno le multinazionali. Non crediamo che l’abolizione dell’arena abbia un carattere di “civiltà”, perché sono altri e ben più gravi, i segni di decadenza della nostra civiltà.