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M.O. a favore di telecamere

di Luca Mazzucato - 06/09/2010



Abbas, Clinton e Netanyahu sorridono per le telecamere: si riparte con la farsa dei negoziati di pace israelo-palestinesi. Sembrava l'altro ieri quando Abbas, Ehud Olmert e Condoleezza Rice si stringevano le mani soddisfatti ad Annapolis, mentre George W. Bush benediceva la portata storica dell'accordo raggiunto: talmente importante che nessuno dei presenti giovedì l'ha nemmeno nominato. L'unico effetto dell'incontro di oggi è stato l'immediato innesco di un nuovo ciclo di violenza in Palestina, con Hamas da una parte e l'IDF e i coloni dall'altra.

Abbas e Netanyahu si sono incontrati per la prima volta: un autocrate palestinese, ormai delegittimato tra la popolazione, che continua a rinviare le elezioni e controlla soltanto metà dei Territori Occupati, ma gode dell'appoggio della Lega Araba; un premier israeliano a capo del governo di destra più estremista nella storia dello Stato ebraico, la cui coalizione è in maggioranza appiattita sulle posizioni dei coloni ebrei.

Il risultato del meeting segue la prassi dei falliti negoziati di Annapolis. Abbas e Netanyahu si sono accordati soltanto sulla data per il prossimo meeting, da tenersi fra due settimane a Sharm el-Sheikh, sul Mar Rosso, alla presenza di Hillary Clinton, in cui verranno fissate le date dei meeting successivi, da tenersi in forma riservata ogni due settimane. Il format ricopia per filo e per segno i meeting riservati tra Abbas e Olmert, che precedettero il (non) accordo di Annapolis.

Come volevasi dimostrare, nessuno ha parlato di contenuti. Stupefacenti i due commenti del Segretario di Stato Clinton, secondo la quale “si può raggiungere un accordo entro un anno”, ma precisando che “l'America non può e non vuole imporre alcuna soluzione.” Come dire, grazie per le foto e adesso arrangiatevi. È ovvio, infatti, che, senza la pesante pressione degli Stati Uniti, i cui finanziamenti massicci mantengono al potere Abbas da una parte e l'esercito israeliano dall'altra, non è possibile nessun tipo di accordo.

Che si tratti dell'ennesimo negoziato-farsa è sotto gli occhi di tutti. Innanzitutto, nel suo discorso di apertura Netanyahu si è rivolto direttamente ad Abbas e gli ha spiegato che “così come voi vi aspettate che noi riconosciamo lo Stato Palestinese come nazione di tutto il popolo palestinese, così noi ci aspettiamo che voi riconosciate Israele come la nazione del popolo ebraico.” Condizione che nessun palestinese (con la possibile eccezione di Abbas) si sognerebbe mai di accettare, se non altro per via del milione e mezzo di palestinesi che sono cittadini israeliani. Per non parlare della questione dei profughi.

La condizione fondamentale da parte palestinese per l'avvio di negoziati è il blocco dell'espansione delle colonie ebraiche in West Bank, come ha ricordato Abbas durante la conferenza stampa. Anche se ha poi ribadito che i negoziati saranno “senza precondizioni,” nell'ennesimo walzer di smentite.

La questione degli insediamenti pare al momento del tutto irrisolvibile. Da una parte, Netanyahu ha ufficialmente congelato l'espansione delle colonie fino al 26 dicembre. Il blocco però non ha minimamente infastidito i coloni, che hanno continuato senza sosta a costruire abusivamente. Ad esempio, l'avamposto di Migron, smantellato dall'esercito israeliano, è stato prontamente ripristinato. Ma gli esempi sono innumerevoli e ben documentati dal lavoro delle organizzazioni pacifiste israeliane.

Anche prendendo per vera la storia del blocco degli insediamenti, al suo scadere in tre settimane la costruzione riprenderà a gonfie vele, come ha confermato oggi il vicepremier Silvan Shalom, secondo il quale un'estensione del blocco porterebbe inevitabilmente alla caduta del governo. La maggioranza dei partiti che sostengono Netanyahu infatti aderiscono interamente al progetto di colonizzazione della West Bank e si fanno portavoce delle istanze dei coloni.

Poche ore dopo la conferenza stampa a Washington, DC, il Consiglio dei Coloni ebrei in West Bank ha annunciato la fine del blocco degli insediamenti e la ripresa immediata della costruzione di nuove case in ottanta insediamenti illegali. La prova di forza tra coloni e governo israeliano è soltanto apparente. In realtà, Netanyahu non si è mai impegnato a far rispettare il blocco e dunque i coloni hanno sempre avuto mano libera.

L'incontro tra Abbas e Netanyahu ha purtroppo avuto un risultato netto: la ripresa delle violenze nei Territori Occupati. Hamas ha giurato di sabotare a tutti i costi i negoziati lanciando una campagna di attacchi contro i coloni israeliani e minacciando la ripresa di attacchi sul suolo d'Israele. Il portavoce di Hamas Zuhri ha infatti ribadito che “Abbas non ha il diritto di parlare per i Palestinesi, né quello di rappresentarli, e dunque nessun accordo sarà vincolante.”

Questa settimana, Hamas ha rivendicato l'uccisione di due uomini e due donne israeliani, di cui una incinta, nei pressi di Hebron. L'ala militare del gruppo islamico ha annunciato che “questo attacco è parte di una serie di attacchi, alcuni sono già stati eseguiti, altri seguiranno.” Contemporaneamente alla conclusione dell'incontro a Washington, l'esercito israeliano è entrato a Gaza con carri armati e bulldozer per demolire delle case a Beit Hanoun, mentre scontri a fuoco nella zona sono proseguiti per tutto il giorno.

I colloqui sono dunque serviti a tutte e tre le parti in causa. Obama, in un momento di estrema difficoltà in vista delle elezioni di novembre, può vantare la riapertura dei negoziati come prova del suo successo in politica estera, dopo aver ottenuto il Premio Nobel per la Pace sulla fiducia. Il Presidente palestinese Abbas, come la testa di Nixon sotto formalina in Futurama, è ormai tenuto in vita artificialmente al solo scopo di rendere possibili questi incontri fotogenici.

Ma il vero vincitore è Benjamin Netanyahu, che può vestire ora i panni della colomba, mentre dietro la schiena continua la costruzione del Muro, l'espulsione di palestinesi da Gerusalemme Est e la costruzione indisturbata di nuove colonie in West Bank. Ma tutto a telecamere spente.