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Usa: ritorno in Oriente

di Michele Paris - 07/09/2010



Da qualche mese a questa parte gli Stati Uniti stanno mostrando una nuova intraprendenza nei confronti dei paesi del sud-est asiatico. Il rinnovato interesse di Washington per questa area del globo di particolare importanza strategica si è manifestato attraverso una serie di annunciate partnership militari e di accordi di fornitura che hanno suscitato accese proteste a Pechino, da dove si considera l’intera area come propria tradizionale sfera di influenza.

Quasi a sancire ufficialmente il nuovo corso statunitense nella porzione più remota del continente asiatico, durante un meeting in Vietnam dei paesi appartenenti all’ASEAN (Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale), il segretario di Stato Hillary Rodham Clinton lo scorso mese di luglio aveva dichiarato che il suo paese intendeva appoggiare una soluzione multilaterale delle questioni legate alle rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese meridionale.

Con questa affermazione il numero uno della diplomazia americana ha lanciato una pericolosa sfida alle ambizioni della Cina, interessata al contrario a risolvere le dispute territoriali tramite accordi bilaterali senza ingerenze di paesi terzi, mettendo bene in chiaro che gli USA considerano proprio “interesse nazionale la libertà di navigazione e il libero accesso alle rotte marittime asiatiche”. Una presa di posizione quella di Hillary giunta per di più a poca distanza dall’annuncio di Barack Obama di voler condurre esercitazioni navali con la Corea del Sud al largo della penisola coreana, nonostante la ferma opposizione di Pechino.

Nel Mar Cinese meridionale la Cina è da tempo coinvolta in una controversia circa la sovranità sugli arcipelaghi di Spratly e Paracel con Vietnam, Brunei, Malesia e Filippine. Oltre a permettere il controllo di una regione nevralgica situata tra l’Oceano Indiano e quello Pacifico, queste isole sono situate in un’area potenzialmente ricca di risorse petrolifere. Obiettivo primario dell’amministrazione Obama è così quello di seminare divisioni all’interno dell’ASEAN, dove sono in molti a nutrire sospetti nei confronti di Pechino, ostacolando il tentativo cinese di stabilire migliori rapporti con i paesi vicini.

Malgrado qualche concessione e gli sforzi messi in atto negli ultimi mesi dagli Stati Uniti per convincere la Cina a sostenere la campagna intimidatoria nei confronti dell’Iran, Washington non sembra insomma mostrare particolare sensibilità per gli interessi strategici cinesi in Asia. I paesi del sud-est asiatico si trovano così stretti tra una crescente dipendenza economica da Pechino e le lusinghe di accordi strategici di lungo termine con gli USA.

Emblematica a questo proposito è la relazione tra gli Stati Uniti e il Vietnam, dove tra l’altro sono sempre più massicci gli investimenti delle grandi aziende americane. A quindici anni dal ristabilimento dei rapporti tra i due paesi, nel mese di agosto si sono svolte esercitazioni militari a bordo della nave da guerra John McCain attraccata nel porto di Danang. Pochi giorni più tardi ad Hanoi si sono poi incontrati l’assistente del Segretario alla Difesa Robert Scher e il generale vietnamita Nguyen Chi Vinh con all’ordine del giorno gli scambi militari e possibili future collaborazioni tra le rispettive forze armate.

Simili approcci, accompagnati da elargizioni di finanziamenti e promesse di forniture militari, si stanno costruendo ugualmente con Indonesia e Cambogia. Il riavvicinamento a Jakarta ha provocato molte polemiche poiché comprende il ripristino dei rapporti con le unità speciali indonesiane del Kopassus, accusate di numerose violazioni dei diritti umani negli ultimi decenni. Più di una nube si addensa poi anche sul passato dell’esercito cambogiano, protagonista di programmi di addestramento diretti dagli americani e beneficiario di svariati milioni di dollari da qualche anno a questa parte.

In risposta all’aggressività americana, Pechino da parte sua ha incrementato la propria presenza nel Mar Cinese meridionale, ponendo le basi per un possibile conflitto con le forze statunitensi, come ha dimostrato uno scontro avvenuto lo scorso mese di marzo tra un vascello cinese e una nave spia americana. L’aumentato militarismo cinese in quest’area è stato polemicamente messo in risalto anche da un recente rapporto del Pentagono, nel quale si metteva contemporaneamente in guardia dai crescenti investimenti in nuovi armamenti.

La prossima tappa della promozione degli interessi strategici USA in questa regione sarà segnata dalla presenza del Segretario alla Difesa Robert Gates all’incontro che si terrà ad Hanoi nel mese di ottobre tra i ministri della difesa dei paesi ASEAN. L’appuntamento fornirà con ogni probabilità l’occasione per discutere nuovamente della questione del Mar Cinese meridionale.

Quest’ultimo punto sta dunque particolarmente a cuore all’amministrazione Obama, determinata ad espandere la presenza della propria flotta per difendere il controllo sulle linee commerciali che passano attraverso questa parte del globo. Per comprendere l’importanza di questi percorsi marittimi basti ricordare che dal Mar Cinese meridionale passa circa il 60 per cento delle merci che costituiscono l’intero commercio estero di Pechino. Allo stesso modo, il 60 per cento delle navi che attraversano il vicino stretto di Malacca battono bandiera cinese, gran parte delle quali trasportano il greggio proveniente dal Medio Oriente e dall’Africa.

Se su questo fronte il conflitto latente tra USA e Cina si è finora mantenuto sul piano diplomatico e della competizione economica, l’escalation militare in atto rischia però di far sfociare il confronto in pericolosi scontri armati nel prossimo futuro. Ostacolando apertamente le ambizioni di Pechino in un’area cruciale per la propria sicurezza, Washington ha così aggiunto un nuovo grave motivo di scontro alla inevitabile e crescente rivalità tra le due superpotenze sullo scacchiere internazionale.