Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La poesia di Romano Leoni

La poesia di Romano Leoni

di Michele Fabbri - 15/09/2010

Fonte: michelefabbri.splinder




Romano Leoni (1928-2007), è stato un autore di poesia dalla vena feconda e dallo spessore culturale notevole. Giunge pertanto opportuna la pubblicazione in unico volume della sua opera: Poesie (1950-1995), Book Editore.

Romano Leoni nasce a Rocca San Casciano, ma già all’età di tre anni lascia il paesello romagnolo e si trasferisce a Firenze, poi a Bergamo, e ancora all’estero in Inghilterra e in Svizzera, per poi tornare in Lombardia. Nel corso di queste peregrinazioni Leoni si adatta ai mestieri più vari: dal verniciatore all’infermiere in ospedale psichiatrico, all’insegnamento della storia dell’arte, per poi impegnarsi anche nell’amministrazione comunale di Trezzo sull’Adda.

La passione per le arti e per la letteratura accompagnò Leoni per tutta la vita, mettendolo in relazione con autori e con associazioni culturali delle quali era volonteroso animatore.

La poesia di Leoni ha soprattutto un carattere civile, ma è sempre segnata da un tono alto e consapevole della complessità del reale che rende i suoi testi universali al di là delle collocazioni ideologiche.

Così, nella raccolta Ballata della Vecchia Europa Leoni descriveva una società che usciva dalle devastazioni della seconda guerra mondiale e che si interrogava sugli assetti sociali che stavano prendendo forma:

“Monadi senza finestre, fummo arditi
esploratori d’aria ai siliconi;
ora che l’acre fumo delle fabbriche
allevia fami e seti, libertà
ottenebra e giustizia, siamo pronti?
Democratici ad ogni livello?
Condanniamo in eguale misura
stupidità ideologiche, errori,
prepotenze economiche, larvate
palesi dittature? I figli
crescono giudicando le capacità
nostre d’intendere altro dal passato;
noi con occhi sbarrati, anche per loro
domandiamo: futuro o distruzione
totale?”

Leoni denunciava le assurdità della società dei consumi, che negli anni ’60 cominciava a mostrare il suo volto demenziale in una società italiana ancora abituata a stili di vita derivati da tradizioni secolari:

“Quanti libri potrai leggere, saggi, utili e inutili parole,
ma quanti anni ci vorranno, quanti capelli bianchi conteranno
i nostri nipoti prima che si rispetti il singolo, se ne liberi
la dignità in una società che sa collettivamente distinguere
i bisogni reali dai bisogni fittizi,
la casa prima dell’automobile, la vasca da bagno
prima del televisore, un buon libro
prima dell’enciclopedia?”

E ancora concetti simili vengono ribaditi in questo brano:

“Umanesimo, viaggio notturno
fra bisogni fittizi e bisogni reali
fra incoscienza ecologica e lo sperpero
delle risorse energetiche, delle risorse umane,
all’ombra minacciosa proliferante piovra
del caos territoriale, strutturale, indotto,
che sommerge natura, foreste, borghi antichi,
con sfascio geologico, idrologico, ideologico…”

La riflessione sulle colossali contraddizioni della società capitalista innalza la voce del poeta a un severo monito morale:

“Ma noi società d’opulenza, son cose lontane,
son merce gli orrori degli altri, son merce di lusso
i bimbi addormiti dai gas, feriti dal napalm
strappati dai seni, piagati dai morbi, col ventre rigonfio,
con gli occhi-terrore, coi pianti stridore.”

Nei versi di Leoni si avvertono anche le angosce e le inquietudini legate alla guerra fredda e all’incubo di un conflitto nucleare:

“Rimane la sfida alla guerra alla sopraffazione:
quando sangue fa sangue, morti chiedono morti,
deviazioni nuove aberrazioni (e i varii Oppenheimer
perseguono
più scientifici fini con la pelle degli altri)”


Non mancano momenti più intimisti dedicati agli affetti famigliari, come in questa poesia per la moglie incinta:

“La tua serenità liturgica
mi commuove al pensiero
della creaturina che nascerà.
Il mondo ha un senso, i garzoni
i pali della luce le automobili
guadagnate al mio sguardo.
Spio il ventre delle donne
Per riconoscermi padre,
amo lo sguardo interno delle gestanti,
riconosco il volto dei miei angeli.”

Numerosi nell’opera di Leoni sono i riferimenti alla civiltà italiana dei piccoli borghi, vera anima della penisola, che sono custodi di tradizioni e di esperienze culturali e artistiche uniche al mondo:

“Artigiana civiltà dell’Italia di mezzo dall’Emilia al Lazio
dalla Romagna all’Umbria dove per medievali
palazzi in cotto con bifore c’è spesso un tabernacolo”

Sempre sensibile alle memorie storico artistiche dei luoghi che visitava, Leoni scrisse questi originali versi per descrivere le steli della Lunigiana:

“…O ti dirò, Ernestino, delle statue-stele
- relatività permettendo -
ferme in un tempo assoluto di coscienza
(in assoluto tempo di coscienza)
glabre facce essenziali,
caschi-volume di astronauti antichi
o primitivi lampi di memoria;
evoluti menhir,
scarnificati gesti, anatomie
rudimentali dalle grandi teste
dagli occhi allucinanti
l’ancestrale culto delle madri.”

La voce lirica di Leoni trova felice espressione anche nella parodia del linguaggio liturgico, come nel suggestivo Offertorio:

“Per chi vive nelle case popolari
sgobba dieci ore alla catena
e ritorna sul treno della Nord
umiliato da servi e padroni”

Una voce poetica densa e penetrante quella di Romano Leoni, sempre attenta al ruolo della letteratura in una società che conosceva mutamenti antropologici di portata epocale e che suona estremamente viva anche all’orecchio dei lettori del XXI secolo:

“Rifiuto il poema:
odio cadenze classiche
e megalomani vati;
amo parlare della febbre delle fabbriche:
il tornio scava coni d’infinito
nutrendo inquieti metalli
di una forma di un vuoto
fatti di carne e lamiera.”



Romano Leoni, Poesie (1950-1995), Book Editore, Ro Ferrarese 2009, pp.208

www.bookeditore.it