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Ecco perché i cattolici progressisti stanno sbagliando tutto, ma proprio tutto

di Francesco Lamendola - 16/09/2010


Nel cattolicesimo italiano, inteso come realtà di tipo anche politico e sociale (ivi compresi i partiti politici che ad esso, più o meno esplicitamente, si richiamano) sono sempre coesistite quanto meno due anime: una conservatrice e “di destra” ed una progressista o “di sinistra”.

Dal punto di vista della percezione che queste due anime hanno di se stesse, il punto di svolta, nella storia del XX secolo, è stato il Concilio Vaticano II: a partire da quel momento, gli esponenti della prima si sono sentiti sempre più come i “veri” depositari del messaggio sociale del cristianesimo; mentre i secondi sono stati sempre più relegati, e hanno finito per considerarsi essi stessi, come gli esponenti di una visione del mondo che si potrebbe dire di retroguardia, se non proprio superata e smentita dalla storia.

Vogliamo dire che, a partire da quel momento, i cattolici “progressisti” si sono sentiti dalla parte della Storia, e quindi della ragione (retaggio culturale di mezzo secolo di dominio incontrastato dell’idealismo hegeliano e crociano e della sua variante secolarizzata, il marxismo-leninismo); supportati, in questo, se non addirittura sobillati, da una schiera di teologi conciliari e post-conciliari i quali si sono autonominati i veri custodi del messaggio cristiano, ivi compresa la sua dimensione politico-sociale.

Facciamo notare, per inciso, che quest’ultima pretesa era due volte assurda: perché scavalcava ed ignorava, bene o male, un lunghissimo retaggio della tradizione cattolica; e, più ancora, perché partiva da una presupposto totalmente infondato: che il cristianesimo, cioè, possa venir tradotto in categorie politiche; mentre il rifiuto di un tale assunto, al contrario, è stato uno dei punti più chiari della predicazione di Gesù Cristo («Date a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio»), a dispetto di secoli di fraintendimenti dovuti al potere secolare della Chiesa.

I teologi “progressisti”, oltre ad aver spinto sempre più in là la loro “riforma” della dogmatica, fino al punto di intaccare le basi stesse della dottrina cristiana, si sono fatti un punto d’onore di gareggiare con l’ideologia marxista sul suo stesso terreno, vale a dire l’idea generale della lotta di classe, per non apparire secondi ad essa in fatto di progressismo, di emancipazione sociale, di rivendicazione di sempre nuovi diritti, senza peraltro insistere con pari convinzione sul tasto meno popolare dei corrispondenti doveri.

Di fatto, durante gran parte del cinquantennio democristiano, complice l’abdicazione della Democrazia Cristiana nei confronti dell’egemonia culturale comunista, il cattolicesimo sociale italiano si è impregnato di categorie politiche e sociali di matrice marxista (ad esempio con la “teologia della liberazione”), convinto che la futura storia del mondo sarebbe stata dominata dal trionfo dell’Unione Sovietica e dell’ideologia da essa veicolata; né, quando si è verificato il crollo dei regimi socialisti, esso ne ha saputo trarre le debite conclusioni.

Così, un nocciolo cripto-marxista si è conservato, dopo che l’ideologia comunista aveva ammainato ovunque le sue bandiere, proprio nella cittadella del cattolicesimo e nella stessa Chiesa cattolica; come è provato dal fatto che, ancora oggi, molti sacerdoti e molti sindacalisti, amministratori e uomini politici di formazione cattolica, mostrano istintivamente stima e rispetto per gli ex avversari comunisti, mentre non nascondono diffidenza e finanche disprezzo verso quanti non sono mai stati sensibili a quella ideologia.

Di quest’ultima fa parte un democraticismo tanto astratto quanto velleitario, una continua rivendicazione di diritti senza corrispondenti doveri, la profonda convinzione che il povero abbia sempre ragione e il ricco, sempre torto; nonché una tenace ostilità verso ogni norma mirante al conseguimento di una legalità diffusa, in nome dell’idea che sono le leggi a rendere l’uomo cattivo e che egli può dare il meglio di se stesso quanto più sia libero da vincoli (versione post-moderna del mito illuminista del “buon selvaggio”).

Di conseguenza, quando l’Italia - e non essa sola - è stata investita, verso la fine del XX secolo, dalla più grande ondata migratoria che la storia moderna abbia mai visto, i cattolici progressisti hanno visto in essa solo una occasione per fare sfoggio del loro democraticismo a senso unico, fino all’assurdo - ad esempio - di invocare sempre più moschee per gli immigrati musulmani e a spese dello Stato ospitante, disinteressandosi del tutto della sorte dei cristiani nei Paesi musulmani (e sappiamo come essa sia divenuta tragica, specialmente in Iraq e specialmente dopo la criminale e menzognera guerra voluta da Bush junior nel 2003).

Naturalmente, non è solo il modo di affrontare le problematiche legate agli immigrati, specialmente clandestini, ad aver generato perplessità, disagio e, da ultimo, dissenso totale da parte di moltissimi cattolici, anche se quella è stata la cartina al tornasole di tutta una serie di contraddizioni che, presto o tardi, avrebbero dovuto venire al pettine. Dopo aver fatto di Gesù Cristo una specie di Che Guevara dell’antica Palestina in lotta contro l’imperialismo romano, i cattolici di sinistra hanno dipinto come razzisti e xenofobi tutti coloro i quali vorrebbero che l’immigrazione fosse gestita con un minimo di ordine e di legalità e nel rispetto della popolazione residente, non contro di essa e al di sopra di essa, senza ascoltarne le legittime lagnanze e preoccupazioni.

Una parte della stampa cattolica “progressista” - «Famiglia Cristiana» in testa - si è scatenata in una vera crociata contro la cosiddetta espulsione di alcune migliaia di Rom da parte del governo francese di Sarkozy; la quale, in realtà, non è stata affatto una espulsione, ma una partenza concordata con gli interessati, dietro pagamento di 350 euro a persona e con la possibilità di restare, a condizione - naturalmente  di rispettare le leggi francesi, come qualsiasi altro cittadino. E, per prevenire un analogo provvedimento del governo italiano, la Chiesa cattolica si è mossa al massimo livello, con una sorta di ammonimento preventivo: e ciò da quel papa Ratzinger che ci era sempre stato dipinto come il capofila degli ultimi cattolici “conservatori”.

Lo ripetiamo: il problema dell’immigrazione è stato solo uno degli aspetti del divorzio fra il cattolicesimo di sinistra, sempre più astratto e dogmatico, e il senso comune della maggioranza della popolazione italiana, cattolici compresi. Così si spiega che, nelle regioni ex democristiane del Nord Italia, Veneto in primo luogo, la Lega ha fatto il pieno di voti e continua a farlo; così si spiega il fenomeno di una Chiesa che, per bocca del cardinale Tettamanzi, invoca sempre più luoghi di culto per i Musulmani (ma non dice una parola sull’affermazione del colonnello Gheddafi, fatta a Roma, centro della cristianità, che l’Europa di domai dovrà convertirsi all’Islam) e un popolo cristiano che, pur continuando a sentirsi tale, non si riconosce più nei suoi pastori e guarda con simpatia sempre maggiore alla Lega Nord.

Ebbene: che cosa hanno fatto e stanno facendo la stampa cattolica “progressista”, la cultura cattolica “progressista”, gli intellettuali, gli scrittori, i teologi cattolici “progressisti”, di fronte a tale divorzio, il più grave che si sia mai verificato dai tempi del Risorgimento massonico e anticattolico? Peggio che niente: hanno demonizzato tutti quei cattolici che hanno aderito alla Lega, considerandoli non più dei cristiani, ma dei pagani puri e semplici, seguaci di oscuri riti celtici e ormai completamente separati dalla “vera” religione, ossia la loro.

Torniamo al discorso di prima: quei signori radical-chic in veste cattolica, preferiscono dialogare con gli ultimi orfanelli dell’ideologia marxista, atei dichiarati e, fino a ieri, ferocemente anticristiani (l’ultima grande persecuzione anticristiana è stata, infatti, quella di Stalin negli anni Trenta, con decine di migliaia di vittime, passata bellamente sotto silenzio da parte della cultura italiana di sinistra), piuttosto che con milioni di cristiani che, vedendoli parlare ed agire in palese contraddizione con il più elementare buon senso, si sono distaccati dalle posizioni “ufficiali” del cattolicesimo e hanno subito le suggestioni della Lega, che, perlomeno, mostra di saper interpretare un sentire largamente diffuso tra la popolazione.

Ma che razza di cattolici sono quelli che si allontanano con aria schifata dalla grande maggioranza dei loro confratelli del Nord Italia, che non ne sanno ascoltare le esigenze e le giuste richieste, che voltano loro le spalle e li trattano da eretici ed apostati, invece di ascoltarli e di fare un minimo di autocritica al proprio umanitarismo massimalista?

In una delle sue parabole più famose, Gesù Cristo disse che il buon pastore è colui che lascia le novantanove pecorelle nel deserto, per andare in cerca di quella che si è smarrita; e invece costoro non sanno lasciare le dieci o quindici pecorelle che sono rimaste nell’ovile, per andare a cercare le ottantacinque o novanta che si sono allontanate sui pascoli.

Si badi; non vogliamo entrare nel merito di chi abbia ragione e chi torto; abbiamo parlato, più semplicemente, di “comune sentire” e del dovere del dialogo e dell’ascolto, specialmente da parte degli intellettuali nei confronti delle masse.

In questo, la vicenda dei cattolici non è che uno spaccato della più ampia vicenda del difficile rapporto da sempre esistente, in Italia, fra le élites culturali e le masse. Da noi, infatti, chi sa perché, le cose che piacciono alle masse devono per forza apparire ridicole o disgustose alle persone colte; lo prova il fatto che alcuni capolavori letterari assoluti, come «Pinocchio» di Collodi e «Cuore» di De Amicis, largamente conosciuti e apprezzati anche all’estero, sono sempre stati ignorati o guardati dall’alto in basso dalla nostra critica accademica e blasonata.

C’è poi un altro retaggio del malcostume culturale italiano, nella questione del cattolicesimo di sinistra. Per la cultura di matrice marxista, ma spesso anche per quella cattolica “progressista”, un architetto - tanto per fare un esempio - viene visto come un normalissimo professionista, se professa idee di sinistra; mentre è uno sfruttatore del popolo lavoratore, se così non è.

Questa imperdonabile faziosità ha sospinto alcuni degli uomini migliori di questo Paese a voltare le spalle con sdegno alla sinistra e a rivolgersi naturalmente verso la destra. È stata una vera e propria migrazione interna di artisti, registi, scrittori, giornalisti, i quali, pur restando in netta minoranza nell’area culturale della destra rispetto a quella della sinistra, spesso hanno raggiunto livelli di eccellenza, anche in ambito internazionale. La cultura di sinistra se ne è privata o se ne è fatta degli avversari implacabili, con suo danno e per sua colpa.

C’è un grande equivoco, in verità, che riguarda la continua commistione di sacro e profano, allorché si parla della posizione cristiana nei confronti della realtà politica e sociale.

La legge dell’amore universale, il perdono delle offese, il porgere l’altra guancia, l’offrire il mantello a chi vorrebbe rubare la veste, sono comandamenti morali che si rivolgono al singolo individuo: all’uomo vecchio che deve morire in se stesso, perché al suo posto possa nascere l’uomo nuovo, liberato dalle catene dell’egoismo e trasfigurato dall’amore di Dio. Ma non è pensabile che questi comandamenti si possano trasferire in blocco, “sic et simpliciter”, nella sfera della vita pubblica o, meno ancora, delle relazioni internazionali.

Per fare un esempio banale: io, come singolo individuo, posso aprire la mia casa ai bisognosi, agli storpi, ai lebbrosi, e trasformarla in un luogo interamente votato al sollievo dei mali del prossimo; ma, nelle vesti di uomo politico, io non avrei alcun diritto di fare la stessa cosa con la Patria in cui vivo e in cui vivono milioni di miei concittadini. Semmai bisognerebbe chiederlo a loro, se sono d’accordo; e non porli davanti al fatto compiuto, sgridandoli - per buona misura - per il loro scarso entusiasmo e per la loro insensibilità nei confronti dei bisognosi.

Ebbene, questo grande equivoco, questa grande follia vengono perseguiti ostinatamente, pervicacemente, da decenni, dal cattolicesimo “progressista”, in spregio continuo ai sentimenti e ai problemi del resto della cittadinanza, ivi compresi i cattolici - e sono la maggioranza, perlomeno al Nord - i quali non tollerano più questo buonismo a senso unico; i quali non capiscono perché agli immigrati siano concesse cose che agli Italiani sono negate, prima fra tutte la mancata osservanza delle leggi vigenti (a cominciare dall’ingresso illegale nel nostro Paese).

Ecco perché i cattolici di sinistra, anche se fanno furore nei salotti radical-chic e ricevono, ricambiata, la stima degli ultimi orfanelli di Stalin e di Togliatti, stanno sbagliando tutto, ma proprio tutto, nel loro modo di porsi di fronte alle masse del nostro Paese.

Impareranno mai ad ascoltare il prossimo e a praticare un minimo di umiltà?