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La primavera dei “sayanim”

di Jacob Cohen - 23/09/2010


 

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Il Mossad conterebbe attualmente su più di tremila informatori e ausiliari in Francia. Adepti alla comunità ebraica, costoro mettono al servizio dello Stato di Israele la loro competenza e la loro capacità di influenza. E’ attorno a questa realtà che Jacob Cohen, nato nel 1944 a Meknès, ha concepito un romanzo a chiavi, “Le Printemps de sayanim”, appunto, pubblicato da Harmattan. L’abbiamo incontrato per capire cosa l’ha spinto a scrivere un tale libro.

Perché questo titolo?

Ho voluto che il termine sayanim fosse d’impatto e attraesse la curiosità del lettore. La definizione di sayanim si trova nelle prime righe della quarta di copertina. La problematica diventa chiara, senza circoli visiosi e senza riserve. Idealmente, desidererei che questa parola entrasse nel vocabolario corrente, nelle analisi, nei commenti.

E cosa significa?

I sayanim – “informatori” in ebreo – sono giudei della diaspora che per “patriottismo” accettano di collaborare puntualmente con il Mossad, o con altre istituzioni sioniste, apportando loro l’aiuto necessario nei settori di propria competenza.

Perché scrivere sui “sayanim”?

Per coniugare più elementi. La lettura di ogni libro serio sul Mossad mostra l’importanza essenziale di questi cittadini ebrei che decidono di lavorare per i servizi segreti israeliani. Immaginate decine di migliaia di agenti, che occupino posti di responsabilità in ogni comparto sociale, e che obbediscono senza fiatare al Mossad. Si noti che gli autori anglosassoni sono molto prolifici su questo argomento.
Sono molto attenti all’attualità del Vicino Oriente, e io consulto i media delle due parti. E sono stupito, quasi affascinato, dalla potenza mediatica della lobby pro-israeliana, dalla facilità con la quale riesce a far accettare, fino a farne degli stereotipi indiscussi, banalità e concetti come “la sola democrazia della regione”, o totalmente aberranti, come “assicurare la sicurezza di Israele”.
Il fatto di sapere che dei sayanim sono in gran parte il motore di questa propaganda permette una lettura più lucida e più pertinente dell’attualità.

Si tratta di fatti reali, provati?

Capisco il senso della domanda. Cito Gordon Thomas, all’inizio del libro. E’ uno specialista riconosciuto dei servizi segreti, in particolare del Mossad. Talmente riconosciuto che ha intervistato tutti i capi del Mossad dagli anni ’60 in poi, e tutti hanno ammesso, e se ne sono gloriati,dell’apporto cruciale offerto dai sayanim nel mondo intero.
Cito egualmente Victor Ostrovsky, uno dei rari agenti del Mossad ad aver pubblicato, dopo la sua fuoriuscita dall’organizzazione, una testimonianza unica e inedita sul servizio segreto, sui suoi metodi, i suoi obiettivi, le sue risorse.

Quanti sono?

In Francia sarebbero circa tremila. Ostrovski, ex agente del Mossad, stima anche per Londra altri tremila. Si può immaginare la loro importanza negli Stati Uniti. Ma la “riserva” è infinita. Se si associa la Bnai Brit (la massoneria ebraica internazionale), la Wizo, l’organizzazione internazionale delle donne sioniste, le organizzazioni giudeo-sioniste nazionali, come l’Upjf, l’Uejf, il Crif… nella sola Francia, e poi quelle degli altri Paesi, se si aggiungono a questi organismi i simpatizzanti, si arriva facilmente ad una cifra di un milione di ebrei pronti a lavorare per il Mossad. Evidentemente non sono tutti reclutati “a ruolo”… Occorrerebbero varie centinaia di agenti soltanto per organizzarli. Il Mossad si contenta di avere dei sayanim in tutti i settori-chiave, con una preferenza per i più sensibili: i media, il turismo e l’ospitalità (al fine di sorvegliare i flussi degli arabi in generale, agenti di informazione, uomini di affari, e tutte le persone che possono servire agli interessi di Israele.

Un caso concreto?

Torniamo a Victor Ostrovski. Quando la Francia costruì la centrale nucleare in Iraq, negli anni Settanta, degli scienziati iracheni erano venuti a Saclay per perfezionare le loro conoscenze. Il Mossad era molto interessato a conoscere la loro identità per poter agire su di loro. Un altro servizio segreto avrebbe avuto bisogno di uomini, di una filiera, di denaro per corrompere, di eventuali effrazioni e di tempo, per arrivare a loro. Il Mossad – e questa è la sua superiorità – si è più semplicemente rivolto ad un informatore ebreo (sayan) che lavorava a Saclay. Gli ha richiesto dei dossiers completi sui ricercatori iracheni. Quale altro “servizio” avrebbe potuto contare su una tale complicità? Dopodichè fu un gioco da ragazzi intervenire su uno degli iracheni per identificare il loro responsabile di progetto e assassinarlo durante una sua visita a Parigi.

Questi “informatori” sono soltanto di appoggio?

No, al contrario. I sayanim intervengono anche e soprattutto nella manipolazione mediatica. D’altra parte il Mossad ha un dipartimento importante, denominato Lap, per la “guerra di propaganda”. Riferisco un esempio storico. Ricordate il film Exodus? Ha riscritto la storia del 1948 e imposto la visione sionista delle cose almeno per una generazione. Nel 1961 fu il primo ministro israeliano in persona ad accogliere la troupe del film all’aeroporto. Per sottolinearne l’importanza.
E ricordiamoci anche dell’importanza della Bnai Brit: 500 mila membri nel mondo, forse 400 mila negli Stati Uniti, dei quali 6 mila nel settore del cinema. Come è possibile che un film o un serial sfavorevole a Israele possa mai essere edito?

E più recentemente?

Il caso più eclatante è quello del soldato israeliano prigioniero di Hamas. La rete dei sayanim attraverso il mondo ha fatto sì che il suo nome sia talmente diffuso che nessuno conosce il suo cognome. Peraltro suo padre à stato ricevuto a più riprese in tutto l’Occidente, da Sarkozy, Merkel, Blair, Berlusconi, Zapatero, Barroso, dal segretario generale dell’Onu, dal Parlamento europeo, dall’assemblea dell’Unesco, dal mondo. Come è stato possibile se non grazie all’influenza dei sayanim piazzati nelle istanze governative, economiche, culturali, medianiche? Ricordo che si tratta di un caporale di un esercito di occupazione. Quale altro prigioniero di guerra può vantare un ritratto gigante sulla facciata di un municipio parigino? Uomini politici francesi, come Sarkozy e Kouchner, hanno chiesto la sua liberazione per “ragioni umanitarie”. Senza alcun accenno alle migliaia di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.

Qual è il fine?

Si tratta di far penetrare nell’opinione internazionale che Israele ha un “ostaggio” (uno solo!) nelle mani di Hamas. E ciò fa dimenticare gli 11.000 prigionieri palestinesi detenuti nelle galere israeliane. La gran parte dei quali sono prigionieri politici, vale a dire condannati per la loro lotta pacifica per l’indipendenza.
Ricordiamo che Israele è l’unico Paese “democratico” al mondo che pratica la “detenzione amministrativa” che consiste nel poter imprigionare qualsiasi cittadino senza avvocato, senza giudice, senza motivo, senza limiti di tempo. Ed è su questa base che le forze di occupazione hanno sequestrato, proprio dopo la cattura di Shalit, quarantacinque personalità politiche di Hamas, nella maggioranza democraticamente eletti dal popolo. Senza alcuna motivazione. E questo può essere definito soltanto come una “rappresaglia collettiva”, condannata dal buon senso e dal diritto internazionale.
Così, mentre i media ci soffocano di appelli e informazioni sul soldato “ostaggio”, si rimuove la cosa più importante e più orribile.

Come mai non si parla molto dei sayanim?

Questo è un mistero. Come fanno dei giornalisti agguerriti a dissertare su Israele senza puntare il dito su questo aspetto capitale? Credo che si tratti dell’effetto della potenza dei sayanim che sono riusciti a non far parlare di sé. Non bisogna dimenticare che la cappa che soffoca i media per diffondere il pensiero unico favorevole a Israele non ha iniziato ad insediarsi che da pochi anni.

Come mai dei cittadini francesi diventano “sayanim”?

Voi sapete che l’ideologia sionista, fino al 1948 (la nascita di Israele) era minoritaria nell’insieme delle comunità ebraiche. Mi ricordo che in Marocco, negli anni 50, i rabbini vilipendevano i sionisti. E poi la creazione di Israele, la propaganda, l’allarme del “nuovo genocidio” hanno fatto sì che gli organismi giudei abbiano ribaltato le loro posizioni incondizionatamente a favore di Israele. Oggi in Francia non è possibile esprimere alcuna riserva sul sionismo nella comunità ebraica. La propaganda è tale che i cittadini ebrei che partecipano alle istituzioni giudaiche hanno sviluppato un secondo patriottismo israeliano e un “nazionalismo” fori dal comune. E quando occorre, come ho descritto nel romanzo, il Mossad fa appello a questo patriottismo.

Lei sottolinea l’importanza della massoneria, nel suo lavoro…

La frammassoneria mi appare come una illustrazione perfetta del lavoro d’infiltrazione e di propaganda portato avanti dai sayanim. Innanzi tutto per dimostrare che nessun settore sfugge loro. E non si tratta di piccoli profitti. Dove si può spingere per la difesa di Israele, lo si fa senza stati d’animo. Quindi è dimostrato che gli ebrei sionisti non demordono di fronte a nulla. Poiché poca gente ignora – anche se non si è familiari con la massoneria – che questa è in primo luogo laica, aperta a tutti senza distinzione di razza, religione o orientamento politico. E così è accaduto che nel 2002 dei massoni ebrei hanno costituito una loggia specificatamente ebrea e sionista, volta appunto alla difesa di Israele. E questa iniziativa l’ho vissuta personalmente, perché sono stato massone per diciassette anni. Il fatto è avvenuto nel 2002, nel momento più duro della seconda intifada. Non è detto espressamente, perché contrario all’etica massonica, ma i fatti parlano chiaro. Non comprendendo bene di che pasta ero io personalmente fatto, questi “fratelli” mi hanno avvolto di profumi senza riserve. Secondo me per ordini superiori, “coperti”. Ogni anno la loggia organizza un “viaggio di informazione” in Israele, sotto l’egida di funzionari direttivi del ministero degli Esteri di Tel Aviv.
Nel mio “romanzo”, uno dei miei personaggi principali, Yussef el Kuhen, subisce le influenze dei sayanim frammassoni. Figlio di immigrati maghrebini, pensa di fare un passo decisivo per la sua integrazione repubblicana con l’ammissione in seno al Grand Orient. Ma, dopo aver scoperto l’esistenza di questa loggia “giudeo-sionista”, tenta, con l’appoggio di altri amici “fratelli” arabi, di contrastare la loro propaganda creando una loggia pro-palestinese. Ma così urta contro la potenza della loggia sionista del Grand Orient de France e subisce una disfatta totale. La lobby, infatti, ha agito, per la sua controffensiva, contro ogni regola dell’Obbedienza.

Sfogliando il libro si ha la percezione che alcuni personaggi somiglino notevolmente a persone conosciute per le loro simpatie sioniste…

Tra i tremila sayanim francesi molti sono conosciuti. Ho voluto mostrarli in azione. Per definizione si tratta di agenti segreti. Dato il loro sostegno costante a Israele e la loro partecipazione attiva a campagne evidentemente orchestrate, è probabile che agiscano con quelle funzioni. Ho voluto mostrarli in azione, per esempio con il “montaggio” di un incontro sportivo israelo-palestinese a Parigi: un evento che non aveva altro scopo che offrire l’illusione di un “processo di pace”.

Più esplicitamente?

Da vari anni una partita di calcio ha luogo al Parc des Princes tra giovani israeliani e palestinesi. La cosa ha dato il via ad un battage pubblicitario smisurato. Ho ripreso questo evento tentando di costruirvi su i sotterfugi, le pressioni, le manipolazioni, gli interventi. Per ottenere gratuitamente lo stadio, per riempirlo di giovani delle periferie facendo intervenire le università, sollecitando le sovvenzioni dell’Unione europea e del Comune di Parigi, facendo pressione sui musulmani “moderati” perché questi apportino il loro sostegno. Un’operazione di propaganda portata avanti grazie ai “sayanim” e ai loro alleati, e tra questi i più indefessi: SOS Racisme e il Comune di Parigi.

Ritroviamo spesso SOS Racisme. Perché?

Secondo me questa organizzazione serve da apripista e da cinghia di trasmissione alle ideologie sioniste. La sua vicinanza incestuosa con l’Unione degli studenti ebrei di Francia, uno dei pilastri del sostegno a Israele, ne è l’evidenza. Mai Sos Racisme ha, per esempio, lanciato una campagna contro l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, mentre si dimena su quello che accade in Sudan. Forte sul terreno, grazie alle generosi sovvenzioni, Sos Racisme impedisce l’emergere di altre organizzazioni antirazziste più vicine alla maggioranza di chi si sensibilizza contro le pratiche razziste. E’ per questo che molte voci, tra queste quella di Joey Star, adesso reclamano lo sviluppo di un’altra organizzazione di rappresentanza legittima delle istanze plurali dei popoli.
Nel romanzo, porto avanti un punto di vista che non pare essere lontano dalla realtà.
Infatti l’Uejf (l’Unione studentesca ebraica di Francia) e i suoi alleati sionisti cercano un candidato per sostituire l’attuale presidente… e quando un presidente dell’Uejf lascia il suo posto diventa automaticamente vicepresidente di Sos Racisme… Dopo un nero, un arabo… purché sia presentabile e assolva alle proprie consegne. Tutti i pretendenti al vertice di Sos Racisme conoscono queste regole del gioco.
Un candidato, oggi, sembra in pole position, e ha in ogni caso il favore dell’Uejf: Moulay Elbali. Sarà la sua chanche.

C’è un capitolo consacrato alla municipalità del XVI arrondissement parigino… Perché?

Questa municipalità è una fortezza dei sionisti. Il Bnai Brit vi si unisce regolarmente e vi organizza il sio “salone del libro”. Il suo presidente è un ardente difensore d’Israele. Un ritratto gicante di un soldato israeliano attualmente prigioniero di Hamas orna la facciata della municipalità.

Vi è un personaggio, M.S.T., che attraversa tutta la narrazione e che somiglia furiosamente a Bernard Heni-Lévi…

Lascio a voi la responsabilità di questa constatazione. E’ vero che c’è qualche rassomiglianza, ma non è lui. Ciò detto, non mi dispiace affatto che qualcuno faccia questa equivalenza. Michel-Samuel Taieb è effettivamente un personaggio centrale, un protagonista, con il suo carosello di attivismo, le sue reti, le sue implicazioni senza riserve a favore di Israele, il suo accanimento nel reclutare altri “sayanim”. E’ lui che recluta il cardiologo, che va all’Eliseo per far partire l’ordine verso il rettorato e per riempire lo stadio di giovani arabi, che va a colloquio con un responsabile di Canal Plus per umiliare in diretta i militanti di SOS Palestine, che fa pressioni sul direttore della Moschea di Parigi per sostenere il preteso “match per la pace”… Eccetera…

Si ha l’impressione che vi siete assai divertito nel descrivere i “sayanim”…

Non ho potuto farne a meno. Il fatto stesso di trovare questa definizione, o quei nomi di personaggi che nessuno può rapportare a esseri reali, mi riempiva di gioia ogni volta. E’ vero che le mie simpatie sono conosciute. Non ho avuto nessuna ragione di risparmiarle.

E allora si tratta di un “romanzo politico”?

Se si intende che prende posizione di modo chiaro e netto, che denuncia le pratiche di influenza e manipolazione a profitto di una politica imperialista, allora certo che sì: è un romanzo politico. D’altra parte è dedicato “a tutti quelli che si battono per la giustizia in Palestina”. La forma narrativa non è che un metodo per giungere all’obiettivo. Gran parte del libro si basa su fatti reali, o esprime situazioni concrete che potrebbero verificarsi. Quando M.S.T. chiama Canal Plus, non ero certo all’ascolto, ma il modo con il quale la gran parte dei media srotolano ai suoi piedi il tappeto rosso, mi fa pensare che le cose vanno così e che gli obbediscono…

Qualcuno vi ha messo dei bastoni tra le ruote nella diffusione del libro?

Di sicuro. I sayanim e i loro complici, che sono numerosi e che occupano dei posti strategici, fanno di tutto per elevare attorno al libro un muro di silenzio. Se falliscono, tenteranno con la denigrazione. Oppure con il vecchio metodo dell’ “amalgamare ciò che non si amalgama”. Una critica di Israele equivale, si sa, all’antisemitismo. Parlare di sayanim è dunque tornare ad accuse di complotto che certi antisemiti lanciavano, a cavallo del XIX e XX secolo, contro gli ebrei per discreditarli. Il discorso della denigrazione e di un certo terrorismo intellettuale, come noto, è ben rodato.

Qual è la speranza?

Spero innanzitutto che il libro possa aprire gli occhi su questa forza potente e insidiosa messa al servizio di un’ideologia di dominio. E che permetterà dunque un decrittaggio preciso degli accadimenti. Infine che favorirà l’emergere di contro-poteri.