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Vie gnostiche all’immortalità

di Vittorio Fincati - 28/09/2010



Forse non a tutti è nota la difficoltà che gli studiosi specialisti incontrano nel diffondere al grande pubblico i risultati delle loro ricerche. Purtroppo la situazione dell’editoria italiana è sotto gli occhi di tutti: si segue la tendenza a “nutrire” i lettori (che tra l’altro sono una ristretta minoranza degli italiani) esclusivamente con leit-motiv  che hanno in vista obiettivi di consorteria ed economici. Così chi vuole “esprimere” il risultato dei propri lavori o è costretto ad arrangiarsi o a ricorrere a quelle piccole voci dell’editoria che, per i suesposti motivi, non riusciranno mai a farsi “avvistare” dai potenziali lettori. Questo fatto costringe inoltre gli stessi studiosi a mantenere il livello delle loro pubblicazioni su di un tono accademico specialistico che, se da una parte garantisce della serietà del lavoro, dall’altra diventa ostico alla lettura del fruitore comune, specie se l’autore infarcisce il testo di una miriade di note e citazioni, spesso in lingue straniere o riferisce delle diatribe a distanza tra colleghi. Di tali zavorre ne soffre indubbiamente la lettura e l’apprendimento.
Vogliamo segnalare quindi un interessante lavoro del Prof. Giovanni Casadio, ordinario di Storia delle Religioni all’Università di Salerno: Vie Gnostiche all’Immortalità (Editrice Morcelliana). Si tratta di due saggi distinti sullo gnosticismo assemblati ed offerti ai propri studenti. Non è dunque stato pubblicato per il grande pubblico, così come il titolo lascerebbe supporre, tuttavia vi abbiamo riscontrato degli elementi interessanti che cercheremo di condensare, facendo a meno di soffermarci sulla prima parte del lavoro, pur così ricco, anch’esso, di tematiche. Lungo l’excursus che l’Autore compie nell’ultima parte del libro sugli esponenti veri o presunti del filone gnostico, incontriamo la figura di Cerinto, fiorito nella provincia romana di Asia. Ebbene questo Cerinto lo troviamo interessante per la visione che egli propone del destino ultramondano dell’uomo: non un al di là asettico e desessualizzato, colmo della visione beatifica, ma un “luogo” ove il defunto può godere degli stessi piaceri della vita terrestre, carnali e sensuali. In ciò precursore del paradiso islamico, visto come un giardino custodito da prostitute sacre (urì). Si potrebbe supporre - ma è solo un’ipotesi che gettiamo là - che Cerinto non sia stato estraneo a quelle dottrine esoteriche, affiorate fino a noi con gli scritti riservati di Giuliano Kremmerz, che postulano la possibilità per l’uomo, una volta consuntasi la spoglia corporea o anche prima, di continuare ad esistere in questo stesso mondo, mutatis mutandis, assumendo un “corpo di gloria”.
In effetti, il precetto gnostico attribuito al protodiacono Nicola di Damasco che “bisogna abusare della carne”, al di là dell’immediato senso moralistico, potrebbe avere il significato nascosto riguardante quelle pratiche volte alla costruzione di questo corpo glorioso.
Infatti il Prof. Casadio scrive a riguardo che “la trasgressione
sessuale dello gnostico non equivale alla crapula allegra e mondana del libertino. Per i libertini spensierati nell’impero romano c’era già molto spazio. Se i Nicolaiti avessero voluto semplicemente coltivare la crapula e il libertinaggio, nessuno li avrebbe costretti a militare tra le file dei seguaci di Cristo piuttosto che a seguire le orme di Trimalcione”.
Non basta. A Nicola è attribuita anche questa frase, forse poco ricca di contenuti metafisici ma molto immediata: “se uno non copula ogni giorno, non può avere la vita eterna”. Clemente di Alessandria, vescovo cattolico, spiega quest’affermazione dicendo che i Nicolaiti volevano “combattere il piacere con il piacere” ma ciò - a nostro modestissimo parere - non è la spiegazione più verosimile. Le analoghe pratiche sessuali taoiste - basti pensare ai coiti quotidiani e pluriquotidiani di Re e Mandarini, non parlano certo di motivazioni catartiche, in quanto non è presente l’idea di impurità associata al sesso. Noi riteniamo che i più “avvisati” fra gli Gnostici si impegnavano nelle fatiche del coito allo scopo di riuscire a superare la crisi eiaculativa e ad esperimentare così quelle modificazioni della coscienza che possono intervenire una volta superate le lusinghe indotte dal Genio della Specie di schopenaueriana memoria.
Forse le maggiori notizie sulle pratiche sessuo-magiche degli gnostici, - che Casadio circoscrive a ragione con i cosiddetti barbelognostici o sethiani -, ci sono state tramandate dal vescovo di Salamina di Cipro, Epifanio, che nell’opera Panarion tratta, pur con parzialità, di uno di questi gruppi. Casadio ce lo presenta con soffuso umorismo: “Secondo una tecnica collaudata di proselitismo che è ancor oggi praticata da ogni specie di sette, il giovane e forse piacente novizio [Epifanio] fu avvicinato da un gruppo di belle, anzi troppo belle, gentildonne che cominciarono a catechizzarlo sui misteri [sessuali] della loro fede. Dopo prolungati e ripetuti abboccamenti l’epilogo fu deludente per le propagandiste gnostiche che presero congedo dal coriaceo monaco con una dichiarazione piena di rammarico: “Non possiamo, ahimé, salvare questo giovanotto! Dovremo lasciarlo perire nelle mani dell’Arconte”.
Lasciamo adesso parlare in prima persona Epifanio: “Posso parlare chiaro di queste cose [sessuali], che io non feci - Dio me ne guardi! -, ma delle quali sono ben informato per averle apprese da quelle persone [le donne] che cercarono di convertirmi, senza riuscirvi”. Epifanio, è ormai chiaro, deve essere finito nelle mani dell’Arconte.
Pace all’anima sua! Questa notazione, però, è interessante perché attribuisce alle donne l’insegnamento e la trasmissione degli arcani sessuali, così come è anche attestato in molteplici tradizioni esoteriche.
Casadio, al quale non manca la capacità di riconoscere e dire le cose come stanno pur con i dovuti modi richiesti nel mondo accademico, aggiunge che “come in ogni sistema gnostico che si rispetti, la gnosi è strettamente finalizzata alla salvezza, ma, come ogni lettore avrà ormai compreso, si tratta di un ‘conoscere’ in senso biblico. Di conseguenza, se dobbiamo prendere sul serio questa dottrina, la perfezione è raggiunta attraverso il coito, interrotto e ripetuto 365 volte a salire e 365 volte a scendere”.
Una pratica, comunque attestata fra i Marconiti, seguaci di Marco il mago ma non - come ci ha fatto notare Casadio in un’amabile conversazione -, tra i Marcioniti, seguaci di Marcione.
In ogni caso, chi di noi non vorrebbe poter sfuggire al mortifero amplesso dell’Arconte o alle solide mascelle del demone Apophi e poter esclamare con lo gnostico Vangelo di Filippo: “Io ho riconosciuto il mio vero io e l’ho raccolto da ogni parte.
Io non ho seminato figli per l’Arconte, ma ho sradicato le sue radici e raccolte le mie membra disperse. Io so chi tu sei, perché io appartengo a quelli in alto”.