Vorrei riprendere e completare un discorso iniziato in un precedente articolo legandolo in maniera più diretta al tema della comunicazione.

In un suo noto libro [1] Eric Fromm, partendo dalla constatazione che l’essere umano ha un costante bisogno di stimoli esterni e constatando che «la differenza fra persone - e culture - risiede soltanto nella differenza assunta dai principali stimoli di eccitazione», cita a esempio il dramma greco e gli spettacoli sadici del Colosseo, entrambi sicuramente stimoli molto forti per le popolazioni dell’epoca, ma con una differenza importante: la differenza fra quelli che Fromm chiama stimoli semplici e stimoli attivanti. Stimoli semplici sono quelli che sollecitano le pulsioni più o meno innate, quelli di fronte ai quali «la persona “reagisce” ma non agisce». Stimoli attivanti sono quelli che sollecitano la persona a esprimere le sue qualità, a mettersi in rapporto attivo e partecipe col mondo. «Lo stimolo semplice» scrive Fromm, «produce una pulsione, da cui la persona è guidata; lo stimolo attivante produce una tensione, e la persona si tende attivamente verso uno scopo.»

Una differenza importante è che i primi, essendo elementari e dunque inevitabilmente ripetitivi, per poter continuare a essere percepiti devono costantemente aumentare di intensità oppure mutare di contenuto. I secondi invece mostrano nella persona che li recepisce aspetti sempre nuovi proprio per la natura attiva del rapporto che essa ha con lo stimolo. Fra lo stimolo e colui che è stimolato esiste in questo caso un rapporto reciproco, non unidirezionale come nel primo caso.

Fra gli stimoli attivanti Fromm cita forme di comunicazione artistica e sollecitazioni estetiche o intellettuali, o anche interrelazioni personali profonde: «un romanzo, una poesia, un’idea, un paesaggio, la musica o la persona amata» e aggiunge: «nessuno di questi stimoli produce una risposta semplice; ti invitano, per così dire, a reagire attivamente e con simpatia mettendoti in rapporto con loro. (…) Tu non resti semplicemente un oggetto passivo che subisce lo stimolo, un corpo che deve danzare alla sua melodia; tu esprimi invece le tue facoltà mettendoti in rapporto col mondo; diventi attivo e produttivo.»

Anche l’apprendimento può assumere il carattere di stimolo semplice o attivante a seconda che sia «acquisizione di informazioni mediata dal condizionamento» oppure «penetrare oltre la superficie dei fenomeni fino alle loro radici» divenendo in tal caso «un processo attivo esaltante, una condizione per la crescita umana».

«La vita contemporanea nelle società industriali opera quasi completamente con stimoli semplici (…) mediati da cinema, televisione, radio, giornali, riviste e dalle esigenze di mercato. (…) Il meccanismo è sempre lo stesso: stimolazione semplice -> risposta immediata e passiva. Ecco il motivo per cui gli stimoli devono essere cambiati costantemente, per non perdere efficacia. Un’auto che sembra eccitante oggi diventerà una noia fra un anno o due (…)». La pubblicità in particolare è costituita in maniera esclusiva da stimoli semplici. La necessità di rinnovarli incessantemente è funzionale alle esigenze del mercato che ha bisogno di vendere continuamente “nuove” merci. “Nuove”, o che siano percepite come tali dal “consumatore”, così come gli stimoli semplici che, proprio per la loro natura elementare, offrono ben pochi margini di rinnovabilità reale. Il “nuovo” nella stimolazione semplice è dunque soltanto l’apparenza del nuovo, guardando appena oltre la quale si scopre una desolante ripetitività.

Tutto questo ci riguarda enormemente perché una società che incarni quel nuovo rinascimento che la Decrescita vuole e deve essere, è una società in cui l’individuo partecipa costantemente con il proprio apporto attivo e creativo; una società in altre parole in cui l’individuo è circondato costantemente da stimoli attivanti e a sua volta ne produce, per sé e per gli altri, come un bambino nella sua prima infanzia. Dobbiamo dunque pensare che un buon terreno di coltura per la Decrescita sia la creazione di un habitat culturale fatto di tali stimoli. Oggi si tende a pensare che un evento culturale sia in relazione con la Decrescita solo se in esso si parla di ambiente, energia, alimentazione biologica, autoproduzione, i temi tipici, insomma, della Decrescita che qui voglio chiamare “visibile”. Voglio invece sostenere che ogni evento di qualità, che abbia le caratteristiche di uno stimolo attivante, sia qualcosa che ci conduce sulla strada della Decrescita anche se non affronta nessuno dei suoi temi “visibili”. Né dobbiamo pensare che per giungere alla gente, quanto meno alla parte ancora ricettiva di essa, dobbiamo elaborare “messaggi semplici”: ricadremmo allora proprio in quel contesto degli stimoli semplici che sono funzionali al sistema dominante [2].

Vorrei citare un’esperienza personale: fra il 2007 e il 2009 realizzammo uno spettacolo costituito dall’insieme di un’installazione fotografica, un monologo recitato da un’attrice lungo un percorso definito dall’installazione stessa e musiche eseguite dal vivo. L’insieme era ambientato in un parco o giardino informale e strutturato di volta in volta secondo le peculiarità del luogo che diveniva così esso stesso parte dell’evento. Il pubblico accompagnava l’attrice nel suo percorso e riceveva simultaneamente gli stimoli delle parole, della gestualità, delle immagini, dei suoni e, non ultimo, del luogo in cui tutto ciò era immerso. Le immagini, benché visivamente piuttosto “attraenti”, erano astratte, i testi mi è stato detto da più parti che erano piuttosto “difficili”, le musiche erano tratte dal repertorio colto, il parco, nell’ultimo allestimento, era quello di una villa storica. Un insieme di elementi che avrebbero dovuto, secondo il senso comune, far pensare a uno spettacolo “di elite”, fatto per pochi o, come disse una mia conoscente attrice, «per palati fini».

Non fu così. Il pubblico fu numeroso e vario: vennero persone molto giovani e molto anziane e mi colpì sempre la grande attenzione, anzi concentrazione, con cui l’evento fu seguito. Una volta accadde che una giovane madre portò con sé i suoi due figli di 5 e 7 anni. Lo fece con molti timori perché temeva che si annoiassero e, distraendosi, disturbassero lo spettacolo. Rimase invece stupita nel notare come perfino loro seguissero attentamente fino alla fine. Conosco questa persona e da quel che so di lei posso facilmente immaginare che abbia molta cura nel circondare i suoi figli di stimoli attivanti, rendendoli così ricettivi a un tipo di sollecitazione sicuramente complessa come quella che ho descritto. Dobbiamo dunque pensare che ogni persona è potenzialmente in grado di recepire gli stimoli attivanti, anche ai livelli più complessi, e che tali facoltà oggi non si manifestano non perché inesistenti bensì perché distruttivamente inibite, col progredire dell’età, dalle preponderanti invasioni di stimoli semplici.

Anche Fromm sostiene un’opinione analoga. Dopo aver notato che «per avere effetto lo stimolo attivante richiede un individuo “ricettivo”» nel senso di «capace di reagire umanamente» e che «la persona che è completamente viva non ha bisogno di nessun particolare stimolo esterno per essere attivata; anzi, è lei a creare i propri stimoli», cita come esempio di persone vive proprio i bambini ovvero quelle persone su cui l’alluvione sociale di stimoli semplici non ha ancora fatto in tempo produrre i suoi effetti: «Fino a una certa età (intorno ai cinque anni) [i bambini] sono così attivi e produttivi da “crearsi” i propri stimoli. Da creare un mondo intero con pezzi di carta, legno, pietre, sedie, qualsiasi cosa trovino. Ma quando, dopo l’età di sei anni, diventano docili, non-spontanei, passivi, vogliono essere stimolati in modo da poter restare passivi e limitarsi a “re-agire”. Vogliono giochi elaborati di cui si stancano rapidamente; in breve, si comportano già come i loro genitori, che si stancano di macchine, vestiti, luoghi da visitare, amanti.»

Tornando all’esperienza che ho sopra narrato, cosa ha portato a casa la gente che ha assistito a quell’evento? E’ difficile dirlo, ma certamente un arricchimento dell’immaginario, una predisposizione a recepire la bellezza come fertilizzante della vita, un’attenzione alla visione e all’ascolto. Un insieme di stimoli, qualunque cosa fossero, che hanno agito in direzione opposta all’imperativo invito al «non pensare, corri!» che il signor Rossi consumatore si vede vomitare incessantemente addosso dall’apparato mediatico. La creazione di una civiltà della Decrescita passa anche da qui.

Note:
[1] E. Fromm, Anatomia della distruttività umana, Mondatori, Milano, 1975, pag. 301-305.
[2] Ad esempio, ho udito qualche tempo fa una canzone in stile rap il cui testo inneggiava, su toni molto elementari, ai temi della Decrescita: è un esempio di stimolo semplice che va in realtà in direzione diametralmente opposta alle intenzioni. Non escludo tuttavia che anche un simile tipo di sollecitazione possa risultare utile nel caso estremo, del resto ormai frequentissimo, di individui resi totalmente non ricettivi a qualunque altro tipo di stimolo.