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Belpietro e gli altri cattivi maestri

di Mario Grossi - 11/10/2010


Il balletto continua. E come sempre di questi tempi, c’è sempre un altro giro di Valzer che ci riporta al punto di partenza. Sembra quasi un comportamento seriale, sempre uguale a se stesso. Tutti hanno cominciato a rendere alle agenzie di stampa le solite dichiarazioni vecchie di almeno quarant’anni.

I fatti sono noti e coinvolgono Maurizio Belpietro, direttore di Libero, che ha subito un tentativo di aggressione a mano armata, praticamente sul pianerottolo di casa, sventato dall’intervento di una delle sue guardie del corpo.

I cani pavloviani si sono immediatamente messi a salivare in due direzioni che ne raccontano l’ipocrisia che li anima. Prima le dichiarazioni di circostanza da parte di colleghi e politici anche avversi, in cui gli si esprimeva solidarietà, poi, soprattutto dal Parlamento, insieme all’invito ad abbassare i toni, la più celebre frase dello stupidario: “Attenti ai Cattivi Maestri”, che, come sempre, mi ha provocato un inizio d’orticaria che sto cercando di curare con quanto sto scrivendo.

Prima le dichiarazioni di solidarietà di rito anche da parte mia, anche se non sono né un giornalista né un politico.

Lunga vita a Maurizio Belpietro, che Dio lo preservi. Da quando “Zelig”, accusando stanchezza, si è fatto noioso, da quando i comici de “Le Iene” e di “Striscia la notizia” hanno deciso di trasformarsi in giornalisti e da quando Crozza crede di essere un oracolo e non più il divertente guitto che è sempre stato, la comicità in Italia stava scomparendo. Che ci siano giornali come Libero è garanzia di qualche grassa risata per me che nei giorni in cui sono rabbuiato lo compro proprio per divertirmi un po’ con le gag di Belpietro.

Esaurite le mie sincere dichiarazioni di solidarietà passiamo invece al tritissimo “Attenti ai Cattivi Maestri”.

Mi sembra fosse Cicchitto, poi seguito da tutta la torma dei cani scodinzolanti del Partito dell’Amore a declamare ancora una volta la celebre frase. Penso fossero rivolti a Di Pietro e alle sue dichiarazioni in aula relative a Berlusconi paragonato ad uno stupratore, in questo caso della libertà.

Dunque Di Pietro è un cattivo maestro per quelle frasi forti che scatenerebbero i violenti che, traducendole nella realtà, passerebbero dalle parole ai fatti.

Insomma in una diretta correlazione tra il dire e il fare che fa dell’automatismo nominalistico il suo pezzo forte e che contraddice l’antico adagio secondo il quale tra il dire e il fare ci sarebbe di mezzo il mare.

Quindi, tutti quelli che avevano stigmatizzato, a parole, il modo di fare giornalismo di Libero, considerandolo una clava usata da mani vicine a Berlusconi, sarebbero i diretti responsabili del fallito attentato a Belpietro. O meglio, siamo dei raffinati, di un clima di odio montante che sarebbe il brodo da cui poi azioni scellerate di questo tipo prendono corpo.

Con questo modo di ragionare sono da annoverare, tra i cattivi maestri, insieme a Di Pietro, anche Berlusconi che, con la sua campagna decennale contro la Magistratura, sta armando le mani di qualche folle che ucciderà qualche Giudice; anche Bossi che, così per gioco, equiparando i romani ai porci, ha innescato una spirale che sfocerà in qualche dissennato assalto al Parlamento e alla successiva caccia al parlamentare leghista. È un cattivo maestro infine lo stesso Belpietro che con le sue parole e con il suo modo giornalistico, simile a un linciaggio, mediatico e verbale quanto volete, sta preparando i sassi per una lapidazione vera e propria che qualche malato starà già architettando ai danni di Fini. E sono, si parva licet, un cattivo maestro anch’io che, con quanto scrivo, sto preparando il terreno per nuove incursioni contro Belpietro che in realtà, rischiando grosso per la verità e involontariamente, ha coronato il suo segreto sogno: quello di diventare un martire della causa e vincere in volata la gara su chi, tra lui e Feltri, sia il più degno nipote di Montanelli (che probabilmente nella tomba se la ride sotto i baffi).

La realtà è tutt’altra, come non mi stancherò mai di ripetere i cattivi maestri non esistono. Esistono pessimi interpreti dei nostri giorni e niente più.

Semmai esistono cattivi allievi che deformano a loro piacimento quello che i pessimi attori di questa sceneggiata dicono.

Per essere meno pessimi dovrebbero sapere che le parole sono pietre e quindi dovrebbero avere la cortesia ed il buon gusto di moderarle, di cesellarle, in fondo è il loro mestiere, per renderle più acute, comprensibili ed affilate e per questo ancor più pericolose, proprio perché educate.

Gli consiglierei, se già non l’hanno fatto, di tornare alla poesia e al grande Hölderlin che sosteneva che «il linguaggio è il più pericoloso di tutti i beni».

La storia dei cattivi maestri è di fatto la storia della censura. Una censura volgare e insidiosa perchè carica d’ipocrisia. Una censura che non tappa la bocca in modo diretto ma scredita la persona di cui è oggetto.

Così facendo, mi scuserete per l’irriverente paragone, non si dovrebbero più pubblicare i discorsi di Mussolini perché aprirebbero la via a una nuova Marcia su Roma, né il Capitale di Marx perché da quel cattivo maestro sgorgherebbe irrefrenabile una nuova dittatura del proletariato, né il Vangelo di Gesù Cristo che potrebbe essere letto come un testo sedizioso e violento, come la storia degli Zeloti ci insegna.

Il pericolo, come ci diceva appunto Hölderlin, insito in quel magnifico dono che è la parola sta qui. Qualsiasi cosa diciamo può essere interpretata e usata in modo del tutto diverso dal nostro intendimento, anche se usiamo la più grande moderazione nel linguaggio.

È per questo che non esistono cattivi maestri ma solo cattivi allievi, come sapeva benissimo anche la buonanima di mio suocero, uomo di umili origini ma di una solidità e intelligenza rare che raccontava spesso questa storiella:

«Due amici s’incontrano e uno fa all’altro: “Ciao”. Ed il secondo di rimando: “Mi hai detto Miao! Miao lo fa il gatto, il gatto caccia il topo, il topo mangia il formaggio, il formaggio è fatto col latte, il latte è munto dalla mucca, la mucca è la moglie del toro. Allora mi hai detto cornuto!”». Ne seguì un’aggressione del poveretto che aveva solo salutato l’amico.

Mio suocero non lo sapeva ma quella barzelletta è una trasposizione popolare di un’antica favola di Esopo “Il Lupo e l’Agnello” che racconta esattamente la stessa cosa e che alla fine converge sulla mia tesi che non esistono cattivi maestri ma solo cattivi allievi.

Vorrei pertanto esortare tutti i Cicchitto, i Di Pietro, i Belpietro, i Bossi e i Berlusconi a leggersi Holderlin, a tornare a Esopo, a imparare da mio suocero la difficile arte di dire sempre con acume, precisione e talvolta cattiveria, cancellando ingiurie ed urla che, come tutti i rumori di fondo, ottundono il senso delle nostre parole, lasciando a noi il peso del giudizio e la responsabilità delle nostre azioni.

Di lavoro, per diventare meno pessimi di quanto non siano, ne hanno tanto da fare, come del resto tutti noi.