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Guerra dei sessi?

di Daniela Salvini - 11/10/2010







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Sempre più spesso i fatti di cronaca ci permettono, quasi più delle relazioni politiche, di avere il polso sullo stato della nostra civiltà occidentale. Non passa giorno che sui quotidiani, nei telegiornali e in internet non ci raccontino storie terrificanti. C'è chi dice che i nostri governanti fanno apposta ad amplificare a dismisura notizie locali per tenere tutti in uno stato di tensione continuo, per indurci ad accettare più volentieri regole limitative della libertà e controlli polizieschi. In caso contrario, in un sistema cosiddetto democratico come il nostro, non potrebbero avere spazio e giustificazione. Vero certamente, ma è altrettanto vero che gli avvenimenti non sono inventati, e sono lì, più forti di ogni immaginazione, a testimoniare una realtà cruda, feroce, sempre più diffusa. Quello che colpisce è  la quantità e la varietà dei fatti. Salgono alla ribalta con impeto, meravigliano il più incallito dei delinquenti per l'efferatezza, l'assurdità delle circostanze, come se si avesse a che fare con un meccanismo perverso che va per i fatti suoi, senza ragionevolezza, sempre più in fretta, e che produce mostruosità sempre più grandi e... ancora, ancora, ancora.
C'è chi dice che ci sono sempre stati, con la differenza che ora se ne parla di più. Sarà. Ho qualche dubbio.
Fra i tanti casi spiccano per frequenza e gravità quelli di uomini che infieriscono sulle donne, tanto da far pensare ad una guerra dei sessi. Ci sono i sostenitori dell'idea che gli uomini non possono sopportare l'emancipazione delle donne, il loro abbandono del ruolo tradizionale; le accusano di aver scardinato l'ordine sociale. Ci sono teorie, per lo più femministe, che suppongono sia in atto un processo di regressione, voluto coscientemente, per togliere alle donne quei diritti e quell'uguale dignità di persona propria degli uomini che disturba equilibri millenari. C'è la tesi molto interessante di Marcello Veneziani per la quale l'uomo uccide non per maschilismo ma per infantilismo tragico, delirio puerile, ferocia dei deboli. Come se dicesse: “Se tu te ne vai, la mia vita non ha più senso”. Allora meglio farla finita.
Senonché l'ennesimo fatto di cronaca di questa estate scombussola le carte: “Follia a Milano; mollato dalla ragazza uccide una passante, le sfonda il cranio a furia di pugni”. Mettiamo pure che che fosse molto arrabbiato, che avesse perso la testa. Perché uccidere una donna sconosciuta, una qualunque? Perché proprio una donna? Una madre di famiglia poi.
Mi viene il dubbio che ci sia altro, che questo non sia che il segno estremo di una tendenza ormai comune, quella che evidenzia un bisogno, nella nostra società, di dominio, di potenza su qualcuno, su qualcosa. La chiamerò “necessità di sopruso”, tendenza trasversale, presente in tutti gli strati della società, che si proietta ad esempio dall'imprenditore al dipendente, dal manager alla segretaria, dall'uomo all'animale, dal padre al figlio handicappato o alla figlia, desiderata e violata. Se il dominio può essere esercitato dal più forte nei confronti di un altro più debole, spesso sono gli uomini a commettere delitti sulle donne, perché non hanno altro su cui dominare. Hanno solo le loro donne su cui sfogare le proprie frustrazioni, esercitare la loro potenza, la rabbia, il dolore. Statisticamente può sembrare ci sia una guerra dei sessi in atto, ma in realtà non è così.
Chiedersi il perché di tutto questo bisogno di dominare è più che legittimo. La nostra società, formalmente egualitaria, in realtà è retta dalla prepotenza e dal sopruso: non è forse vero che chi ha successo fonda, in modo più o meno appariscente, la sua fortuna sul predominio? Non è forse vero che chi non ci riesce invidia, odia e si rivale su qualcun altro?
Chi non ha quasi nulla cosa fa? Proietta il male fuori di sé. Non si spiega così l'accanimento su di un barbone? Lo stupro di una suora? L'uccisione del proprio criceto in un microonde? (ebbene sì, anche questo è successo).
In questo quadro si spiegano allora anche i casi di donne che uccidono i compagni, quando questi si trovano in condizione di inferiorità, di donne che uccidono i loro bambini, e tanto altro. Recentemente mi ha fatto accapponare la pelle il racconto di un gruppo di donne molto giovani che, con un oggetto, hanno a lungo stuprato un'amica che aveva portato via il fidanzato ad una di loro, e l'altra, di un bambino che ha ammazzato il fratellino semplicemente perché aveva voglia di uccidere qualcuno.
La nostra società è malata. Tutti contro tutti. L'individualismo, la sopraffazione, ci vengono inculcati e ci appartengono. La cultura non costituisce più un freno. Spesso trionfa l'incultura si dice. Ma qui c'è una cultura immorale che trionfa. I bambini vengono educati alla violenza con tutti i mezzi, dai videogiochi ai film, con o senza 3D, da compagni, da cattivi maestri, dai media davanti ai quali sono soli, dal divertimentificio che ci specula sopra.
Troppo facile allora dare la colpa alle femministe che hanno voluto l'emancipazione delle donne e che adesso non vogliono rinchiudersi in casa. Troppo semplicistico dire che ci sono le uome e i gay che confondono le acque e che hanno distrutto i ruoli. Il pasticcio è molto più complesso, richiede a tutti di boicottare il pensiero dominante. E anche un ripiegamento su se stessi per l'assunzione di una parte di responsabilità. Il proprio quotidiano è costruzione che deve essere scandagliata, ripensata, rivisitata in maniera consapevole. Solo così ci si potrà sedere tranquilli sulla sponda del fiume aspettando che tutto un mondo, storto e perverso, crolli.