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Controcanto

di Claudio Moffa - Antonio D’Amore - 11/10/2010




Il giorno dopo quello della ribalta nazionale, è il giorno delle parole di Moffa. Il docente teramano,  che nel suo Master a Scienze Politiche, in una lezione aveva parlato di Olocausto e negazionismo e che, per questo, ieri è stato accusato di essere un negazionista, in un rincorrersi di prese di posizione arrivato fino al Ministro Gelmini, ha deciso di spiegare le sue ragioni. Cominciando col precisare di non essere un negazionista e di non aver affatto sostenuto tesi che negano l’Olocausto, ma di aver  riferito ai suoi studenti delle diverse posizioni della storiografia sul fenomeno della Shoà. Del resto, la sua ora e mezza di lezione è ascoltabile, in video, sul sito del professore: www.claudiomoffa.it

Allora, professor Moffa, mezza Italia sta parlando di questo nuovo scandalo negazionista eppure, a noi, ascoltando la registrazione della sua lezione, non è sembrato di ascoltare le frasi che Repubblica le addebita. Fughiamo ogni dubbio: lei nega che l'Olocausto sia avvenuto?

«Se mi consente, la domanda è impropria in almeno due sensi: primo, “Olocausto” è un termine religioso e noi stiamo parlando di un fatto storico. Secondo, cosa vuol dire negare? Per i cosiddetti “sterminazionisti” già ridurre la cifra dei 6 milioni di vittime dei lager a 3 milioni sarebbe una negazione, proprio perché si parte da un dogma – sostanziato e confortato dal termine sopradetto - composto da tre verità indiscutibili: il numero, le modalità dello sterminio attraverso le camere a gas, e la pianificazione del crimine in quanto consustanziale al razzismo nazista. Io credo che gli ebrei abbiano subito indicibili sofferenze nella II guerra mondiale, ma nello stesso tempo che la verità dei fatti vada accertata scientificamente e non sulla base di opinioni ideologiche, nel caso specifico antinazista, opinione che peraltro in quanto tale io condivido pienamente».

- Però, ancora non mi ha risposto… c’è stato o no lo sterminio degli Ebrei?

«Mi sento di poter affermare che, per quel che mi riguarda, lo sterminio c’è stato. Ovviamente non totale altrimenti non esisterebbe il fenomeno assai diffuso dei sopravvissuti. Anche che la memoria è importante come fonte storiografica, ma non esaustiva come sanno tutti gli studiosi, pena il rischio di brogli possibili, come il caso Enric Marco in Spagna…»

- Brogli? In che senso?

«Enric Marco per anni si proclamò deportato di Mathausen, prima di venire sbugiardato da tutta la stampa. Quanto alle camere a gas, la storiografia ortodossa riconosce che non ne esistono i resti perché sarebbero state tutte distrutte dai nazisti, e questo dal punto di vista della ricerca storica non si può non riconoscere come un problema, che va per giunta a combinarsi con l’altro: l’inesistenza cioè – secondo gli stessi storici ortodossi - di resti di queste camere, perché esse sarebbero state distrutte tutte dai nazisti. Dunque una situazione aperta a tutti i contributi».

- Per quanto non esaustiva, la memoria ha però un valore storico, e la memoria dei sopravvissuti racconta di quelle camere a gas, come anche della precisa pianificazione dello sterminio…

«Ecco, a proposito della pianificazione: questo è l’aspetto forse meno convincente del dogma; in questi giorni mi accusano di aver sostenuto che non esiste alcun documento di Hitler che ordinasse lo sterminio fisico degli ebrei, ma non lo dico io, lo dicono tutti gli storici, perché non è stato trovato quel documento. Del resto, secondo alcuni studiosi, non solo l’esercito nazista sarebbe stato costituito anche da ebrei, ma persino il Fuhrer sarebbe stato di origine ebraica».

- Documento o meno, quella della “soluzione finale” è una verità largamente accettata dagli storici...

«…ma bisogna capire cosa sia stata la “soluzione finale” perseguita dal nazismo: per gli sterminazionisti sarebbe coincisa con il genocidio fisico, per i cosiddetti revisionisti sarebbe stata invece una soluzione “territoriale”, vale a dire una gigantesca e criminale operazione di pulizia etnica. Tesi questa confortata dagli accordi, ormai riconosciuti da tutti gli studiosi, fra nazisti e sionisti: i primi desiderosi di sbarazzarsi degli ebrei o almeno di una parte cospicua di essi, i secondi interessati a trasferire i profughi in Palestina, in vista della fondazione dello Judenstaat ipotizzato dal padre fondatore del sionismo, Teodoro Herlzl, alla fine dell’Ottocento. Come si vede i punti che ho esposto richiamano tanti rivoli-questioni secondarie, di difficile accertamento e soluzione: quel che è sicuro, è che non è possibile bloccare la ricerca storica, altrimenti il rischio è sclerotizzarla in un dogma. Non era stato detto che la strage di Katyn era da attribuirsi ai tedeschi, e invece si è scoperto dopo decine d’anni che la responsabilità era dei sovietici? Se decido di dare un giudizio positivo dello stalinismo, devo per caso continuare a sostenere cio’ che non si può più sostenere?»

- Nella sua lezione all’Università di Teramo, lei sostiene che l'Olocausto è l'unico fatto storico di cui discutere può essere oggetto di sanzioni secondo la legislazione di molti Paesi…

«E lo confermo, e il motivo bisognerebbe chiederlo ai legislatori dei Paesi in questione… dall’esterno, rifletto sui due probabili motivi: il primo, di natura metastorica, consiste nella necessità-volontà di propagandare l’idea di una sorta di “crocifissione” - come da termine già utilizzato in un manifesto della I guerra mondiale - degli Ebrei in quanto Messia collettivo, da contrapporre alla crocifissione del Cristo. Un momento insomma, del plurimillenario scontro fra Giudaismo e Cristianesimo. Il secondo è stato descritto in modo esemplare da Norman Finkelstein: L’industria dell’Olocausto, Rizzoli 2002: “industria” economica (i risarcimenti) e politica (l’occupazione della Palestina)…»

- Per aver detto queste cose all’Università di Teramo, oltre ad un numero imprecisato di politici di ogni livello e schieramento, lei è finito sui giornali con il Ministro Gelmini che dice: "Non è possibile che nelle università italiane insegnino professori che seminano odio"?

«Ma io non ho mai seminato odio, sono certo che il Ministro sia stato male informato o abbia visto soltanto i video di poche manciate di secondi della mia lezione, durata in realtà un’ora e mezzo, che è stata equilibrata, nella quale ho rivolto critiche anche ai negazionisti – per i quali il “revisionismo” sembra a volte un obbligo innanzitutto morale ed esclusivo del tema nazismo-ebrei, e non invece una potenzialità consustanziale, ma solo in quanto potenzialità, al mestiere di storico in ogni settore di ricerca. E che ho concluso, la lezione, dicendo che stava agli studenti indagare i problemi toccati, e di farlo con la loro testa, anche contrastando quanto io avevo loro riferito».

- Poi, però, è finito sulla prima pagina di Repubblica…

«Questo è il nesso chiave, perché forse il vero problema in questa vicenda è il giornalismo di Repubblica, contro cui sono schierato da decenni, dai tempi della Polonia, dell’Afghanistan prosovietico (allora stavo a Paese sera, ci demonizzavano come “kabulisti”, ma avevamo ragione noi), delle interviste a Napolitano contro Berlinguer, e a Berlinguer contro Cossutta. E’ un giornalismo non diffusore di eventi, ma facitore di eventi, da Tangentopoli al processo Andreotti, dall’elezione di Scalfaro a Presidente della Repubblica, senza rinunciare all’uso mediatico disinvolto dei pentiti e al sostegno reiterato allo strapotere delle Procure e fino alle 10 domande di D’Avanzo».

- Non sarà anche lei tra quelli che danno sempre la colpa alla stampa?

«No, dico solo che Repubblica, con le sue appendici locali – spesso non migliori della madre – è portatrice di un giornalismo “a due dogmi”: la Shoah, fino a scagliare i suoi cronisti contro i dissidenti di turno, e i Procuratori della Repubblica, intoccabili e insindacabili perché allineati sulle sue – di Repubblica e di De Benedetti – posizioni. In questo senso, ritengo che gli attacchi che mi hanno investito appartengono alla stessa serie, allo stesso fenomeno degli attacchi al cosiddetto berlusconismo e dei suoi sostenitori».

- Ma come, un membro del Governo la accusa di “seminare odio” e lei ne difende il Capo?

«Sì, questa è la contraddizione, ma il problema di fondo resta. Non credo di esagerare dicendo che – fatta la debita tara del diverso grado di notorietà e di potere, ma tutta a mio svantaggio – il mio caso è della stessa fattispecie del caso Belpietro. Chi aggredisce tutti i giorni Berlusconi e i suoi sostenitori? Repubblica. Chi ha aggredito il sottoscritto? Repubblica. Cosa provoca l’aggressione reiterata, diffamatoria e violenta, contro Berlusconi, Feltri, Belpietro? Un clima di incertezza fino alla possibilità di attentati mortali, o magari di incursioni redazionali della Procura. Cosa provoca questa attenzione di Repubblica contro i dissidenti accusati di “negazionismo”, che l’accusa sia fondata o meno? La stessa incertezza e precarietà…»

- Non deve essere una sensazione piacevole…

«No, e c’è anche la possibilità che la sovraesposizione mediatica possa farti incontrare il matto incontrollato che ti pesta o che ti accoppa; in fondo, ci hanno provato a Teramo nel 2007 e potrebbero riprovarci anche adesso e questo fa paura: ma nel mio caso almeno, la paura è ampiamente sovrastata dall’indignazione pacatamente furibonda che il tentativo di tapparmi la bocca e di impedirmi di insegnare mi scatena».

(intervista raccolta da Antonio D’Amore)

dal quotidiano di Teramo “La Città”