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E lo storico? In galera!

di Antonio Serena - 16/10/2010

Fonte: liberaopinione

 http://www.spaghettifile.com/viewtrack.php?id=745427

Dunque, ci risiamo. Diverrà presto operante anche in Italia una legge che punirà anche con la reclusione chi nega o mette minimamente in dubbio l’olocausto e i suoi numeri. La nuova norma liberticida che configurerà una nuova fattispecie di reato, quella di “negazionismo della shoah”, ha già dato i suoi frutti nefasti specie in Europa, dove si è arrivati ad incarcerare una avvocatessa (Sylvia Stolz è in galera da circa due anni ad Heidelberg, in Germania) che aveva osato difendere uno storico accusato del solito “reato di opinione”.

Se non fosse per le conseguenze che hanno provocato sulle loro vittime – galera, sequestro dei beni, persecuzioni, messa al bando degli scritti -  e se non fosse che leggi simili sono già in vigore in Austria, Belgio, Germania Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia,  tutto ciò farebbe solo sorridere. Nessuno infatti, spostando i termini della questione, si sognerebbe oggi di schierarsi per la lapidazione di   Giordano Bruno o Galileo Galilei,  dovendo essere il diritto alla libertà di studio e di ricerca uno dei capisaldi del sistema liberal-democratico vigente in occidente.

“Una democrazia – faceva osservare tempo fa Massimo Fini – se vuole essere tale deve accettare anche le opinioni che le sono più ostiche e che le paiono più aberranti. E’ il prezzo che paga a se stessa. Altrimenti non è più una democrazia”.

Parlare, come fa qualcuno, di “verità storiche indiscutibili” è semplicemente demenziale. Scriveva Renzo De Felice, facendo proprie le indicazioni di Marc Bloch, fucilato a Lione dai tedeschi nel 1944: ”Per sua natura lo storico non può essere che revisionista, dato che il suo lavoro prende le mosse da ciò che è stato acquisito dai suoi predecessori e tende ad approfondire, correggere, chiarire, la loro ricostruzione dei fatti. Lo sforzo deve essere quello di emancipare la storia dall’ideologia, di scindere le ragioni della verità storica dalle esigenze della ragion politica…”

Per certi personaggi del partito unico della politica italiana  come Gianni Letta, Di Pietro, Mussi, Fassino, Gasparri, Fini, Schifani, tutti sedicenti democratici,  queste sono però considerazioni prive di senso. Così come insensato deve considerarsi quel sondaggio del Corriere della Sera (allora diretto dall’insospettabile Paolo Mieli) secondo il quale il 75% degli intervistati si diceva favorevole alla libertà di parola per i “negazionisti” e sui ”temi negazionisti”. E questo è un motivo in più per dimostrare quanto poco i rappresentanti del popolo italiano lo rappresentino effettivamente.

Ma a prescindere dalla validità o meno delle tesi espresse dagli studiosi cosiddetti negazionisti, è fuor di dubbio che  le attuali democrazie diano segni di irrimediabile squilibrio. Dovrebbe infatti risultare  pacifico che, ove uno studioso affermi o scriva che gli ebrei morti nel secondo conflitto furono 600 e non sei milioni, possa essere contestato e contraddetto, ma mai venir perseguitato o incarcerato per le sue idee.

Anche perché a questo punto a finire in galera sarebbero in molti, compresi i direttori de “La Stampa” e di “Repubblica” che, il 19 luglio 1990, informarono i loro lettori  che il direttore del museo di Auschwitz, prof. Francisek Piper, aveva affermato che la cifra di 4 milioni di vittime che figurava sulla targa commemorativa del campo di concentramento polacco era falsa, in quanto i morti erano stati circa un milione e mezzo: cifra riconosciuta da Schomuel Krakowski, storico israeliano e al tempo direttore dell’ Istituto di ricerche di Gerusalemme dedicato alla shoah.   Ammissioni che portarono alla revisione delle iscrizioni marmoree.

Il problema è però un altro e non investe tanto il campo della ricerca storica, quanto piuttosto quello della politica e delle sue contingenze che de Felice, appunto, ammoniva a non confondere.

Un tempo, in Italia era perseguito il reato di “vilipendio al tricolore” che poi, con l’avvento della mitica Padania, è  passato in cavalleria; vessato era anche chi si macchiava di “vilipendio della Resistenza”,  argomento per il quale oggi Pansa ed altri storici revisionisti dovrebbero perlomeno venir condannati all’ergastolo. Ma nel Belpaese la gravità del reato si misura a seconda della convenienza politica del momento.

E’ fuor di dubbio che la cricca sionista che governa Israele, anche alla luce della ferocia del suo espansionismo,  sia da tempo in difficoltà, scarsamente assecondata dallo stesso Presidente degli USA Obama e non riesca a raggiungere facilmente i suoi obiettivi, primo fra tutti quello della guerra all’Iran. Urge quindi rafforzarsi, aprendo sempre nuovi  fronti che pur nulla hanno a che fare con le sue attuali difficoltà politiche e trovando immancabilmente gli  “utili idioti” pronti a sposare cause folli ma redditizie.