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Medio Oriente, il Sinodo della discordia delibera un documento che non piace a Israele

di Christian Elia - 27/10/2010





Il Sinodo è una riunione di rappresentanti delle diverse chiese locali, per raggiungere un consenso attorno a un argomento riguardante la fede o per prendere decisioni di natura pastorale. L'ultimo, convocato sul Medio Oriente a Roma e durato due settimane, ha suscitato polemiche e tensioni. Prima monsignor Raboula Antoine Beylouni, vescovo di Antiochia dei Siri, in Libano, dichiara: "Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la jihad'', suscitando le ire dei musulmani. Poi, monsignor Cyrille Salim Bustros, arcivescovo greco-melchita della diaspora cristiana negli Usa, dichiara che gli israeliani fanno un uso strumentale delle sacre scritture per i loro fini politici. Infine, nel documento finale, il Sinodo chiede la fine dell'occupazione israeliana della Palestina.

PeaceReporter ha intervistato, per tirare le somme del Sinodo, Marco Politi, vaticanista fin dagli anni Settanta per il Messaggero, la Repubblica e oggi per il Fatto quotidiano, autore con il Premio Pulitzer Carl Bernstein della biografia best-seller di Giovanni Paolo II Sua Santità, di inchieste sui cattolici italiani e sull'omosessualità tra i religiosi, collaboratore di testate straniere quali Abc, Cnn, Bbc.

Il governo israeliano ha reagito con durezza, in una nota ufficiale, alle dichiarazioni di Bustros, che ha affermato che la politica di Israele si basa sul concetto biblico della Terra Promessa, arrogandosi il diritto di cacciare da quelle terre i palestinesi. Un'accusa infondata?
Bisogna chiarire un punto: non è vero che nella politica israeliana non venga fatto uso di termini biblici per giustificare l'occupazione di territori palestinesi. Non esiste alcun documento diplomatico ufficiale che usi argomenti biblici, questo è vero, ma è altrettanto vero che negli ultimi decenni molti esponenti politici, che siedono in Parlamento e sono al Governo, hanno usato per esempio al posto del termine Cisgiordania o West Bank i termini biblico-storici di Giudea e Samaria. Un modo molto ambiguo di affermare un diritto di presenza in questi antichi territori. I coloni stessi utilizzano gli stessi termini, Giudea e Samaria, per definire quelle terre collegandoo questo al concetto di Eretz Israel, terra d'Israele, terra promessa. Mescolando impropriamente termini biblici, teologici, nazionalisti e ideologici con quella che invece dovrebbe essere una discussione molto lucida su questioni politiche. Il tema politica, così come è definito dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, dice che valgono le frontiere del 1967 (prima dell'occupazione di Gaza e Cisgiordania e delle alture del Golan in Siria da parte dell'esercito israeliano ndr). Da una parte c'è Israele, dall'altra parte un territorio palestinese che attende di diventare Stato.

Il vice ministro degli Esteri d'Israele, Danny Ayalon, in generale, ha dichiarato che il Sinodo sul Medio Oriente è stato ''preso in ostaggio da una maggioranza anti-israeliana''. Che ne pensa?
Credo che la dichiarazione del ministero degli Esteri israeliano sia piuttosto propagandistica. Il Sinodo è come una riunione parlamentare, all'interno della quale ci sono tantissime voci. Anche all'interno della Knesset, il Parlamento israeliano, si possono ascoltare le dichiarazioni più varie e spesso non condivisibili. Va dunque tenuto conto del carattere di una discussione a tutto campo che viene fatta in un'assemblea. Quello che conta è il documento finale.

Che nelle polemiche è passato quasi sotto silenzio. Cosa emerge dalle propositiones, come vengono chiamate le risoluzioni finali del Sinodo?
Vi si affrontano tre problemi principali. Quello del fondamentalismo islamico e dei rischi ad esso connessi, quello del principio di laicità che deve penetrare in tutte le società mediorientali, con la separazione della sfera religiosa da quella politica, dove questo approccio non si è ancora realizzato, e infine il Sinodo ha preso posizione, rivolgendosi in particolare alle Nazioni Unite, chiedendo che vengano rispettate quelle che sono le sue risoluzioni e quindi la fine dell'occupazione israeliana nei Territori Palestinesi. E' indubbio per la Chiesa e per il Sinodo stesso, come per i vescovi della Chiesa Cattolica che sono in Medio Oriente, che Israele debba vivere all'interno dei suoi confini in piena sicurezza e che da tutti debba essere riconosciuta l'esistenza dello Stato d'Israele, ma non occupando terre che non gli appartengono.

Il giornalista britannico Robert Fisk, sull'Indipendent, traccia un quadro molto complicato per i cristiani in Medio Oriente, parlando di un vero e proprio esodo. Qual'è il valore effettivo di questa presa di posizione del Vaticano sul Medio Oriente?
Il Vaticano, specialmente con questo Sinodo speciale, ha voluto intanto dare un segnale di incoraggiamento alle comunità cristiane che sono presenti nel Medio Oriente e che sono sottoposte a un processo di erosione. I motivi sono tanti: le pressioni politiche, il fondamentalismo islamico, l'occupazione israeliana dei territori palestinesi (che si riflette anche in Libano) la disastrosa guerra in Iraq voluta da Bush e Blair - senza l'avallo delle Nazioni Unite, cosa sempre da ricordare - contro la quale Papa Giovanni Paolo II si è battuto in modo davvero coerente, mobilitando i suoi nunzi, gli ambasciatori vaticani, e ottenendo che paesi cattolicissimi come Messico e Cile - nel 2003 nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu - facessero mancare la maggioranza. Quella che allora sembrava una questione morale e astratta del Papa contro la guerra voluta da Bush si è rivelata una lucida previsione di una catastrofe che poi si avverata.
Per tutti questi motivi, molti cristiani nella regione, in particolare arabi cristiani, emigrano. Solo in Iraq sono centinaia di migliaia quelli che hanno lasciato il Paese. Il sinodo, dunque, ha avuto importanza per dare un segnale di incoraggiamento a queste comunità cristiane e per esortarle appunto a continuare ad agire in questi paesi per superare conflitti religiosi e creare delle società dove sia assicurata la convivenza a tutti. In cui si affermi che il principio di laicità è un bene per tutti i cittadini e per dare un contributo alla soluzione di conflitti ormai incancreniti come quello israelo-palestinese. La risposta del Sinodo è stata corretta e realistica, nei limiti delle possibilità della Santa Sede, incoraggiando le Nazioni Unite ad applicare le sue risoluzioni.