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Chi vuole il fardello afghano?

di Immanuel Wallerstein - 28/10/2010




Non è un segreto che molti paesi ritengano di essere interessati a chi governerà l'Afghanistan. E nel corso degli ultimi trent'anni molti paesi hanno mandato truppe o forniture militari o anche ingenti finanziamenti per determinare in Afghanistan il governo che vorrebbero. Non è difficile vedere come di fatto la misura in cui i paesi terzi hanno raggiunto i loro obiettivi sia molto limitata. E le prospettive per quei paesi non sembrano poi così buone. Tra le forze esterne cresce la sensazione di dover limitare gli interventi attivi. L'ingerenza crea un fardello che non sembra ricevere molte gratificazioni.
L'Unione Sovietica ci rimase seriamente scottata negli anni ottanta del secolo scorso e alla fine ritirò tutte le sue truppe. Il presidente che intendevano sostenere fu impiccato pubblicamente da una nazione riconoscente. I mujaheddin appoggiati dagli Stati Uniti nella resistenza all'intervento sovietico manifestarono la loro gratitudine coltivando e sostenendo un movimento, al-Qaeda, che da allora in poi ha dedicato tutte le sue energie alla jihad contro gli Stati Uniti e contro tutti coloro che al-Qaeda considera loro alleati.

La guerra civile afghana - che coinvolge più di due fazioni - prosegue ininterrottamente da allora. La componente preponderante, i talebani, ha conosciuto in questa guerra fasi alterne. Attualmente attraversa una fase decisamente ascendente. Poiché quasi tutte le nazioni esterne, salvo il Pakistan, non fanno che ripetere i loro giudizi negativi sui talebani, la capacità di questi ultimi di resistere e guadagnare terreno all'interno ha portato a molti ripensamenti privati tra tutti i paesi terzi interessati. L'interrogativo «dobbiamo continuare nel nostro intervento?» è tra le priorità un po' ovunque.

I paesi confinanti a nord e ad ovest - Uzbekistan, Tagikistan, Russia (anche se non per confine diretto), oltre all'Iran - sono tutti preoccupati. Non vogliono un governo dominato da talebani militanti e in gran parte di etnia pashtun. Temono, forse correttamente, che finirebbe per opprimere in vari modi le regioni settentrionali e occidentali cui sono legati dal punto di vista etnico. Ma nessuno di quei vicini sembra pronto a inviare truppe e tutti di conseguenza sono a favore di negoziazioni politico intra-afgane che si concludano garantendo una qualche protezione delle aree settentrionali ed occidentali. 

Gli Usa al momento hanno un folto contingente di truppe in Afghanistan. In teoria hanno preso l'impegno di ritirarle gradualmente a partire dal luglio 2011. Sempre in teoria il governo statunitense spera nella disfatta, o almeno nella possibilità di domare le forze talebane, e in un rafforzamento dell'esercito regolare afghano sotto l'autorità del governo formalmente legittimo presieduto da Hamid Karzai.

Le truppe statunitensi sono affiancate da una forza costituita da svariati paesi aderenti alla Nato. Se gli Stati Uniti intendono aspettare fino alla metà del 2011 per richiamare i loro soldati, la maggior parte dei paesi Nato sono ansiosi di andarsene prima o comunque di annunciare adesso con certezza un ritiro definitivo e imminente.

Nel caso degli Stati Uniti il ritiro pone una questione di politica interna. Il presidente Obama sta valutando se perderà più voti ritirando le truppe o al contrario non ritirandole. I risultati dei sondaggi di opinione indicano un numero crescente di votanti stanchi di quella che vedono come una guerra impossibile da vincere, in un paese lontano. La mia previsione è che la spinta isolazionista stia superando quella interventista nella politica statunitense. Ma questo lascia ancora altri due outsider - il Pakistan e l'India. Si tratta ovviamente di due paesi impegnati in una annosa e reciproca lotta politica (e spesso militare). E ciascuno valuta la situazione in Afghanistan in primo luogo in base alle implicazioni che può avere per i propri conflitti.

Il Pakistan in tutto questo periodo ha sempre sostenuto i talebani per mezzo dei servizi segreti dell'esercito. Oggi tende a negarlo perché questo esaspera gli Stati Uniti, ma non ci crede nessuno. Il Pakistan è convinto di poter controllare i talebani afgani e pensa che un ristabilito governo talebano a Kabul rappresenterebbe una muraglia contro l'India.

Il governo indiano è stato, negli ultimi dieci anni, un sostenitore attivo del regime di Karzai, perché lo ritiene uno strumento utile a neutralizzare l'influenza pakistana nel paese e capace alla lunga di aiutarli a creare le necessarie infrastrutture per ottenere risorse energetiche da Iran e Russia. Sia l'India sia il Pakistan potrebbero essere arrivati a riconsiderare le loro opzioni. O almeno, vi sono alcuni analisti governativi indiani convinti che ritirandosi, e cedendo l'Afghanistan ai pakistani, somministrerebbero al Pakistan una polpetta avvelenata che finirebbe per risucchiarne le energie e le risorse militari. Quegli analisti contano sulla formidabile indipendenza degli afgani, in particolare dei pashtun, sicuri che non tollererebbero il controllo pakistano come non hanno tollerato quello sovietico o statunitense.
E quanto al Pakistan? Non esistono solo i talebani afgani ma, sia pure separatamente, anche quelli pakistani. Mentre l'Isi può apprezzare e sostenere quelli in Afghanistan, è sicuramente poco entusiasta della variante locale. Occuparsi dei talebani pakistani potrebbe distrarre il Pakistan dalla questione dell'India più di qualunque altra cosa. Ritirarsi da un eccessivo impegno in Afghanistan potrebbe in qualche misura ridurre le tensioni interne. 

Allora un possibile esito delle continue guerre civili in Afghanistan è che nel giro di cinque anni o giù di lì tutti potrebbero essersi stancati del fardello di quell'impegno, abbandonando gli afgani al loro destino - «a cuocersi nel loro brodo», per usare un'espressione popolare. E che aspetto prenderebbe allora un simile Afghanistan? Difficile dire. Potrebbe verificarsi una situazione molto spiacevole, che vedrebbe tutti gli afghani sottoposti alla shar'ia nella sua versione più feroce. Oppure potrebbe sorprenderci tutti con quella specie di atmosfera alla "vivi e lascia vivere" che l'Afghanistan ha conosciuto in alcuni momenti della sua storia. E comunque il resto del mondo se ne preoccuperà? I prossimi cinque o dieci anni si profilano dappertutto come un periodo terribile dal punto di vista economico e politico. Forse mancheranno il tempo e le energie per occuparsi dell'Afghanistan.



(traduzione di Maria Baiocchi)

Copyright di Immanuel Wallerstein, distribuito da Agence Global