Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il Grande Dissesto

Il Grande Dissesto

di Luca Mercalli - 02/11/2010




Racconta Fenoglio nei «Ventitré giorni della città di Alba» che «verso la fine d’ottobre (1944) piovve in montagna e piovve in pianura, il fiume Tanaro parve rizzarsi in piedi tanto crebbe». Una tra le tante piene di cui l’autunno italiano è da sempre costellato.

Capitano a causa delle intense perturbazioni che si generano per l’interazione tra le prime discese di aria fredda polare e la tiepida superficie del Mediterraneo ereditata dall’estate. È appena il caso di ricordare le pietre miliari delle grandi piogge autunnali, limitandoci a quelle più recenti e rovinose: l’imponente alluvione del Polesine è di metà novembre 1951, la storica piena dell’Arno a Firenze, con Venezia invasa dall’acqua alta del secolo, è del 4 novembre 1966, il Biellese viene devastato il 3 novembre 1968, Genova è messa in ginocchio il 7 ottobre 1970, il Tanaro infanga Alba e Alessandria il 5-6 novembre 1994, il Po a metà ottobre del 2000 esonda dalle Alpi al delta. L’elenco completo sarebbe immenso, e non è una novità per il nostro territorio.

Solo un mese fa ci toccava scrivere un pezzo non diverso da questo per i nubifragi su Genova, un anno fa era Messina che franava e a Natale erano in piena i fiumi della Lunigiana, la stessa regione investita nelle scorse ore da piogge di 200-300 millimetri da cui hanno preso origine le colate detritiche sulle frazioni di Massa. Una vasta perturbazione generata dalla depressione «Xanthippe», così battezzata come è uso da oltre un decennio dall’istituto di meteorologia dell’Università di Berlino, ha scaricato sul nord Italia tra cento e duecento millimetri di pioggia in due giorni, con massimi di 350 mm sull’alto Vicentino, ha portato le prime abbondanti nevicate oltre i 2000 metri e una vigorosa sciroccata sulle isole. Un evento tuttavia non eccezionalmente intenso, capita più o meno ogni anno. Ma allora perché siamo sempre qui a stupirci di fronte alle vittime e ai danni? In effetti nubifragi, frane e alluvioni fanno parte, dalla notte dei tempi, della naturale dinamica del territorio e sempre ci saranno, qui come altrove. È la nostra vulnerabilità che si è accresciuta, a seguito di una dilagante cementificazione fondata su un approccio di dominio sull’ambiente piuttosto che di convivenza. La ricetta internazionalmente proposta affinché le forti piogge facciano meno paura è dunque: 1) una più saggia pianificazione urbanistica con drastico blocco della nuova edificazione; 2) una coraggiosa rilocalizzazione degli abitati in zone a rischio, come ha fatto il governo francese nelle aree costiere inondate dalla tempesta Xinthia dello scorso febbraio; 3) un fondo assicurativo obbligatorio sui rischi naturali; 4) un programma a lungo termine di manutenzione idrogeologica capillare e diffusa in luogo di grandi opere di canalizzazione e arginatura che spesso producono un senso di falsa sicurezza e aprono la strada a nuovi insediamenti edilizi; 5) martellanti programmi educativi di prevenzione, nelle scuole e in televisione: si abbia il coraggio di spiegare alla gente in prima serata come ci si deve comportare in caso di emergenza senza essere etichettati come portaiella; 6) potenziamento dell’infrastruttura di previsione meteorologica e protezione civile, incluse esercitazioni. Tutte queste cose si fanno regolarmente per esempio negli Stati Uniti contro uragani e alluvioni (www.floods.org), in Italia sono in genere riservate agli addetti ai lavori, invece bisogna che arrivino al grande pubblico, che diventino parte integrante del corredo di capacità di ogni cittadino: in gioco ci sono la casa e la vita. È probabile che in futuro i cambiamenti climatici proporranno precipitazioni ancora più intense: una ragione di più per attrezzarsi. Invece del Grande Fratello forse sarebbe bene cominciare a guardare in faccia il Grande Dissesto Idrogeologico del nostro Paese.