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Elezioni americane. Obama perde perché vince o vince perché perde?

di miro renzaglia - 04/11/2010


La domanda è: Obama perde perché vince o vince perché perde? E’ la domanda che viene dai risultati elettorali per il rinnovo della Camera e del Senato degli Stati Uniti d’America.

Sempre elettoralmente parlando, Obama perde e basta: debacle alla Camera, dove il partito democratico (il suo, di Obama) va in minoranza. E perde al Senato, anche se mantiene di stretta misura la maggioranza. Perde, perfino, nel suo ex seggio senatoriale, l’Illinois, conquistato dal repubblicano Mark Kirk e nell’Ohio, dove si era impegnato, in tutte e due gli Stati, in prima persona.

Ma il dato elettorale parla della pancia del Paese e va interpretato. Intanto due nozioni spicciole. La prima: l’affluenza alle urne in occasione del rinnovo del Parlamento (un po’ come avviene da noi nelle amministrative) si riduce sempre rispetto alle elezioni del Presidente (un po’ come avviene da noi per le elezioni politiche). E’ abbastanza ovvio che siano più incentivati ad andare a votare gli scontenti della conduzione governativa. La seconda: Obama è andato a toccare interessi di grandi lobby: quella delle assicurazioni sanitarie, quella degli speculatori di borsa, quella dell’industria bellica. E’ chiaro che alla prima occasione gliela avrebbero fatta pagare. E quell’occasione è venuta.

La riforma sanitaria, mai riuscita a nessun Presidente prima di lui, ha toccato interessi forti, mettendo al riparo del sistema sanitario di stato un 43% di cittadini che non potevano permettersi la polizza assicurativa privata. Era, quel 43%, comunque una risorsa almeno in prospettiva per le agenzie assicurative. Aver tolto loro l’osso di bocca, ha lasciato, con ogni evidenza, il fianco scoperto per i colpi dei predicatori del liberismo assoluto.

Peggio ancora, in materia di controllo finanziario, Obama ha fatto contro i sostenitori del libero mercato,  varando una riforma che, di fatto, mette sotto controllo statale lo scambio dei derivati e i limiti di capitale proprio investibile dalle banche. Diciamoci la verità, era il minimo che gli fosse dovuto dopo gli sconquassi che le banche avevano prodotto con la più grande crisi finanziaria planetaria di tutti i tempi: quella del 2008 e dei mutui subprime. E che era costata alle casse del Tesoro americano, per evitare il crack del sistema bancario nazionale, qualcosa come 800 miliardi di dollari, in soldoni monetari. E in milioni di disoccupati e senza tetto in termini sociali.

Come se non bastasse, c’è stato pure il ritiro delle Forze armate statunitensi dall’Iraq e quello ventilato possibile, entro il 2011, dall’Afghanistan. Il che significa essersi irrimediabilmente inimicata una delle più grandi industrie del paese: quella bellica.

Da questo risultato elettorale, non c’è dubbio, Obama esce ridimensionato: il Nembo Kid dell’immaginario collettivo prodotto alla sua elezione, si riduce ad un Paperino che vede rivoltarsi contro di lui anche la sua più nobile intenzione.

Diciamolo chiaramente: Obama non è mai stato e non sarà mai il mio Presidente. Ma nella chiave della sua azione di governo nelle iniziative che ho appena sopra ricordato: Obama perde perché vince o vince perché perde?

Forse, perde. E il primo a rendersene conto è proprio lui che si dichiara, ormai, pronto al compromesso con la rappresentanza del partito repubblicano che le sue iniziative, interne ed internazionali, ha sempre avversato. Probabilmente, assisteremo ad un annacquamento in senso liberista delle sue riprese da stato sociale. E questa sarebbe la sua vera sconfitta.