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Elezioni d'Egitto

di Michele Paris - 10/11/2010



Il 28 novembre prossimo gli elettori egiziani saranno chiamati a rinnovare l’Assemblea del Popolo, la camera bassa del parlamento, dominata dal partito di governo del presidente Hosni Mubarak. Nonostante l’appello al boicottaggio lanciato dall’ex direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA), Mohamed ElBaradei, quasi tutti i partiti di opposizione hanno annunciato che prenderanno parte alla imminente tornata elettorale.

Rientrato in patria dopo dodici anni alla guida dell’agenzia delle Nazioni Unite, il 68enne ElBaradei da qualche mese è diventato uno dei principali protagonisti della scena politica egiziana. Lo scorso febbraio ha fondato il partito indipendente Associazione Nazionale per il Cambiamento, con l’obiettivo dichiarato di avviare l’Egitto verso un percorso democratico e, nonostante gli ostacoli legali, provare a correre per la presidenza il prossimo anno.

Di fronte all’inflessibilità del regime, ElBaradei ha messo in guardia dai sicuri brogli a cui il Partito Nazionale Democratico di Mubarak a suo parere farà ricorso per assicurarsi l’ennesimo successo elettorale. Con questa prospettiva, a suo dire, partecipare al voto equivarrebbe a una legittimazione del regime stesso. Da qui l’invito a boicottare le urne.

Secondo il sistema egiziano, i partiti che intendono presentare propri candidati alle elezioni devono passare al vaglio di una commissione formata da ministri del governo e da giudici nominati dal presidente. Una norma che di fatto consente a Mubarak e alla sua cerchia di potere la selezione dei partiti di opposizione che, com’è ovvio, non rappresentano un reale contrappeso alla schiacciante maggioranza del Partito Nazionale Democratico.

Come già anticipato, con l’eccezione dello schieramento di ElBaradei e del partito centrista secolare El-Ghad, i principali partiti di opposizione hanno alla fine deciso di correre nelle elezioni che si tengono ogni cinque anni. Lo schiaffo più duro all’ex numero uno della IAEA è giunto dai Fratelli Musulmani, il più importante movimento politico di opposizione in Egitto. Lo storico partito islamico sunnita, tollerato a stento dal regime, aveva infatti appoggiato finora l’iniziativa politica di ElBaradei.

Essendo ufficialmente fuori legge, il partito dei Fratelli Musulmani, come nelle passate tornate elettorali, presenterà anche in questa occasione una serie di candidati che correranno come indipendenti. Nel 2005, i Fratelli Musulmani riuscirono a conquistare 88 dei 454 seggi della camera bassa, pari a circa il 20 per cento del voto popolare. Nonostante il sostegno diffuso nel paese, tuttavia, i Fratelli Musulmani riusciranno a competere solo per meno di un terzo dei seggi, mentre al partito di governo finiranno con ogni probabilità almeno i due terzi del totale.

Con questa prospettiva, l’opposizione tradizionale o l’appena nato movimento di ElBaradei  non potranno alterare a breve il sistema consolidato da quasi tre decenni di presidenza Mubarak, né ostacolare la probabile successione alla guida del paese che verrà decisa con le elezioni presidenziali del settembre 2011. Mentre recenti dichiarazioni di esponenti del Partito Nazionale Democratico hanno rassicurato circa la nuova candidatura dell’82enne Hosni Mubarak, le precarie condizioni di salute dell’anziano leader fanno pensare ad un probabile passaggio di consegne, verosimilmente al figlio Gamal che già ricopre un ruolo di spicco nella struttura del partito.

Se Mubarak dovesse alla fine farsi da parte, l’avvicendamento alla presidenza dell’Egitto sarà appoggiato anche dagli Stati Uniti, il cui obiettivo primario rimane la conservazione dello status quo nelle relazioni bilaterali con il loro principale alleato nella regione, dopo Israele. Tanto più che da Washington si segue con sempre maggiore apprensione il crescente malcontento tra le classi più disagiate della popolazione egiziana, così come più di una perplessità si continua a nutrire nei confronti di ElBaradei.

Se pure il progetto politico di quest’ultimo prende sostanzialmente le mosse dalla stessa preoccupazione della classe media egiziana per l’insofferenza degli strati più poveri, è anche vero che nel corso degli anni trascorsi alla guida dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ElBaradei non ha mai nascosto le sue divergenze con Washington. Oltre ad essersi opposto all’invasione dell’Iraq nel 2003, ben nota è la sua netta contrarietà ad una possibile aggressione militare contro l’Iran, più volte minacciata da USA e Israele.

Con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, intanto, le forze di sicurezza del regime egiziano hanno intensificato la repressione delle opposizioni. Recentemente, l’Autorità Nazionale per le Telecomunicazioni ha annunciato nuove restrizioni sull’invio di SMS da parte dei media, i quali dovranno ora ottenere esplicita approvazione governativa prima di poterli inviare. Allo stesso modo, il Ministero dell’Informazione ha stabilito che le emittenti satellitari dovranno avere una speciale licenza prima di trasmettere un evento in diretta o distribuire i loro notiziari ad altre televisioni.

Oltre a questi provvedimenti che renderanno più complicata la mobilitazione politica e la diffusione delle informazioni, le autorità di polizia continuano ad eseguire arresti tra i sostenitori delle opposizioni. Obiettivo preferito, come al solito, sono i Fratelli Musulmani. Secondo alcuni resoconti, 70 membri del fuorilegge partito islamico sarebbero stati arrestati qualche giorno fa ad Alessandria d’Egitto perché sorpresi ad affiggere manifesti elettorali che recavano slogan religiosi e perciò proibiti dalla legge elettorale.

Solo nelle ultime due settimane i sostenitori dei Fratelli Musulmani finiti dietro le sbarre sarebbero circa 260, anche se molti sono stati successivamente rilasciati. Tra questi, secondo quanto riportato da Al Jazeera, ci sarebbero anche alcuni membri che stavano accompagnando degli aspiranti candidati alle elezioni per sbrigare le pratiche di registrazione nella città di Fayoum. Altrove, a numerosi candidati vicini ai Fratelli Musulmani è stato impedito di sottoporre agli uffici competenti la documentazione necessaria per apparire sulle schede elettorali. Mercoledì scorso, infine, ben 57 potenziali candidati su 132 presentatisi per la registrazione sono stati esclusi dal voto.

Nonostante il clima tutt’altro che ideale nel quale si svolgeranno le elezioni di fine novembre, i governi occidentali si sono ben guardati dal rivolgere critiche e appelli al governo di Mubarak per il rispetto delle libertà democratiche. Nulla c’è da attendersi di lontanamente simile alla campagna mediatica, ad esempio, che aveva accompagnato le presidenziali in Iran nel giugno del 2009. L’impegno americano e degli altri paesi occidentali per la diffusione della democrazia in Medio Oriente, d’altronde, è subordinato alla difesa dei rispettivi interessi strategici ed economici. Se questi vengono garantiti da un dittatore, a Washington e nelle capitali europee non ci si fa scrupoli a chiudere un occhio su democrazia e diritti umani.

Con i media occidentali che nella grande maggioranza si limitano a raccontare di qualche arresto tra gli oppositori del regime, gli Stati Uniti hanno assicurato tutto il loro appoggio al partito di un presidente che governa ancora con le leggi di stato d’emergenza decretate nel 1981 dopo l’assassinio del suo predecessore, Anwar Al-Sadat. Così, con un tempismo impeccabile, uno dei più importanti strumenti di pressione degli USA per la promozione della propria agenda estera - l’Agenzia Americana per lo Sviluppo Internazionale (USAID) - ha fatto sapere la settimana scorsa di aver aumentato del venti per cento lo stanziamento di fondi per l’Egitto, non a caso già il terzo beneficiario degli aiuti statunitensi a paesi esteri, dopo Iraq e Israele.