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La metropoli che scoppia. Tra smog, lusso e rifiuti

di Danilo Chirico - 08/12/2010


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Appena qualche decennio fa, la città nello Stato di Quintana Roo era poco più di un borgo di pescatori. Ora è un grande centro assalito dal turismo di massa. E sempre più inquinato.
I giornali locali dicono che fa freddo. Alcuni lo strillano persino in prima pagina che quest’ondata durerà ancora per qualche giorno. A leggere i quotidiani di Cancun sembra di stare nel Nord Europa bloccato dalla neve. La realtà, naturalmente, è che le “rigide” settimane del vertice mondiale Cop 16 sul clima prevedono solo poche nubi e qualche raffica di vento. Sarà per questo presunto maltempo che i governi di tutto il mondo in arrivo in Messico non riescono a cogliere l’urgenza di trovare un accordo che arresti il riscaldamento globale? Ironia a parte, è sufficiente che ministri e capi di governo alzino gli occhi al cielo o respirino un po’ più profondamente per cogliere il livello impressionante di smog nell’aria e capire che siamo ben oltre il livello di guardia.
 
Cancun è probabilmente la città più adatta dal punto di vista delle infrastrutture a ospitare il Cop16 con centinaia di delegazioni provenienti da ogni parte del mondo, tuttavia è anche quella che - forse meglio di altre -  esprime appieno le mille contraddizioni messicane e, in fondo, può essere portata a paradigma di un sistema economico e sociale da cambiare. Appena qualche decennio fa, infatti, Cancun, nello Stato di Quintana Roo, era un tranquillissimo centro di pescatori che avevano trovato la loro dimensione in una zona quasi disabitata formata da una duna a forma di sette a due passi dai Caraibi. Un villaggio della penisola dello Yucatan, famosa in tutto il mondo per gli straordinari insediamenti Maya che (a Tulum o a Chiche-itza) resistono imponenti fino ai giorni nostri.
 
Poco più di trent’anni fa, la svolta repentina: il governo messicano per allentare la pressione su Acapulco decide di fare Cancun in una zona ad alta densità turistica. Bastano pochi anni e l’intera area con le paludi, le spiagge bianche e una vegetazione mozzafiato che si specchia sulla bellissima Isla Mujeras, diventa una città (con più di mezzo milione di abitanti) e si trasforma in una delle capitali mondiali del turismo, meta privilegiata di migliaia di ricconi soprattutto statunitensi e canadesi. Lo capisci subito, appena scendi dall’aereo, dove ti trovi. Ad accogliere i turisti c’è un clima di festa che si materializza sotto forma di un gruppo di suonatori messicani con tanto di poncho, baffo e sombrero. Appena fuori dallo scalo, è un’invasione di taxi (migliaia girano tutta la città per pochi spiccioli) e pullman pronti a servire al meglio singoli o intere comitive.
 
Percorrendo i pochi chilometri che separano l’aeroporto dalla città entri subito nel clima del vertice. La città è completamente militarizzata: ci sono decine di posti di blocco, controlli, rallentamenti. E la polizia federale si mostra fiera solcando le strade a bordo di suv Ford che sul retro trasportano cinque uomini in divisa blu armati di mitra rivolti in maniera inutilmente imprudente verso le auto o i pedoni. Quasi inutile precisare quanto sia presidiata la cosiddetta zona rossa, l’area del vertice ufficiale dei governi che – piccola curiosità – si scorge da lontano grazie a una pala eolica (la stessa del vertice di Copenaghen?) che gira a vuoto da giorni e vuole rappresentare il simbolo del cambiamento. Ci sono poi altre cinque zone – tutte lontane tra loro – che Cancun ha destinato al vertice.
 
C’è Cancunmesse, l’area della fiera ufficiale, e Villa climatica, attrezzata dal governo per fare la faccia pulita e dimostrare al mondo il proprio impegno per l’ambiente (assolutamente deficitario per tutta la società civile messicana). Ci sono poi le aree riservate ai tre (!?) controvertici (una novità la divisione, dovuta alle scelte del movimento del Paese ospitante): il Klimaforum delle ong a Puerto Moleros, Dialogo climatico che ha allestito il villaggio a due passi dal palasport della scherma e via Campesina che sta al centro sportivo Canek. Per le strade, come sempre in questi giorni, anche Rigas, la Rete italiana per la giustizia ambientale e sociale, tra i protagonisti del controvertice.
 
Ma se si dovesse indicare la zona di Cancun più interessata dal vertice, forse paradossalmente, si dovrebbe indicare la zona hotelera: una striscia di terra stretta e lunga una manciata di chilometri - che sta in mezzo al mare di Cancun e collegata alla terraferma da due ponti - su cui sembrano poggiati come giganteschi mattoncini della Lego ben 93 (novantatre!) hotel di lusso alti anche venti piani, casinò (ce n’è anche uno immenso, inaugurato poche ore fa, con fuori in bella mostra il coniglietto di Playboy), discoteche e ristoranti. Costruzioni imponenti che hanno alle spalle l’acqua della laguna con gli approdi per i motoscafi e davanti l’oceano Atlantico. Un unicum impressionante che ha modificato l’ecosistema, l’orizzonte, la stessa identità della città.
 
È qui che alloggia la gran parte delle delegazioni ufficiali del vertice (davanti a ogni porta d’albergo è presente una pattuglia della polizia) ed è qui che lavora una parte davvero consistente della popolazione di Cancun impegnata come cuochi, camerieri, personale di hall, addetti alle pulizie. A questo proposito, i giornali sottolineano che il vertice ha salvato una stagione invernale che rischiava di essere fallimentare dal punto di vista delle presenze (e quindi dell’economia locale). Per la gente comune, l’unica possibilità di respirare la stessa aria dei ricchi. Mano a mano che dalla zona hotelera ci si sposta verso l’interno, questa città priva di un centro storico diventa la zona residenziale della classe media. Fuori dal centro due diverse realtà: andando verso sud, si trovano decine di resort d’elite, parchi dei divertimenti e campi da golf. Andando invece verso l’interno, verso le sterminate periferie, ci sono i quartieri della stragrande maggioranza della popolazione locale che vive in abitazioni che somigliano più a capanne che a case.
 
È in questa dicotomia che si mostrano tutti i paradossi, la sproporzione tra ricchezza e povertà del sistema economico e sociale messicano (e, in fondo, anche mondiale). Secondo una ricerca pubblicata nel 2006, il Messico è la seconda nazione al mondo, dietro gli Usa, per numero di obesi (il 24% della popolazione). Un dato che diventa ancor più eclatante se accompagnato da alcune considerazioni. La prima riguarda il sistema sociale: per le strade di Cancun - tra minuscoli carretti di venditori ambulanti di cibo, Coca cola e bevande Nestlé, curiosi infopoint e minimarket - si vede una moltitudine di giganteschi centri estetici, palestre, farmacie e parafarmacie. La seconda è esemplificativa di un sistema economico alla deriva: il Messico, per le conseguenze nefaste sull’economia del Nafta (l’accordo di libero scambio firmato nel ‘94 con Usa e Canada), è oggi primo produttore al mondo di mais e, pure, è costretto a importare il 33% del suo fabbisogno. Su questa problematica situazione strutturale, a Cancun proprio in questi giorni è caduta la tegola dell’allarme rifiuti. E interi pezzi di città somigliano molto alla peggiore Napoli.
 
Molte zone periferiche e persino alcune mete turistiche (il visitatissimo mercato 28) sono letteralmente invase dalla spazzatura e circondate da discariche a cielo aperto. Un colpo ben assestato all’immagine patinata costruita sul lusso degli hotel sottolineato anche da alcuni giornali locali che polemicamente invitano a fare un giro virtuale per Cancun godendosi i cumuli di rifiuti anche attraverso Google Earth. Per questo è alta la tensione contro la società – la Domos Tierra - che ha avuto in concessione (per 37 milioni di pesos messicani) la raccolta dei rifiuti e che mostra tutte le sue insufficienze. Ma è solo una delle tessere del puzzle della precarietà di Cancun, di Quintano Roo e dell’intero Messico. Basti prendere a prestito le parole di Mario Herrera Moro, presidente dell’ordine dei geologi del Messico.
 
Intervenendo al forum Cento proposte concrete per il cambiamento climatico, Herrera ha sottolineato la fragilità del territorio dello Yucatan, denunciato la presenza di discariche abusive e parlato di un sistema fognario al collasso e di corsi d’acqua contaminati. Un quadro ambientale pericoloso che determina un altissimo rischio di esplosioni - superficiali o sotterranee - di gas metano (già avvenute in alcuni villaggi attorno a Cancun) e che mettono a rischio la salute di centinaia di migliaia di persone. Gli ha fatto eco Jose Luis Luege Tamargo, direttore generale della commissione nazionale dell’Acqua: nonostante lo Yucatan sia la regione mondiale con più abbondanza di acqua, ha spiegato, gli abitanti rischiano di non averne più a disposizione.
 
Almeno di quella buona. I veleni delle fabbriche e dei rifiuti accatastati nelle discariche abusive stanno contaminando in maniera irreparabile le falde acquifere e i corsi d’acqua. Con le conseguenze immaginabili per chiunque. È questo il Messico che ospita il Cop 16. Di questo sistema che precipita – qui e altrove - dovrebbero occuparsi i governi del mondo. Per capirlo, è sufficiente guardarsi attorno. Anche nella luccicante Cancun.