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I furbetti del rating

di Ilvio Pannullo - 21/12/2010

Quasi non ha fatto in tempo a entrare in vigore, il primo dicembre scorso, il regolamento Ue sulle agenzie di rating, che già pochi giorni fa, il 15 dicembre, il Parlamento europeo ne ha approvato a larghissima maggioranza (611 voti a favore, 15 contrari e 26 astensioni) una serie di modifiche in senso restrittivo, che entreranno in vigore nel luglio prossimo. C’è voglia di regole in Europa, regole che dovranno essere interpretate e applicate severamente.

Proprio questa volontà politica sembra assicurare che nel continente l'assalto regolamentare a un settore dominato dall'oligopolio delle Big Three americane - Standard & Poor's, Fitch e Moody's, che sono in grado di far muovere i mercati più o meno a loro piacimento - promette di non fermarsi qui. In cantiere c'è già l'idea di presentare nuove proposte in primavera sempre con l'obiettivo di sottoporre queste agenzie a una sorveglianza sempre più attenta e a una trasparenza cristallina. Come? Non solo fissando precisi paletti quando si cimentano nella valutazione di debiti sovrani e credit default swaps (Cds), ma anche aprendone l'attività alla libera concorrenza.

Ma cosa sono queste agenzie e qual é il loro lavoro? Perché sono tanto importanti? Prima di tutto va detto che il rating è un metodo utilizzato per classificare sia i titoli obbligazionari che le imprese in base alla loro coefficiente di rischio. Nella sostanza esprimono un voto o, più precisamente, una scheda di valutazione, come la pagella che il corpo docenti compila in tutte le sue parti - quelle esclusivamente riferite al rendimento scolastico e quelle inerenti al comportamento tenuto in classe dall’alunno - per assicurare ai genitori una precisa valutazione generale del comportamento tenuto dai figli a scuola.

Non è forse fondamentale per i genitori conoscere l’andamento e il comportamento scolastico dei figli? Non è forse fondamentale che il corpo docenti chiamato a quest’alto compito sia il migliore possibile? Non è forse fondamentale che, nella valutazione, il corpo docenti sia e appaia assolutamente imparziale ed equanime? E infine: non è forse fondamentale assicurarsi che i criteri in base ai quali emergono i voti e le valutazioni sui singoli soggetti siano chiari, puntuali e condivisi? Sì, tutto questo è fondamentale. Di più: rappresenta la fondazione di quell’edificio all’interno del quale riposano i nostri valori comuni.

Uscendo dalla metafora va puntualizzato come le borse valori rappresentino oggi i luoghi deputati al libero scambio di valori mobiliari, la quintessenza del libero mercato, della concorrenza, del liberismo. I mercati mondiali rappresentano la plastica rappresentazione degli umori del mondo, dei rapporti di forza, il peso e la credibilità di tutti gli enti economici pubblici e privati. Conoscerne le regole significa conoscere il modus operandi che determina la direzione del mondo, motivo per cui gli addetti al settore sono soliti affermare che ciò che accade sui mercati anticipa ciò che accadrà nel mondo reale di 6/9 mesi. E raramente sbagliano.

In un regime di libero mercato - si sa - la perfetta informazione del consumatore è uno dei postulati, ossia una delle regole iniziali, cui tutti i soggetti del mercato debbono obbedire. Almeno in teoria. Nessuno, infatti, è perfettamente informato, nessuno dispone del tempo e delle capacità per ottenere, gestire e valutare simultaneamente tutte le informazioni riguardanti tutti i valori mobiliari liberamente scambiabili sui mercati di tutto il mondo. È per questo che esistono le agenzie di rating, soggetti specializzati nel raccogliere tutte le informazioni necessarie per valutare ogni titolo e offrire all’investitore una scorciatoia, un modo più diretto ed intuitivo per prendere la giusta decisione.

Il rating viene espresso attraverso un voto in lettere, in base al quale il mercato stabilisce un premio (ossia rendimenti più alti) per il rischio da richiedere all'azienda per accettare quel determinato investimento. Scendendo nel rating aumenta il premio per il rischio richiesto; quindi l'emittente deve pagare uno spread maggiore rispetto al tasso risk-free, deve assicurare cioè un profitto aggiuntivo rispetto a quanto garantito da quei titoli giudicati “sicuri”.

Si capisce dunque l’importanza e la centralità di queste agenzie di rating. Ma chi sono effettivamente questi maestri, questi professori dei mercati? Come riescono concretamente ad esprimere un voto, a giudicare tutti i titoli e le imprese sui mercati che quotidianamente si affollano per elemosinare quella liquidità, necessaria oggi più dell’aria?

I rating - abbiamo detto - sono periodicamente pubblicati da agenzie specializzate, principalmente Standard & Poor's, Moody’s e Fitch Ratings. Tutte società per azioni a loro volta quotate in borsa. Soggetti privati cui è demandato un ruolo che, teoricamente, dovrebbe spettare ad una pubblica autorità. Ma non esistendo un’autorità comune a tutti i mercati azionari, ecco che accade l’impensabile: ad assicurare una corretta informazione tra tutti gli attori del grande gioco della finanza, precondizione necessaria per il funzionamento di qualsiasi mercato, sono alcuni soggetti direttamente coinvolti nel gioco stesso. L’arbitro, insomma, è un giocatore. Potrebbe sembrare un paradosso, ma accade ogni giorno.

Qualcuno ha mai sentito, letto o appreso, a qualsiasi titolo, che una di queste benemerite istituzioni di rating aveva lanciato l’allarme su quanto stava per accadere in America prima della crisi dei mutui subprime? Qualcuno forse si ricorda anche una sola di queste torri d’avorio far presente che il signor Bernard Madoff stava truffando tutto e tutti e che la sua era una graziosa catena di Sant'Antonio da 60 miliardi di dollari? La risposta è ovviamente il silenzio. Salvo poi scoprire ora che il plurimiliardario Warren Buffet, di fronte al quale tutta la stampa economica si profonde in inchini a tutt'oggi, è proprietario del 20% delle azioni di Moody's. Adesso fa il broncio perché, dice, neanche lui fu avvertito.

Naturalmente gli inchini continuano, forse perché gli sono rimasti abbastanza miliardi di dollari da poter mettere in riga anche l'Amministrazione di Washington; ma sarebbe interessante chiedergli come mai - da genio della finanza qual è - ha taciuto mentre tutte le grandi banche d'investimento americane si scioglievano come neve al sole. Forse era lui che doveva avvertire la “sua” Moody's, visto che stava partecipando più o meno segretamente, ad alcuni tentativi di salvataggio proprio delle banche che le agenzie di rating continuavano a dare per solide. Questo per comprendere come concretamente, nei mercati mondiali, lì in cima alla piramide sociale, regni una promiscuità che non assicura certo una visione “neutra” o”terza” nella lettura dell’opportunità e affidabilità degli investimenti.

E adesso che fare, in attesa della “ripresina” che, come Godot, tutti attendono ma che non verrà? Per rispondere sarebbe utile dare un'occhiata alla “quarta crisi”, quella di cui nessuno parla, ma che è componente essenziale, concausa, compartecipe, complice del silenzio assordante che ha coperto l'arrivo della crisi finanziaria, di quella energetica, di quella climatica, per restare alle maggiori. È la crisi dell'informazione, del collasso morale e intellettuale del giornalismo economico. Quelli che dovevano raccontarci, spiegarci ciò che stava maturando e non l'hanno fatto. Perché il silenzio assoluto?

La risposta è semplice: perché erano parte della truffa e, dunque, non potevano raccontarla. Esattamente come accade per le società di rating: la natura del problema è la medesima - l’informazione – e a cambiare è solo il pubblico. Per le società di rating sono gli investitori professionali, una ricchissima minoranza della popolazione mondiale; per i giornalisti economici é il grande pubblico. Non ci fossero stati i media, le televisioni in particolare, a costruire il grande spettacolo di questa società illusoria in cui credevamo di vivere, non fosse stata in funzione 24 ore su 24 la colossale fabbrica dei sogni e delle menzogne che é divenuto il mainstream globale, tutto ciò di cui stiamo parlando non sarebbe stato possibile.

Segni di resipiscenza? Non molti. Si prenda ad esempio la rivista Time. Quella che, nel febbraio 1999 dedicò la sua copertina al “Comitato che ha salvato il mondo”. Chi faceva parte del comitato? Alan Greenspan, Larry Summers e Bob Rubin. Gli ultimi due dei tre, peraltro, sono come le agenzie di rating, sempre sulla breccia. Adesso il direttore di Time, Richard Stengel, promette di guidare i suoi lettori nella navigazione in un mondo che cambia. «Quale sarà la nostra missione? Spiegarti cosa sta cambiando e perché, e cosa tu puoi fare in proposito». Capito l'antifona? Adesso t’invitano a partecipare alla raccolta dei detriti. Ma come si può farlo? «Con grandi reportages - dice Stengel - grandi capacità di scrittura, grande fotografia, grande video on line».

Tutto qui? E se era così semplice, fino a ieri che cosa hanno fatto? Non solo la rivista Time, ma tutti insieme, appassionatamente, i media? Un altro esempio paradigmatico è quell'oracolo del “Mercato” (sempre con la M maiuscola) dell'Economist, che in tutti questi anni bastonava severamente le dita a chiunque osasse parlare dell'intervento dello Stato nell'economia, il thatcheriano d'acciaio inossidabile che spiegava le meraviglie della globalizzazione finanziaria. Ma, per restare in casa nostra, si pensi al Sole 24 ore, alle pagine economiche del Corriere della Sera e di La Repubblica. Come mai non hanno avvertito? Forse perché attraverso il sistema della partecipazioni al capitale sociale delle società editrici i soggetti che dovrebbero essere controllati diventano soci dei soggetti che dovrebbero controllare?

Forse perché attraverso le inserzioni pubblicitarie i grandi gruppi finanziari e produttivi del paese riescono ad ottenere un’informazione specializzata nel portare acqua al mulino del padrone? Forse per la mancanza di spirito critico e di’indipendenza degli stessi giornalisti, sempre alla ricerca di una padrone da servire?  Poi si riprendono in mano i giornali e leggendo i titoli si ha come l’impressione che per i grandi della Terra il futuro è la fotocopia del passato. «Come si affitta un intero paese»; «Africa, il nuovo business»; «Come far diventare verde il consumo». E così continuando. Una specie di vademecum al suicidio.