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Siamo alla caduta dell’impero

di Andrea Riccardi - Gian Guido Vecchi - Luciano Canfora - 21/12/2010

Dal papa una lettura drammatica
Andrea Riccardi


Nel discorso alla Curia romana, Benedetto XVI ha evocato la fine dell’impero romano (nella foto, una moneta con l’effigie di Romolo Augusto): «Un mondo stava tramontando, non si vedeva alcuna forza che potesse porre freno a tale declino» . La fine dell’impero ha sempre esercitato un fascino nelle riflessioni sulla sorte delle civiltà. Niente si ripete nella storia, ma ci sono assonanze che il Papa individua con il nostro tempo nel dissolvimento del consenso morale («senza il quale le strutture giuridiche e politiche non funzionano» ).
Il Papa non allude solo all’Occidente, ma alle guerre, la corruzione nel Terzo mondo e la violenza contro i cristiani in Iraq (parla di «cristianofobia» ). In questo discorso si coglie il dramma e la proposta di papa Ratzinger. Si sente il suo profondo dolore per la Chiesa a causa degli scandali di pedofilia: «Il volto della Chiesa è coperto di polvere» . C’è una lettura drammatica del mondo contemporaneo sotto la «dittatura di mammona che perverte l’uomo» : commercio dei corpi e delle anime, droga («che con forza crescente stende i suoi tentacoli di polipo intorno all’intero globo» )... Il Papa non indulge al pessimismo, ma valorizza— come sempre— i fatti positivi pur esterni alla Chiesa, come l’accoglienza fraterna nella Cipro ortodossa o l’intervento sinodale del musulmano Sammak (che ha detto: «Con il ferimento dei cristiani veniamo feriti noi stessi» ). Ma per il Papa ci vuole un soprassalto spirituale e morale. Benedetto XVI manifesta il suo dolore per l’Occidente, frantumato in soggettivismi e senza forza, incapace di cambiare la storia. La visione del Papa non è cupa, perché crede in una verità profonda, che può fondare il tessuto di consenso morale di cui la società ha bisogno per non sfilacciarsi o essere manipolata. Rozzamente si potrebbe dire che vuole confessionalizzare società orgogliosamente laiche. Sarebbe un errore credere in una restaurazione di Benedetto XVI. Nel discorso di ieri, John Henry Newman è stato evocato a lungo. Questi, morto nel 1890, visse in un tempo in cui gran parte dei cattolici pensava che, per risolvere la crisi del proprio tempo, bisognasse restaurare lo Stato cattolico confessionale ed eliminare il pluralismo. La visione di Newman era molto avanti: ruotava attorno ad un’idea di coscienza, non come istanza soggettivistica, ma come capacità personale e libera di riconoscere la verità. Per Benedetto XVI la sua lezione è decisiva nella crisi attuale che, nelle sue multiformi espressioni, non chiede prima di tutto ricette politiche, ma pone un’ineludibile questione spirituale agli uomini e alle comunità civili. In questo clima di declino, si colloca il Natale 2010, che è per il Papa una risposta alla crisi di civiltà: dall’ «apparente assenza» alla scoperta della presenza di Dio.

«Viviamo la crisi che fu dell’Impero Romano»
Benedetto XVI: senza il consenso morale anche oggi è in gioco il futuro del mondo
Gian Guido Vecchi


«Excita, Domine, potentiam tuam, et veni» . La voce del Papa è sommessa ma il tono è solenne, «è in gioco il futuro del mondo» , alza lo sguardo a cardinali e monsignori: e ripete quella preghiera di Avvento, «Ridesta, Signore, la tua potenza e vieni» che fu probabilmente formulata, spiega, «nel periodo del tramonto dell’Impero Romano» . Allora come oggi si «disfaceva» quel «consenso morale» senza il quale «le strutture giuridiche e politiche non funzionano» . Nel discorso natalizio alla Curia romana, Benedetto XVI ripercorre l’anno e parla per primo del male interno, la «dimensione per noi inimmaginabile» degli abusi su minori commessi da sacerdoti, l’ «umiliazione» per lo scandalo dal quale «siamo stati sconvolti» e che ha «coperto di polvere il volto della Chiesa» . Quindi allarga lo sguardo «ai fondamenti ideologici» (la «perversione» dell’etica perfino «nell’ambito della teologia cattolica» , l’idea diffusa per cui «niente sarebbe in se stesso bene o male» : «Negli anni Settanta, la pedofilia venne teorizzata come una cosa del tutto conforme all’uomo e anche al bambino» ) e «al contesto del nostro tempo» e torna a denunciare la pornografia, il turismo sessuale, «la devastazione psicologica dei bambini» ridotti a merce, quel «commercio dei corpi e delle anime» che l’Apocalisse «annovera tra i grandi peccati di Babilonia, simbolo delle grandi città irreligiose del mondo» ; denuncia «la dittatura di mammona che perverte l’uomo» e trova espressione nella droga «che con forza crescente stende i suoi tentacoli di polipo intorno all’intero globo terrestre» ; invoca i leader politici e religiosi «perché fermino la cristianofobia» e le persecuzioni dei fedeli in Paesi come il Medio Oriente, dove sulle «voci troppo deboli» della ragione prevalgono «avidità di lucro ed accecamento ideologico» . Tutti «spaventosi segni dei tempi» , tempi difficili nei quali vacillano «le basi essenziali e permanenti dell’agire morale» ed è «in pericolo» il consenso di fondo sulla «grande tradizione razionale dell’ethos cristiano» . Ecco il parallelo con il crollo dell’Impero Romano: «Il disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamenti morali di fondo, che ad essi davano forza, causavano la rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la convivenza pacifica tra gli uomini. Un mondo stava tramontando. Frequenti cataclismi naturali aumentavano ancora questa esperienza di insicurezza. Non si vedeva alcuna forza che potesse porre un freno a tale declino. Tanto più insistente era l’invocazione della potenza propria di Dio» . Anche oggi, dice Benedetto XVI, «il mondo con tutte le sue nuove speranze e possibilità è, al tempo stesso, angustiato dall’impressione che il consenso morale si stia dissolvendo» . Come rivolgendosi al mondo laico, cita Alexis de Tocqueville: «Aveva osservato che in America la democrazia era diventata possibile e aveva funzionato perché esisteva un consenso morale di base che, andando al di là delle singole denominazioni, univa tutti» . Ma il Papa guarda anzitutto all’interno. Evoca una visione di Sant’Ildegarda di Bingen (XII secolo), il volto della Chiesa «coperto di polvere» , le scarpe «infangate» , il vestito «strappato» per colpa dei sacerdoti, «come lei l’ha visto ed espresso, l’abbiamo vissuto in quest’anno» . L’ «umiliazione» dei crimini pedofili è «un’esortazione alla verità e una chiamata al rinnovamento» , sillaba: «Dobbiamo interrogarci su che cosa possiamo fare per riparare il più possibile l’ingiustizia avvenuta. Dobbiamo chiederci che cosa era sbagliato nel nostro annuncio, nell’intero nostro modo di configurare l’essere cristiano, così che una tale cosa potesse accadere. Dobbiamo trovare una nuova risolutezza nella fede e nel bene. Dobbiamo essere capaci di penitenza. Dobbiamo sforzarci di tentare tutto il possibile, nella preparazione al sacerdozio, perché una tale cosa non possa più succedere» . Ma se «siamo consapevoli» della «nostra responsabilità» , dice, «non possiamo tacere circa il contesto del nostro tempo» . Il consenso etico che si dissolve. E, per contro, l’esempio di tanti sacerdoti, la «capacità di verità dell’uomo» mostrata dal cardinale Newman. Come capitò ai discepoli di Gesù, «anche in noi tanto spesso la fede dorme» , sospira il Papa: «PreghiamoLo di svegliarci dal sonno di una fede divenuta stanca e di ridare alla fede il potere di spostare i monti -di dare l’ordine giusto alle cose del mondo» .


Quel declino rafforzò la struttura ecclesiale
Luciano Canfora


Richiamarsi alla fine dell’impero romano (invero dell’impero romano d’Occidente) è stato, nel corso del tempo, un luogo comune, o meglio un motivo ricorrente della angoscia storiografica. Anche il grande Edward Gibbon pensò per qualche momento che la ribellione delle colonie americane e il loro distacco dalla corona britannica fossero una avvisaglia di decadenza, assimilabile — egli pensava — alla fine dell’impero romano. Peraltro proprio il grande libro di Gibbon, Storia della decadenza e caduta dell’impero romano, documentava come quella cosiddetta decadenza fosse in realtà durata almeno un millennio concludendosi soltanto alla metà del secolo XV con la conquista turca di Costantinopoli. Ma questa corretta prospettiva non si è mai pienamente affermata. Studiosi, soprattutto non professionali, hanno spesso pensato al 476 dei manuali per il fu-ginnasio come alla data catastrofica e conclusiva della vicenda imperiale. Trascuravano di considerare che la parte più ricca e potente dell’impero, cioè la pars Orientis, continuò ad essere per secoli uno degli epicentri della politica mondiale. La visione a tinte fosche o morbose di un mondo che si sgretola affogato nella immoralità è un motivo ricorrente: qualcosa del genere pensava già Orazio nell’epodo XVI al tempo delle guerre civili tardo repubblicane. È una visione essenzialmente oleografica, cui diede forma altamente poetica il celebre sonetto di Verlaine (1883): «io sono l’impero alla fine della decadenza /il quale guarda il passaggio dei grandi barbari bianchi /... ah tutto è perduto! Batillo hai finito di ridere?» etc. La versione popolare di tutto questo si trova nei film peplum. Dei destini dell’impero fu il Cristianesimo uno dei fattori decisivi. E anche in questo caso gli esiti nella parte occidentale e in quella orientale furono diversi. A Occidente il cristianesimo attrasse nella struttura ecclesiale energie ed élites che in altre epoche avevano percorso brillanti carriere politico-militari. A Oriente invece la prevalenza dello Stato sulla Chiesa si consolidò e fu garanzia della durata di un impero millenario antagonista e interlocutore prima degli Arabi e poi dei Turchi.