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Ecco come fu insabbiato il caso Calipari

di Federico Zamboni - 22/12/2010

 

Era il 3 maggio 2005: l’ambasciatore Usa in Italia, Mel Sembler, spiega ai suoi capi di Washington che il governo Berlusconi sta collaborando appieno. Per mettere tutto a tacere 


Negare sempre, negare tutto. Anche l’evidenza. Soprattutto l’evidenza. L’atteggiamento elusivo del governo italiano, e più in generale della nostra classe politica, non dobbiamo certo scoprirlo oggi: ma oggi, dopo le rivelazioni di Wikileaks sul caso Calipari, ne abbiamo una conferma pressoché insuperabile. 

In base ai documenti diffusi dal sito di Julian Assange, infatti, emerge con estrema chiarezza quello che molti avevano sospettato, e sostenuto, fin dall’inizio: l’uccisione del nostro agente in Iraq non aveva avuto nulla di casuale, o comunque di giustificabile, e l’unica preoccupazione delle autorità statunitensi era stata quella di insabbiare tutto, accreditando la tesi dell’incidente. Un’intenzione che aveva trovato la massima disponibilità da parte di Berlusconi. L’ambasciatore Mel Sembler ne riferisce in un cablogramma del 3 maggio 2005, a due mesi dall’assassinio, e si diffonde in una lunga serie di dettagli sia sui contatti stabiliti che sulle rassicurazioni ricevute, nonché sul rischio di iniziative autonome, e imbarazzanti, da parte della magistratura. 

Secondo il testo del messaggio, il giorno prima Sembler si era incontrato a Palazzo Chigi coi vari Gianfranco Fini, ministro degli Esteri, Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e Niccolò Pollari, capo del Sismi, ottenendo l’impegno a bloccare «i tentativi delle commissioni parlamentari di aprire indagini», avallando invece la tesi della morte accidentale. Non solo. Il diplomatico Usa si premurava di specificare che tutto ciò rientrava in una strategia ben precisa: «gli investigatori italiani non hanno trovato prove che l’omicidio sia stato intenzionale. Questo punto è stato fissato appositamente per scoraggiare altre indagini della magistratura, visto che per la legge italiana si possono aprire inchieste sulla morte di cittadini italiani all’estero, ma non in caso di omicidio non intenzionale»

Non si potrebbe essere più chiari. Washington aveva dettato la linea e Roma si era affrettata a sottoscriverla. Traducendo il tutto in termini di criminalità comune, la situazione era questa: c’era stato un omicidio, probabilmente premeditato, e gli assassini venivano salvati dalla più smaccata e ignobile operazione di favoreggiamento, tanto più grave in quanto messa in atto dalle stesse autorità che avrebbero dovuto accertare i fatti e perseguire i responsabili. Nessun teorema investigativo, in questo caso. A dire com’era andata era uno dei protagonisti del complotto: non un semplice funzionario, sia pure di grado elevato, ma l’ambasciatore in persona. Il rappresentante degli Stati Uniti in Italia. Il braccio operativo di George W. Bush. 

Eppure, si continua a negare. Non l’autenticità dei documenti, ma l’attendibilità di chi li ha redatti. In un comunicato diffuso ieri, Palazzo Chigi afferma che «in quei resoconti si sono scambiati i desideri con la realtà, le domande con le risposte. E le valutazioni personali di diplomatici americani a Roma si sono trasformate in presunte “posizioni ufficiali” che il governo italiano non ha invece mai assunto. Inutili quindi, o strumentali, le polemiche su qualcosa che non esiste. I fatti e i documenti provano, del resto, il contrario di quanto afferma Wikileaks, e cioè la verità. Uno per tutti, la relazione con la quale il governo italiano si è dissociato dalle conclusioni dell'inchiesta americana sul caso Calipari. Basta questo per dimostrare come le presunte rivelazioni di Wikileaks siano, ancora una volta, assolutamente prive di fondamento; e, quindi, fuorvianti»

Che bella parolina, “dissociato”. Serve a dare l’idea di una presa di distanza, che però rimane sul piano teorico e non produce alcuna conseguenza. Uno Stato straniero ti ammazza un agente di prim’ordine dei tuoi servizi di intelligence, e tu ti “dissoci”. L’equivalente di un colpetto di tosse in una sparatoria. Appunto.