Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Hai 4 prodotti nel carrello Carrello
Home / Articoli / Questa Gelmini, in fondo...

Questa Gelmini, in fondo...

di Claudio Moffa - 24/12/2010

Fonte: claudiomoffa

http://www.italiafutura.it/imagesfe/universit%C3%A0_square2170_img.jpg

La riforma Gelmini è approvata.
Nel dubbio in merito una cosa è
certa: nonostante le critiche della
stampa dell’opposizione, la legge
1905 non solo non è malvagia come
strumentalmente dipinta a fini di
lotta contro il governo, ma inoltre riparerà
a molti guasti prodotti dalle riforme
degli anni Novanta, tutte
targate centrosinistra, implementando
peraltro un principio di base
“trasversale” ai due schieramenti,
vale a dire “la promozione del merito”
come cardine fondante della
vita universitaria.
Il prima e il dopo aiutano a capire: le
riforme degli anni Novanta crearono
una falsa idea dell’ “autonomia”, che
voleva dire sganciamento dalle direttive-
quadro del governo centrale con
connesso avvio dei processi di privatizzazione,
e nello stesso tempo subalternità
a cordate più o meno
massoniche ben inserite in un contesto
territoriale a sua volta “liberato”,
grazie a Tangentopoli, dal peso dei
partiti della prima Repubblica.
Ecco dunque i Rettori sovrani assoluti,
dotati talvolta di apparati spionistici
interni, promotori ai massimi
gradi amministrativi – certi dell’impunità
mediatico-giudiziaria di cui
avrebbero goduto – di impiegati indagati
per falso in atto pubblico; rettori
che facevano il bello e il brutto
tempo, riuscendo a imporre a una
Facoltà un posto a concorso per ricercatore
e a creare sedi periferiche
e corsi di laurea i più strani, dai titoli
roboanti ma scarsi dal punto di vista
sostanziale. Il tutto in un processo di
oggettivo degrado dei corsi e dei titoli
universitari, con una laurea triennale
ridotta a una sorta di
superdiploma liceale, e una rincorsa
al ribasso degli Atenei insistenti su
uno stesso territorio: l’ “autonomia”
infatti voleva dire caccia allo studente,
e lo studente veniva attratto da
corsi sempre più facili e da esami “a
peso”, poche pagine di libro per superarli.
Ora tutto questo pare proprio destinato
a scomparire o almeno ad essere
ridimensionato. Il “merito” torna al
centro della vita accademica. Le sedi
periferiche – il caso più clamoroso è
la sede siciliana di … Camerino -
chiuderanno. Il rischio privatizzazione
resta per la situazione generale,
ma la legge in sé prevede che siano
gli organi accademici – Rettore e Senato
accademico – i decisori delle attività
didattiche e di ricerca degli
Atenei, e che lo stesso Consiglio di
Amministrazione sia composto di un
massimo 11 componenti di cui gli
“esterni” potranno essere anche solo
3. Inoltre il Rettore durerà in carica
6 anni non rinnovabili, e potrà addirittura
essere sfiduciato dal Senato
accademico superata la metà del
mandato, sulla base di una maggioranza
di due terzi. All’altro capo
della docenza, il previsto passaggio
dei poteri di programmazione dell’attività
didattica dalle Facoltà ai Dipartimenti,
sia pure col beneficio del
dubbio, dovrebbe servire a eliminare
sovrapposizioni inutili e inoltre, a ricondurre
la decisionalità in organismi
non mastodontici come certe
Facoltà degli Atenei più grandi.
L’autonomia dell’insegnamento e il
rispetto dell’articolo 33 della Costituzione,
infine, sono più volte richiamati
con buona enfasi: verba volant,
scripta manent …
Non voglio dire ovviamente che non
esistono perplessità sul disegno di
legge, peraltro oggetto di un lungo e
accurato dibattito parlamentare, e
frutto all’origine della collaborazione
di docenti esperti come Giorgio
Israel - già critico della riforma
Berlinguer – ma da qui ai toni da
barricata di cui all’atteggiamento di
molta stampa d’opposizione contro
la Gelmini, ce ne corre. Una sola critica
è alla fine giusta: i tagli ai fondi
per l’Università, che costituisce peraltro
la vera e unica molla della protesta
studentesca.
Ma su questo punto occorre porsi
onestamente una domanda: la stretta
finanziaria generale, al cui interno
vanno collocati anche i tagli all’Università,
è attribuibile direttamente al
governo Berlusconi? O è una questione
europea e mondiale? La risposta
è evidente, come evidente è il
fatto che la crisi che tutti subiamo ha
la sua origine in quella sfera finanziaria-
bancaria - il crack della banca
Lehman, il caso Madoff - rispetto a
cui il “berlusconismo”, con tutti i limiti
che gli si vogliano imputare
(vedi le ingenti spese militari: a
quando il ritiro dall’Afghanistan?),
rappresenta un antidoto, e del quale
invece è alfiere proprio De Benedetti,
l’editore del portavoce del movimento
di protesta, Repubblica: un
imprenditore con un ottimo curriculum
di speculatore ma sicuramente
deludente dal punto di vista della
creazione di posti di lavoro, come
quando, alla metà degli anni 90, licenziò
in un sol giorno 3 o 4000 operai
e impiegati dell’Olivetti.
Forse gli studenti che protestano dovrebbero
riflettere su questo, e re-indirizzare
la loro comprensibile
indignazione contro i veri ostacoli
che impediscono l’erogazione di più
fondi per scuole e università, a cominciare
dal diritto allo studio. E beninteso,
non bastano (ed anzi sono
dannosi) i sassi lanciati contro i vetri
di qualche banca a Roma: servono
altre cose. Per esempio una mobilitazione
perché la Banca centrale non
sia più un pool di banche private, ma
torni ad essere statale, attraverso
convegni come quello sul signoraggio
promosso un anno fa circa a Pescara
con la sponsorizzazione della
Provincia: o come quello organizzato
il 21 giugno scorso dall’onorevole
Scilipoti a Roma, sull’usura.
Dove? A Palazzo Chigi … (P.S.: ma
fosse stato questo l’argomento principe
che ha convinto l’ex deputato
IdV a passare dalla parte del governo?)