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L’anima, per nutrirsi, ha bisogno di assumere energia vitale, non tristezza e rancore

di Francesco Lamendola - 03/01/2011



I materialisti non credono neppure che l’anima esista, dunque non lo sanno; ma anche molti di coloro i quali affermano di credervi, lo ignorano o se ne dimenticano: l’anima, per sostenersi, ha bisogno di cibo, esattamente come il corpo.
Ha bisogno di cibo spirituale, ovviamente: e tale cibo non può essere la tristezza né il rancore di cui, invece, molte persone si nutrono quotidianamente, con grave danno della loro salute sia fisica, che emozionale.
I materialisti credono che basti nutrire il corpo di alimenti e di bevande, perché esso funzioni adeguatamente: e non sanno che non sono i cibi in se stessi, né le bevande, ma una forma di energia in essi presente, a conferire loro la funzione nutritiva: ciò che la cultura dell’India, da tempi immemorabili, chiama «prana», ossia l‘energia vitale presente e diffusa in tutto l’Universo, ivi compresa la luce solare.
Allo stesso modo, essi ignorano che il «prana» è presente, in abbondanza, nell’aria che respiriamo: solo che, mentre una respirazione consapevole permette di assimilarne la massima quantità, con immenso beneficio dell’organismo, una respirazione erronea e insufficiente, perché inconsapevole, ne lascia passare all’organismo solo una quantità minima.
Poiché il «prana» è presente ovunque, ma non si può vedere, né misurare, né pesare, allora la scienza materialista degli Occidentali si rifiuta di credere alla sua esistenza; e lo stesso discorso si può fare a proposito dell’anima.
Cos’è l’anima?
Dov’è?
Se esiste, perché non se ne possono addurre le prove?
A dispetto di tale scetticismo, l’anima esiste e non coincide con la mente: la mente è una delle funzioni dell’anima; e neppure la mente, sia detto per inciso, ha bisogno, per esistere, del corpo: il corpo ne è solo un sostegno temporaneo, dal quale essa può spiccare il volo in qualunque momento, a determinate condizioni.
La mente può esistere anche al di fuori del corpo e anche senza il corpo; può esistere anche dopo che il corpo ha terminato di svolgere il suo compito ed è stato da essa abbandonato, come un guscio ormai vuoto sulla riva del mare.
Ma l’anima è più della mente: l’anima è una scintilla della realtà cosmica e in essa non vi sono un prima e un poi, un dentro e un fuori: tutto è dentro di essa ed essa è presente ovunque; esisteva prima che il mondo fosse creato e continuerà ad esistere anche dopo: eterna, indistruttibile, splendente come infiniti soli.
Ma l’anima, il più delle volte, non è consapevole di se stessa; non è consapevole di essere eterna, non è consapevole di essere una scintilla divina. Perciò, pur essendo incorruttibile, di fatto anch’essa può ammalarsi e deperire, esattamente come il corpo.
Quali sono gli alimenti di cui ha bisogno, per mantenersi in armonia con il corpo al quale si è temporaneamente unita?
Non certo la tristezza e il rancore, in cui vivono sprofondati così tanti esseri umani; ma l’energia vitale che le proviene dall’Essere, di cui è parte, dal quale proviene e al quale aspira inconsapevolmente a ritornare.
Tutto il problema, pertanto, si riduce a sapere come si possa abbeverare la propria anima alle sorgenti dell’energia vitale proveniente dall’Essere, «fontana vivace» - come direbbe Dante - incomparabile ed inesauribile di tutto ciò che essa potrebbe desiderare.
Ebbene, il cibo fondamentale dell’anima è la preghiera; o, se si vuole chiamarla in altro modo, la meditazione: come si preferisce, il concetto non cambia. Essa deve abituarsi a parlare quotidianamente con la scintilla divina che è in lei, che è ella stessa; deve ritrovare e costantemente rinnovare il contatto consapevole con l’Essere, al quale è sempre unita, ma che troppo spesso tende a ignorare o dimenticare.
Quando l‘anima si unisce all’Essere nella comunicazione profonda all’interno di se stessa, avviene qualche cosa di simile a quando l’adepto dello Hatha Yoga congiunge le piante dei piedi e chiude le punte delle dita: si crea un circuito virtuoso, potente, vittorioso, irraggiante forza, luce e bellezza e capace di rigenerare tutte le energie perdute.
Immensa e praticamente inesauribile è la forza dell’anima, quando essa prende consapevolezza della sua vera natura, della sua origine, del suo destino; quando si rivolge gioiosamente e fiduciosamente allo splendore dell’Essere, scavalcando d’un balzo tutte le difficoltà che, un momento prima, la facevano tremare e impallidire.
Non è forse stato detto che, per mezzo della preghiera, noi possiamo comandare perfino alle montagne e ordinare loro di spostarsi e di gettarsi nel mare?
Non è forse stato detto che basta chiedere, ma chiedere con fede autentica, per trovare tutto ciò di cui abbiamo bisogno?
Si faccia bene attenzione all’ultima parte della frase precedente: «tutto ciò di cui abbiamo bisogno»: perché l’anima, quando è smarrita e sviata, crede di aver bisogno di mille cose, d’infinite cose; ma di una sola ha realmente bisogno: dell’armonia con se stessa e con l’Essere, che poi sono una sola e medesima cosa.
L’anima non può essere veramente in armonia con se stessa, se non si pone in armonia con l’Essere: tale è il suo destino, la sua vocazione, la sua chiamata. Finché si allontana dall’Essere e si disperde lungo strade diverse, non troverà mai la pace e l’armonia con se stessa, perché essa è fuori dal proprio centro, è fuori dalla propria natura.
La natura dell’anima è l’unione con l’Essere: ogni passo che l’avvicina a questa meta le porta pace e benessere, perché realizza la sua vocazione ontologica fondamentale; ogni passo che l’allontana, anche se - apparentemente - può consentirle una fugace soddisfazione, finirà per causarle sofferenza e malessere.
Ma l’anima non è fatta per soffrire, bensì per gioire; se soffre, ciò avviene perché si tiene lontana dall’Essere, a causa del velo dell’ignoranza.
Ecco allora che il nostro compito è quello di lavorare affinché il velo dell’ignoranza si dissolva e la luce dell’Essere appaia, sfolgorante, come in un chiaro mattino di sole, quando i vetri di mille finestre riflettono, incendiandosi, il suo incomparabile splendore.
In fondo, è il compito della nostra vita; come lo studente si affatica sui libri per superare gli esami, così anche noi, tutti senza eccezione, siamo chiamati a svolgere un compito: che non è quello di fare questa o quella cosa, di aver successo negli affari o nel mondo della politica; e neppure quello di metter su famiglia, per quanto alcune delle cose che facciamo siano buone e lodevoli, ma a patto di non assolutizzarle e di non scambiarle per la nostra vocazione ultima.
La nostra vocazione ultima, che coincide con il nostro compito, è di riscoprire la nostra origine divina, la nostra parte luminosa e incorruttibile, ossia il legame perenne della nostra anima con l’Essere perfetto e luminosa dal quale tutto trae origine.
Quando noi incominciamo a intravedere questa verità, ecco che la nostra anima inizia a respirare a pieni polmoni e a nutrirsi di cibi che la sfamano e di bevande che la dissetano;.
Tutto il resto non è che illusione dei sensi e intorbidamento delle passioni.
Tutto il resto non è che attardarsi lungo sentieri sbagliati, che ci seducono sul principio, ma non ci porteranno mai da nessuna parte.
È incredibile come ci sfugga così facilmente una verità tanto semplice: che fin quando l’anima si alimenta di energia vitale, le sue possibilità si moltiplicano ed essa diviene capace di compiere qualsiasi impresa; mentre, se si nutre solo di energie negative, essa finisce per sgomentarsi e per ammalarsi.
Mentre sto scrivendo queste righe, dalla finestra posso vedere la fitta coltre di nuvole cariche di pioggia, che da giorni e giorni stagnavano sui monti e li sottraevano allo sguardo, mentre incomincia a rompersi e a disperdersi.
Banchi di nubi sfilacciate ristagnano sui fianchi della montagna di fronte a me, disegnando una fitta trama di arabeschi evanescenti, dai quali emergono le ombre scure dei boschi inzuppati di pioggia e le cime dei colli, in primo piano, simili a dei giganti che, risvegliandosi, levano il capo verso l’alto, spezzando l’assedio di quella  bianca coltre.
Le larghe macchie di neve, raccolta sulle radure e nei canaloni di roccia, si confondono con il candore delle nuvole sparse e disegnano un paesaggio dalla geografia fantastica, ove il confine tra il certo e l’incerto tende a sfumare e a scomparire.
È un processo molto lento, che dura alcune ore. A lungo indugiano le nubi sulle cime dei colli e lungo i fianchi del monte; pare che non se ne vogliano andare, che si aggrappino con ostinazione alle pietre e alle cime degli alberi, affinché il vento non le trascini via.
Solo dopo una lunga battaglia, vinti, gli ultimi brandelli soffici si alzano e scompaiono, mentre una corona ritardataria ancora indugia sul versante più basso della montagna, quando già un pallidissimo e fuggevole raggio di Sole pare far capolino presso la vetta.
Allo stesso modo, mano a mano che l’anima acquista consapevolezza, si dirada la nebbia degli errori e delle false immagini di bene, lasciando sgombro il paesaggio e nitide le ombre, come rinnovate da una possente ondata di vitalità.
Essenziale è il linguaggio del’anima, una volta che essa abbia intravista la giusta via da seguire; come quello di un «haiku» giapponese, ossia un componimento poetico composto da tre versi di cinque, sette e ancora cinque sillabe.
Ad esempio questo, di Miura Chora (1729-80):

«sulle sere serene
e i giorni silenziosi,
piogge di primavera».

Oppure quest’altro, sempre di Miura Chora:

«in questo giorno
che tramonta
sono caduti i fuori di ciliegio».

Pochissimi versi di estrema brevità: densi, perfetti: che altro c’è da dire, da aggiungere, da abbellire?
Tale è la voce dell’anima, quand’essa ristabilisce il contatto con l’Essere: nitida, cristallina, essenziale, senza il benché minimo fronzolo.
Nel silenzio denso di verità, non c’è bisogno di tante parole.
Lo sanno da sempre, con sicuro istinto, gli innamorati; e tale è anche la condizione dell’anima, una volta che abbia ritrovato le vie dell’Essere: amore e soltanto amore.
Ecco perché non vi è più posto per la tristezza né per il rancore, allorché l’anima abbia ritrovato la scintilla divina che giace al fondo di lei stessa; ma solo per una cascata di luce che trasfigura ogni cosa, inondandola di pace e di bellezza.
Quando l’anima si accende d’amore per l’Essere, una grande pace la invade e la trasfigura.
Tutto il resto, a quel punto, diventa secondario: essa ha ritrovato la sua casa, il suo scopo, la sua verità definitiva, al di là di ogni incertezza e di ogni turbamento.